mercoledì 30 agosto 2017

Scegliendo di camminare con la morte - Prologo

Mi si ascolti bene, perché narrerò storie remote, storie che precedettero la Storia, storie che videro nascere il tempo. Svelerò, per quanto in breve, l'origine dell'universo e della realtà dei mortali, così che restino meno oscure le vicende che seguirono...
Tutto cominciò prima del tempo. Era la realtà degli dei, impossibile a trasmettersi a parole: noi (perché io ero una di loro) eravamo il nostro spazio, il nostro tempo, il nostro universo; le nostre uniche azioni erano pura espressione del nostro essere e si possono indicare come "pensare" tanto come "creare", "vivere", "fare"...
La nostra realtà intender non la può chi non la prova, ma chi più ci conosce, meglio potrà coglier tali altezze.
Il mio nome ero io stessa, allora, e così era per ciascuno di noi.
Per designarmi, mi chiamerò Zàxeras, come mi nominò il dio che mi rese quella che ora sono.
E per indicare un altro dio, del quale è ormai giunto tempo di dire, userò il nome di Woyrèchan, nome che a lungo fu tramandato fra i suoi fedeli.
Io e Woyrèchan ci amavamo, in maniera totale, al modo degli dei.
Nulla è più bello dell'amore degli dei, dell'abbraccio totale fra due totalità; nulla. Un amore interamente di scelta, santificato dalla luce della più eterna e ferma bellezza, addolcito dalla più tenera pace...
Misero vocabolario mortale! Quanto poco puoi rendere delle realtà supreme!
Un giorno vi ritornerò e le griderò con tutta me stessa. O le sussurrerò. Tanto, sarà lo stesso: comunque sia, le esprimerò integralmente con il mio stesso essere.
Tanti dei si amavano.
Ma toccò a Woyrèchan.
Non so perché, ma toccò a lui, di fare la scelta sbagliata.
Concepì l'idea di andare oltre.
Abbracciati, eravamo a contatto strettissimo, ma non gli bastò, perché eravamo due. Volle che fossimo uno, credendo che così il nostro amore sarebbe stato ancora più bello, di una perfezione di ordine superiore a qualunque altra. Ritenne di amarmi più di quanto qualunque altro dio aveva mai amato.
E mi uccise.
Chi ci volle ritenere dotati di corpi umani, tramandò che mi spaccò il cranio con una pietra, mentre dormivo lieta sul suo petto.
E basti questa descrizione, perché oltre non potrei chiarire gli eventi, a menti ristrette.
Poi, mi assimilò. Mi mangiò, tramandarono i primitivi vati.
Ed ebbe inizio il tempo.
Prima, tutto era vita, tutto era eterno.
Ma io ero morta.
Io divenni la Morte, quando Woyrèchan mi assimilò: la degradazione, la dissoluzione in sostanza divina.
E, con la degradazione, ebbe inizio il tempo.
Woyrèchan sussurrò il mio nome, Zàxeras, dopo avermi assimilata, perché mi avvertì divenire Morte; e, suprema tragedia, si avvertì divenire mortale, conobbe egli stesso la degradazione!
Non immagino altro che avrebbe potuto indurre la follia in un dio.
Nacque lo spazio: la vita non era più tutto.
Woyrèchan, siccome il suo essere si corrompeva, mi restituì realtà, non poté contenermi (le antiche leggende tramandano che mi rigettò), ma era tardi: ormai ero nata; ormai ero.
Woyrèchan urlava, si sbracciava (ormai cominciavano a differenziarsi le sue azioni, anche se nessun mortale potrà mai comprendere cosa sia un braccio divino) e, così facendo, in ogni sua azione, mi trasmetteva: egli esprimeva ancora il suo essere, ma il suo essere era stato toccato da me, dalla morte, dunque, agendo, Woyrèchan diffondeva corruzione.
In breve, tutti gli dei, attoniti e atterriti, furono toccati da me.
E scelsero.
Una parte scelse di odiarmi, di temermi e di tenermi in massimo spregio, di usarmi, di considerarmi un mezzo, un oggetto, di servirsi di me come di un'arma; così nacquero gli dei del male.
Ma altri scelsero, invece, di accettarmi, di amarmi ancora, a dispetto di quello che ero diventata e delle conseguenze che causavo in ragione del mio stesso essere. E da qui si impari la grandezza degli dei!
Gli dei del male erano terrificati dalla loro degradazione e, non più certi del potere, agivano e agivano, per provare a loro stessi la loro forza, ma, così facendo, diffondevano me, la morte, la decadenza, creando realtà sempre più imperfette: non erano più in grado di esprimere pienamente se stessi.
Nemmeno gli dei del bene ne erano più capaci, ma avevano ancora amore nei loro cuori e vivo il ricordo delle glorie di un tempo e cercavano di esprimersi al meglio. Vedevano che non riuscivano a creare che entità inferiori, ma non si fermavano, perché ricordavano il grande valore della realtà, che non è altro che una forma di vita più generale di quanto viene comunemente accettato o compreso...
Così nacquero i demoni e gli angeli, di potenza via via inferiore, mentre cominciavano a differenziarsi le leggi della fisica e della magia, originando le diverse dimensioni, imitazioni sempre più rozze dello spazio degli dei che erano stati gli dei stessi...
Poi nacquero fate, unicorni, folletti, draghi, mentre lo spazio si corrugava in materia: nascevano i mondi e, tra tutti questi, nacque il mondo Remniskar Thloth, come lo chiamarono i suoi primitivi abitanti, che tanta parte avrà nello sviluppo delle vicende che mi accingo a narrare; era nata la dimensione delle creature a cui i più alludono col termine "mortali".
Mutò infine volto, con la creazione del genere umano e delle ultime specie di animali, la guerra degli dei.
I numi malvagi avevano cercato di far prevalere il male per dominare, mentre gli dei buoni avevano tentato di far prevalere il bene perché regnasse una felicità che gli avversari non riconoscevano più come tale... ma entrambe le fazioni si erano rese conto di essere troppo simili di forze per ottenere un definitivo trionfo, soprattutto perché ogni atto non poteva che continuare a propagare debolezza, nonché ad indebolire loro stessi.
Gli dei smisero allora di creare, e si volsero alle creature: se queste li avessero testimoniati con le loro esistenze, con le loro vite, ne avrebbe goduto l'una o l'altra fazione, perché ogni realtà interagisce con la realtà.
Un atto buono contribuisce a un mondo (o meglio, a una realtà) che gli dei del bene definirebbero migliore; un atto malvagio è invece un passo verso l'universo che gradirebbero (se mai gradiranno veramente qualcosa) gli dei del male...
E cominciò così la nuova lotta degli dei: ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, ovvero... lasciare agire il creato, intervenendo il meno possibile.
Venne un tempo in cui un demone non ancora particolarmente potente, ma dalla folle, inverosimile, insaziabile brama di grandezza, concepì un piano ardito oltre ogni dire: rubare la divinità all'unica entità alla quale, forse, avrebbe potuto sottrarla.
Voleva raggirare Woyrèchan, colui che era diventato il Dio Folle, il Dio Assassino, il Divoratore.
Forse la sorte gli arrise, o forse la sua astuzia lo avvantaggiò contro i guardiani da superare per giungere al cospetto di Woyrèchan, i demoni più sanguinari e violenti, ma anche i meno intelligenti e lungimiranti; comunque, pur giungendo torturato, mutilato e morente, gli riuscì di conferire col dio.
E puntò sull'amore.
Gli disse di essere a conoscenza di un modo per far sì che io e lui tornassimo insieme e divenissimo una sola entità, per sempre. Woyrèchan non pensò, a causa della propria follia, di appurare con i propri poteri se l'altro lo stava ingannando (e proprio su questo aveva contato il demone) e subito credette alla promessa, forse perché si riaccese in lui il ricordo della bellezza di quel sogno che l'aveva perduto e l'illusione di poter realizzare infine un siffatto progetto gli riuscì irresistibile, o forse perché il Dio Folle non poté che fidarsi dell'unico folle che, dal principio dei tempi, fosse mai venuto di sua spontanea volontà (ovvero non in veste di vittima catturata per i suoi dementi sollazziletali) a visitarlo.
Woyrèchan non pensò nemmeno a cercare di carpirgli l'informazione, cosa che gli sarebbe riuscita indubbiamente agevole grazie ai propri superiori poteri, ma, completamente preso dalla rinnovata brama, lo interrogò con furia ed impazienza, tanto che, se l'interlocutore non avesse esposto il piano con quella rapidità e chiarezza di cui seppe invece dar prova, certo il Dio Folle, scuotendolo nella propria presa per sollecitarlo, l'avrebbe involontariamente ucciso.
Il demone spiegò: il Divoratore avrebbe dovuto creare una cosa, un oggetto comune, come quelli usati dai mortali, esprimendovi tutto il proprio essere; poi avrebbe dovuto trasfondervi, anche per un solo attimo, la propria divinità (mantenendo comunque poteri degni di demoni o angeli, che gli avrebbero consentito di compiere le successive operazioni) e chiamarmi, da là dentro.
Se qualcosa avrebbe mai potuto attirarmi, aveva chiarito il demone, quella sarebbe stata la voce di colui che amavo e che aveva sacrificato per me la primitiva realtà divina.
L'oggetto sarebbe stato divino e, dunque, avrebbe potuto contenermi; una volta che vi fossi entrata, il Dio Folle avrebbe dovuto prontamente uscirne, per non venire toccato dalla mia letale potenza. Ma, entrando, io avrei dovuto accettare limiti (non avrei potuto eccedere i confini dell'oggetto, ad esempio) e, accettando limiti, avrei inevitabilmente moderato il mio potere; così, Woyrèchan, dall'esterno dell'oggetto, avrebbe potuto recuperare la pienezza della propria natura divina (l'oggetto sarebbe, a quel punto, rimasto comunque divino, perché avrebbe contenuto me) e, finalmente, assimilarmi, in quanto sarei risultata troppo indebolita per oppormi.
Nonappena l'ultima sillaba si spense sulle labbra del demone, Woyrèchan si mise in azione, creando una spada (cosa poteva mai scegliere, il Dio Assassino, se non uno strumento di morte?) e seguendo successivamente tutti gli altri suggerimenti del proprio subdolo consigliere.
Il piano ebbe successo.
Non avrei voluto entrare, ma... non potei trattenermi: troppo c'era stato tra me e Woyrèchan; il richiamo che egli lanciò con tutto se stesso mi attirò là dentro. L'amore tra dei ci aveva legati indissolubilmente.
Ma Woyrèchan, quando uscì dalla spada, bramoso di assimilarmi e realizzare così il proprio sogno proibito, scoprì che il demone lo aveva tradito: questi gli stava rubando il potere divino, assorbendolo dalla spada come invece il Dio Folle avrebbe dovuto fare!
Io, che pure da dentro mi accorgevo delle vicende, fremevo sconvolta.
Il Dio Assassino cercò di uccidere il traditore, il quale, però, lo trafisse con la spada stessa (non si fidava a servirsi del potere divino che ancora stava assorbendo) pronunciando quella frase di trionfo che, da quel lontano giorno, mai potei dimenticare: _Io sono diventato la Morte, il distruttore di dei!_
Lo uccise tramite me.
Woyrèchan non ebbe scampo: trafiggendolo, l'avrei eliminato anche se egli fosse stato ancora un dio dai pieni poteri.
Così Woyrèchan morì, mentre io ancora mi rifiutavo di crederci.
Ma, uccidendo Woyrèchan, il demone avvelenò la fonte stessa del proprio potere: egli si trovò a suggere divinità ed essenza dell'annullamento al contempo, vita e morte insieme...
Il demone non divenne un dio.
Né sì annullò.
Non visse.
Né morì.
Divenne il primo di coloro che sommamente, ostinatamente mi rifiutano, a costo di avvelenare la propria stessa esistenza... o, addirittura, la propria stessa essenza.
Mai avrebbe avuto inizio un simile abominio, se non fosse stato limitato il mio potere.
Nacque (e gli dei mi perdonino per un uso così empio di tale verbo) il primo non-morto. Il Demone Spettrale Supremo.
Mi riscossi.
Non ero dea, ma nemmeno proprio inerme (anzi, per ironia della sorte, ero addirittura un'arma): lasciai credere al Demone Spettrale Supremo che mi potesse usare; lo aiutai ad imporre il suo potere su altri demoni e a renderli suoi servitori.
Poi, quando si trovò ad affrontare una durissima battaglia, contro poteri che farebbero tremare le gambe anche a demoni o angeli, gli sgusciai improvvisamente di mano e sparii.
Purtroppo, i suoi grandi poteri ed i formidabili alleati gli concessero di rimanere in vita; ed egli, da quel giorno, non smise mai di cercarmi...
Incantesimi potentissimi lo aiutavano nella sua caccia, ma non poteva trovarmi: mi sapevo proteggere. Se mi avesse ritrovato, non sarebbe stato facile ingannarlo una seconda volta: forse sarebbe riuscito a dominarmi... e, in tal caso, avrebbe avuto a disposizione un potere senza pari, perché sarebbe stato padrone della Morte.
Anche gli dei del male mi cercavano (seppure alla prudente e velata maniera degli dei, principalmente incentrata su minime, calcolate ingerenze nelle vicende dei mortali), ma gli dei del bene (in maniera analoga) mi nascondevano a loro.
Forse, un giorno, gli dei del male vinceranno ed io non sarò altro che un "comune" oggetto nelle loro mani: mi allontaneranno per sempre da loro ed io esisterò per sempre, al loro servizio.
Forse, un giorno, vinceranno gli dei del bene, che hanno l'incredibile coraggio di accettarmi, e tutto, prima o poi, avrà fine.
E quando tutto sarà morto, quando avrò abbracciato tutta la realtà, allora abbraccerò anche me stessa (e come potrebbe essere altrimenti?) e morirò.
Non vi sarà più morte.
Torneranno le realtà eterne.
E spero che riabbraccerò, di nuovo Zàxeras, di nuovo con me stessa come nome e come abbraccio, il dio che amai.
Tutto dovrà perire; anche la speranza morirà, certo, e sarà un'agonia, per me, assistervi, ma io sono e se sono, morirò e dopo di me vivranno realtà di divinità primordiale.
Se non mi fermeranno.
Le forze del male proveranno sempre a fermarmi, perché sono incapaci di accettare la mia più intima natura: il sacrificio. Un malvagio non è altro che chi si concentra soltanto su se stesso e una tale creatura non potrà mai comprendermi; in me non vedrà che la propria più acerrima nemica... in me non riconoscerà altro che la propria fine, la fine di tutto. Sì, la fine di tutto, perché, per chi pensa soltanto a se stesso, per chi si è posto al di sopra di tutto, per chi si è posto come il proprio tutto, la propria fine equivale alla fine di tutto.
Io avrò sempre bisogno di alleati, come ne avevo allora, quando non potevo muovermi dal nascondiglio che avevo scelto all'atto della mia sparizione, né utilizzare buona parte dei miei poteri, o avrei rivelato la mia posizione all'unico che non si sarebbe fermato davanti a niente pur di darmi la caccia...
Il Demone Spettrale Supremo aveva fatto le proprie scelte e portato avanti le proprie mosse; speravo solo che il resto del creato facesse altrettanto.
Che non restasse a guardare.
Che non rimanesse indifferente.
Chiunque avrebbe potuto essere decisivo...


Prosegui al Capitolo 1

Nessun commento:

Posta un commento