tag:blogger.com,1999:blog-15443468832984700272023-11-16T11:26:51.317-08:00Marcello Gnani Fantasy BlogAnonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.comBlogger20125tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-83287974938228585762018-01-29T09:47:00.001-08:002018-01-29T09:47:59.834-08:00"Ciò che deve essere fatto" segnalato da "Le lettrici impertinenti"Altra segnalazione conquistata... Questa volta "Ciò che deve essere fatto" è stato segnalato da "Le lettrici impertinenti" (<a href="https://lettriciimpertinenti.blogspot.it/2018/01/segnalazioni-self-publishing.html?spref=fb">https://lettriciimpertinenti.blogspot.it/2018/01/segnalazioni-self-publishing.html?spref=fb</a>).<br />
Purtroppo, oltre che impertinenti, queste pur disponibili lettrici sono anche molto impegnate, quindi soltanto segnalazione, niente recensione... ma intanto è pur sempre un gradito strale di visibilità!<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-81429929611594828322017-12-13T13:59:00.000-08:002017-12-13T13:59:27.974-08:00"Ciò che deve essere fatto" è recensito da "Le notti bianche"Mi rendo conto che finalmente il mio ultimo romanzo sta conquistando il web... Lo ha difatti segnalato il sito "la bottega di libri" (<a href="http://labottegadilibri.blogspot.it/2017/12/segnalazione-cio-che-deve-essere-fatto.html#more">http://labottegadilibri.blogspot.it/2017/12/segnalazione-cio-che-deve-essere-fatto.html#more</a>) mentre il sito "Le notti bianche" lo ha addirittura recensito (<a href="http://www.lenottibianche.eu/cio-che-deve-essere-fatto-marcello-gnani/">http://www.lenottibianche.eu/cio-che-deve-essere-fatto-marcello-gnani/</a>)!<br />
Di questo passo, nel volgere di poche ere geologiche scalerò tutte le classifiche...<br />
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-84566699683056224142017-11-06T12:20:00.000-08:002017-11-06T12:21:19.265-08:00Il continente di AeskelonVisto che <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/10/il-continente-di-smoold.html">in un post precedente</a> avevo introdotto il continente di Smoold, quello che fa da sfondo agli eventi di cui al romanzo "<a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/cio-che-deve-essere-fatto-trama.html">Ciò che deve essere fatto</a>", per non fare discriminazioni mi sembra giusto proseguire col continente di Aeskelon, sul quale si sono svolte invece le vicende narrate in "<a href="https://magifab.blogspot.it/2017/10/larena-dei-draghi-trama.html">L'arena dei draghi</a>".<br />
<br />
Tra l'altro, Aeskelon è molto più gradevole da descrivere che da visitare: è il continente più selvaggio di tutto il mondo di Remniskar Thloth; selvaggio, giusto per tentare di rendere l'idea, circa come la mia dolce metà quando ha il ciclo, ha esaurito le sigarette, mi ha spedito a comprarle... e io sono in ritardo.<br />
Vicino alla Soglia Elementale del fuoco (<a href="https://magifab.blogspot.it/2017/10/il-pianeta-di-remniskar-thloth.html">questo</a> il link per chi ancora non conoscesse le Soglie Elementali), è ricco di vulcani e fumarole - in particolare nella parte rivolta verso detta Soglia.<br />
Alti rilievi e ghiacciai caratterizzano invece le zone centro-settentrionali.<br />
Si tratta di un continente più ricco di creature "allo stato brado" che di vere e proprie culture: qui hanno le loro tane un buon numero di draghi e vivono caotiche comunità di folletti di ogni genere...<br />
Sulle coste sud-occidentali, si incontrano diverse repubbliche marinare gnomiche, nessuna delle quali ancora assurta a posizione di netto predominio sulle altre, la cui economia risulta seriamente minacciata dai tributi che questo o quel drago viene di quando in quando ad esigere.<br />
Nel sottosuolo, verso est, la rigida magocrazia nanica di Ther Fek cerca di sfruttare a proprio vantaggio l'immenso potere del calore del sottosuolo e di imbrigliare tale naturale forza per utilizzarla nelle proprie fucine ed industrie, per poi rivendere i prodotti alle repubbliche marinare del sud ovest. Nel resto del continente, la maggior parte delle "culture" sono costituite da popolazioni barbariche appartenenti alle razze più disparate (e/o <i>disperate</i>).<br />
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Tra le varie piantine da me recentemente riscoperte, ovviamente figurava anche quella di questo continente (anche perché se no, per non <i>sfigurare</i>, ne avrei presentato uno diverso), quindi, ecco...</div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi3a-hAumYUG11vndwLz-tDVBosujLZUu8yGtzTe58BRTOmFyhGUThL3JJMYak4qD5ude4bmoEPDS-MDbHAiYUSXS-yHHjij1thseTldjwmSAFM5M0RJZIBXshZd5RM1UwS07j5SCd9rs/s1600/Aeskelon_m.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi3a-hAumYUG11vndwLz-tDVBosujLZUu8yGtzTe58BRTOmFyhGUThL3JJMYak4qD5ude4bmoEPDS-MDbHAiYUSXS-yHHjij1thseTldjwmSAFM5M0RJZIBXshZd5RM1UwS07j5SCd9rs/s640/Aeskelon_m.png" width="640" /></a></div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-16886147341807826232017-10-15T13:22:00.000-07:002017-10-15T13:51:39.794-07:00L'arena dei draghi - Trama<b>Draghi!</b> Queste antiche figure dalla leggendaria potenza, nate dal caos primigenio delle forze elementali della creazione, hanno ripreso le loro incursioni ai danni della repubblica marinara gnomica di Àruet.<br />
<br />
Cosa li ha indotti a rompere la tregua che Syog Pribbo, lo gnomo benedetto da Jaras, aveva ottenuto millenni addietro con la propria miracolosa predicazione?<br />
<br />
Come mai sembrano più organizzati, più determinati e più resistenti ai poteri empatici con cui gli gnomi sono soliti difendersi?<br />
<br />
Quale misterioso disegno li spinge a rapire gli individui più letali con le armi e più potenti quanto a capacità esoteriche o soprannaturali?<br />
<br />
Cosa attende i pochi fortunati che riescono a sopravvivere per un anno nell'<b>arena dei draghi</b>?<br />
<br />
Questa non è una storia di idealizzati eroi. Questa è l'impresa di un pugno di avventurieri che lottano per sopravvivere. Il fatto che la sorte della ricca repubblica di Àruet sia nelle loro mani, è puramente incidentale.<br />
<br />
Per leggere l'inizio:<br />
- <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/larena-dei-draghi-prologo.html">Prologo</a><br />
- <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/larena-dei-draghi-capitolo-1.html">Capitolo 1</a><br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-53922785101631932782017-10-09T13:05:00.001-07:002017-10-15T13:23:16.766-07:00Il pianeta di Remniskar Thloth...Ed ecco il "post successivo a parte"!<br />
(Per chi non sta capendo il bizzarro incipit: in questo post fornisco dovuti chiarimenti promessi in un <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/10/il-continente-di-smoold.html">post precedente</a>).<br />
<i>(Oh, e per chi non sta capendo l'entusiasmo che il punto esclamativo finale potrebbe suggerire: d'accordo, ammetto che è del tutto immotivato)</i>.<br />
<br />
Qui affronto più in generale la geografia high fantasy del pianeta di Remniskar Thloth, l'ambientazione di tutti i romanzi che ho scritto fino ad ora.<br />
Visto che è integralmente inventato da me, ovviamente non poteva essere un pianeta troppo normale... e ciò si evince già dal primo dettaglio: questo mondo non è tondo, come la Terra (e come un sacco di altri mondi privi di fantasia che l'hanno in ciò copiata), bensì piatto, quadrato.<br />
<br />
E dire che, tanti anni fa, quando avevo avuto questa idea, avevo anche pensato di essere stato chissà quanto originale... Poi (una delle tante ferite che il mio orgoglio ha dovuto sopportare) ho scoperto che il grande scrittore di fantasy umoristico Terry Pratchett aveva già da tempo immaginato un mondo piatto (il Mondo Disco) e forse ancora più bizzarro del mio.<br />
<br />
Ma lasciamo perdere le persone troppo geniali come Pratchett (se vi interessassero, che ci fareste sul mio blog?) e torniamo a me e alla mia ambientazione, Remniskar Thloth. Un mondo quadrato, dunque. E come la mettiamo con l'altezza e la profondità? Bene, sono semplicemente ignote: nessun mortale sa con esattezza quanto in profondità si estenda il sottosuolo e quanto in altezza il cielo.<br />
<br />
Il lato di Remniskar Thloth misura circa centomila chilometri ed il pianeta risulta per la maggior parte occupato da acqua, con le terre emerse raggruppate in quattro principali continenti, disposti all'incirca lungo le diagonali, da parti opposte rispetto al centro.<br />
<br />
Le diagonali, il centro e i lati del quadrato sono tutte zone molto speciali e decisamente magiche. La zona più ricca di potere magico è il centro del quadrato. Tale zona è anche designata (dai pochi che ne hanno conoscenza) "Fonte Arcana", in quanto è da tale punto che pare originarsi il flusso di magia che investe l'intero pianeta.<br />
<br />
Le diagonali del quadrato sono invece le "Direttrici Arcane", in quanto la magia scorre più copiosamente lungo di esse.<br />
<br />
I lati del quadrato, infine, sono le famose "Soglie Elementali" la cui spiegazione avevo lasciato in sospeso (per non fare troppo tardi ed evitare le reprimende della mia compagna - oggi invece ho già fatto tardi e sono già stato ripreso, quindi ho tutto il tempo del mondo).<br />
Ciascuno di questi lati (già reso piuttosto notevole dal fatto di delimitare la fine del mondo) è fortemente influenzato da uno dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco).<br />
<br />
A ciascun lato del mondo corrisponde un preciso punto cardinale: il nord è associato al lato dell'aria, l'est a quello del fuoco, il sud a quello della terra e l'ovest a quello dell'acqua. Su Remniskar Thloth, pertanto, gli aghi delle bussole puntano regolarmente verso la direzione in cui si trova Soglia Elementale dell'aria, posizionandosi perpendicolarmente alla linea della Soglia stessa.<br />
<br />
Il sole sorge sempre da est, quindi dalla Soglia Elementale del fuoco, percorre un ampio arco nel cielo e, al tramonto, scompare alla vista dietro la Soglia Elementale dell'acqua, a ovest. La luna segue invece il percorso inverso: sorge da ovest, dalla Soglia Elementale dell'acqua, per tramontare a est, dietro la Soglia Elementale del fuoco. Viene da sé che, ovviamente, su Remniskar Thloth non si hanno mai quelle assurde sovrapposizioni di astri che, sulla Terra, generano le eclissi di luna o di sole!<br />
<br />
Le stelle sorgono da sud (Soglia Elementale della terra) e tramontano a nord (Soglia Elementale dell'aria), mentre le comete che di rado vengono avvistate seguono regolarmente il percorso inverso (ovvero transitano nei cieli lungo un arco che parte dalla Soglia Elementale dell'aria, a nord, per concludersi dietro la Soglia Elementale della terra, a sud).<br />
<br />
La Fonte Arcana riveste un'importanza vitale anche a livello fisico, per Remniskar Thloth: da tale punto, difatti, sgorgano le acque che, spandendosi intorno uniformemente, formano gli oceani del pianeta, e l'atmosfera che, analogamente diffondendosi in ogni direzione, genera correnti d'aria che spirano verso i confini del mondo. Da si può ben comprendere l'oggettiva difficoltà, per una qualunque creatura pur capace di volare o di nuotare, di raggiungere la Fonte Arcana!<br />
Una volta che le correnti marine ed aeree si avvicinano alle Soglie Elementali, si hanno altri fenomeni notevoli, a seconda della Soglia in questione... fenomeni che nessun ardito navigatore o transvolatore che si sia mai spinto così avanti da ammirare ha mai potuto tornare indietro a riferire.<br />
<br />
A nord, verso la Soglia Elementale dell'aria, l'acqua va sempre più rarefacendosi, divenendo gradualmente più eterea, meno densa... fino a fondersi alle correnti d'aria stesse, che si perdono nel loro elemento naturale, al di là della Soglia stessa.<br />
A est, verso la Soglia Elementale del fuoco, l'acqua e l'atmosfera vanno sempre più riscaldandosi... fino a evaporare, bruciare ed annullarsi nell'infernale calore emanato dalle immediate vicinanze della Soglia stessa.<br />
A sud, verso la Soglia Elementale della terra, acqua e aria si fanno sempre più pesanti, ferme, stagnanti... fino ad annullarsi, dapprima in una malsana e fangosa palude, poi in un desolato deserto di roccia.<br />
A ovest, verso la Soglia Elementale dell'acqua, l'aria si fà progressivamente più umida... fino a fondersi, nelle immediate vicinanze della Soglia, alle acque stesse, generando un copioso flusso congiunto che scompare in una spettacolare cascata al di là del magico confine.<br />
<br />
I quattro continenti che sorgono dalle acque di Remniskar Thloth sono i seguenti: Aeskelon, Tugurnia, Shilthern, Smoold; sono tutti di forma piuttosto irregolare e si trovano ciascuno all'interno di uno dei quattro quadranti in cui il mondo risulterebbe diviso dalle linee che congiungono i centri dei lati tra loro opposti.<br />
<br />
Almeno tre di questi continenti dovrebbero essere noti alla nutrita schiera dei miei lettori: Smoold difatti funge da sfondo agli eventi di cui al romanzo "<a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/cio-che-deve-essere-fatto-trama.html">Ciò che deve essere fatto</a>", Aeskelon a "<a href="https://magifab.blogspot.it/2017/10/larena-dei-draghi-trama.html">L'arena dei draghi</a>" e Tugurnia all'intero ciclo dell'Alhat.<br />
<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyjz9gSCFRA9kpZpJ17gaPkXKB6SXAJz_CIHTSCQ7a-Bx7vjP1kxCQTVdZ8fhEhykYzRvkocqn-vK_bMaQozMRLBKp4je28tjCJuf5Mqst5q2PNQUWTP5_0Vm1IAjNMf6VM2yWk6oopS0/s1600/RemniskarThloth_m.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyjz9gSCFRA9kpZpJ17gaPkXKB6SXAJz_CIHTSCQ7a-Bx7vjP1kxCQTVdZ8fhEhykYzRvkocqn-vK_bMaQozMRLBKp4je28tjCJuf5Mqst5q2PNQUWTP5_0Vm1IAjNMf6VM2yWk6oopS0/s640/RemniskarThloth_m.png" width="640" /></a></div>
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-41350077317056734352017-10-04T10:52:00.000-07:002017-11-06T12:21:13.581-08:00Il continente di SmooldGiusto due cenni sul continente di Smoold, quello che fa da sfondo agli eventi di cui al romanzo "<a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/cio-che-deve-essere-fatto-trama.html">Ciò che deve essere fatto</a>".<br />
<br />
Smoold è un continente che si potrebbe definire "umido"... più o meno come l'Everest si potrebbe definire "alto". Le coste sono flagellate regolarmente da burrasche e tempeste, complice, probabilmente, l'influenza delle Soglie Elementali dell'acqua e dell'aria (zone mooolto particolari, approfondiremo magari in un <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/10/il-pianeta-di-remniskar-thloth.html">post successivo a parte</a> - se no faccio troppo tardi e la mia compagna mi burrisce per l'ennesima volta), di conseguenza i contatti con altri continenti sono eventi rarissimi e sempre ascrivibili ad interventi magici. Il rilievo è basso, prevalentemente a carattere collinoso e le valli ospitano sovente paludi e acquitrini, soprattutto nelle parti centrali del continente.<br />
Le zone costiere a nord e a est sono essenzialmente sotto il controllo della psicocrazia umana di Efflooger, che fonda il proprio potere sulle capacità mentali di telepati, scanner e sensitivi, e dall'impero di Tzass Tzakk, dominato (e principalmente popolato) dagli Tzani, curiosi ibridi tra gnomi e zanzare giganti.<br />
Le terre centrali sono proprietà dell'impero Snoogl dei Rosk, tozzi ibridi tra nani e ranocchi, ma sono presenti anche svariate comunità composte da razze non anfibie o che non amano scavare nel fango e che vengono tollerate purché versino regolare tributo (e prestino servizio militare quando necessario).<br />
Le coste di sud ovest, infine, sono reclamate dalla teocrazia elfica dell'Antico Popolo, composta da elfi che adorano le tenebre e la notte.<br />
<br />
E infine, visto che viviamo in un'epoca in cui domina l'immagine, ecco una rudimentale piantina del continente...<br />
(Sì, lo so, lo so, non è molto accurata, ma che dovrei sbattermi a fare? Di questi tempi abbiamo tutti il navigatore, suvvia!)<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPkl8ixzUh8XCmtaocyOOON0ndim0yH6xWHJ7njqxoGvjRk8l3w2EfI7TPo64d_NMMYk7Tbxdc85aU4CUzdHvGuzcQRRZd0h_mWYl4TST-WwWhCLuZLw8VAxQNpOrnDE-kplnJOxLpahA/s1600/Smoold_m.png" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1000" data-original-width="1000" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiPkl8ixzUh8XCmtaocyOOON0ndim0yH6xWHJ7njqxoGvjRk8l3w2EfI7TPo64d_NMMYk7Tbxdc85aU4CUzdHvGuzcQRRZd0h_mWYl4TST-WwWhCLuZLw8VAxQNpOrnDE-kplnJOxLpahA/s640/Smoold_m.png" width="640" /></a></div>
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-90956646337944818642017-09-10T12:14:00.000-07:002017-09-10T12:15:52.859-07:00Marcello Gnani intervistato su “Ciò che deve essere fatto” da… Marcello Gnani!<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">OK, sì, ha probabilmente poco senso che io mi intervisti da solo… ma dopo tutto lo si può anche vedere come un mio modo di essere coerente fino in fondo: già ho fatto ricorso all’autopubblicazione. Di conseguenza, per cercare di annunciare il mio nuovo romanzo in autonomia, mi sono dovuto dare all’autopromozione… Sarà poi così scandaloso, a questo punto, procedere con un’autointervista?</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ed ecco quindi </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Marcello Gnani Intervistatore</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;"> che, per conto della prestigiosa rivista “So darn fantasy magazine” si accinge a intervistare </span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Marcello Gnani Autore</span><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">…</span></div>
<b id="docs-internal-guid-2d91a360-6d35-9adb-7382-f7287ad6bf7d" style="font-weight: normal;"><br /></b><br />
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Gentile Marcello, è un vero piacere per me intervistarla. Conosco tutti i suoi romanzi fantasy e li ritengo di notevole livello.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Lei è davvero molto gentile; in fatto di fantasy, deve avere gusti molto simili ai miei… Mi piacerebbe che tali gusti fossero condivisi da una più vasta gamma di lettori.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Suvvia, che lei sia ancora poco noto è un dato di fatto, ma non può ignorare che c’è già qualcuno che ha definito Remniskar Thloth, l’ambientazione da lei creata e in cui ha ambientato tutti i suoi romanzi, come “superba”. E comunque, vedrà, la sua scelta di rilasciare questa intervista alla mia rivista “So darn fantasy magazine” risulterà certo determinante…</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sì, questo lo auspico anch’io... Anche se confesso che, non avendo mai sentito nominare la sua rivista, mi ero preso la briga di cercarla in edicola, ma purtroppo senza riuscire a trovarne una sola copia… Anzi, molti edicolanti mi guardavano con una faccia… Come se non ne avessero mai sentito parlare.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ah, capisco, anche lei ha commesso questa ingenuità. Eppure il titolo dovrebbe parlare chiaro: “So darn fantasy magazine”… La nostra rivista è così dannatamente fantasy, che non esiste nel mondo reale - del resto, se no, che fantasy sarebbe? Abbiamo una fortissima tiratura nella Terra di Mezzo, per non parlare poi delle copie che vendiamo nei Forgotten Realms o in Eberron… là, soprattutto tra le gilde dei ladri, vanno (letteralmente) a ruba. Ma non troverà un solo numero della nostra rivista qui, nel nostro mondo.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Uh ehm… Chiaro… Quindi sto per diventare una celebrità per un sacco di lettori immaginari… Mi permetterà, però, giusto per non trascurare troppo i lettori reali, quelli “del nostro mondo” come li chiama lei, di pubblicare in internet l’intervista?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Certo, si figuri! Ma ora entriamo nel vivo: il suo ultimo romanzo si intitola “Ciò che deve essere fatto”. Come mai questo titolo?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Questo titolo mi pare ben (rap)presentare il romanzo sotto molteplici aspetti. Anzitutto, si tratta della parte conclusiva di un antico adagio nanico: “Ci sono volte che un nano deve fare ciò che deve essere fatto” e il protagonista principale, il nano Paer, ha ben presente tale motto. “Eroe” meno idealizzato di altri, Paer non è per nulla ansioso di lanciarsi in imprese pericolose; quando si risolve a farlo, è perché riconosce che è lui quello che ha migliori probabilità di riuscire con successo a fare “ciò che deve essere fatto”. E’, insomma, il suo senso civico e il suo senso del dovere a muoverlo. E un titolo come “Ciò che deve essere fatto” mi sembra rendere molto l’idea del senso del dovere che permea tutto il romanzo.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ah, un romanzo incentrato su valori di questo genere non potrà che attirare l’attenzione dei nostri lettori nani!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Già… e immagino anche qui, “nel mondo reale” in generale e in Italia in particolare, quanto spopolerà… magari tra i “furbetti del cartellino”... Mmpf! Forse questi valori, per molte persone, sono ormai più fantasy che realtà.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ma se la pensa così, perché ha scritto un romanzo del genere?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Forse perché ritengo, nel mio caso, che sia “ciò che deve essere fatto”. Dopo tutto… fintanto che qualcuno parla (o fa parlare) di questi valori, significa che questi non sono ancora spariti, giusto?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E la decisione di devolvere i suoi proventi derivanti dalla vendita di questo libro per contribuire a pagare le cure di Gessica Notaro? Anche questo lei ritiene che sia “ciò che deve essere fatto”?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In effetti, anche qui ho seguito l’impulso della mia coscienza… ciò che secondo me andava fatto. Vede, trovo che quanto accaduto a Gessica sia una ingiustizia tremenda. In nessun mondo, reale o fantastico, dovrebbero succedere certe cose. Purtroppo, il fattaccio è ormai accaduto… e non è più in potere di nessuno cancellarlo. Ma se col mio piccolo gesto potrò almeno contribuire a mitigarne le conseguenze, sarà per me una soddisfazione enorme.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Insomma, ha voluto a suo modo (e in più modi) lasciarsi ispirare da Paer, il protagonista del suo romanzo. Torniamo dunque a lui; lei sottolineava poco prima il fatto che si tratti di un eroe poco idealizzato.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Così poco idealizzato, che io “eroe” lo avevo messo tra virgolette… Percepisco invece, dall’intonazione con cui ha pronunciato la parola, che lei, le virgolette, non le ha utilizzate!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Davvero un udito fine e sensibile il suo… O mi legge nel pensiero? Comunque d’accordo, diciamo “eroe” se così preferisce. Ma ora ci spieghi più in dettaglio.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">A dire il vero, anche nei miei precedenti romanzi ho sempre cercato di tratteggiare i protagonisti con un certo realismo, mettendo in evidenza le rispettive luci ed ombre… ma spesso i protagonisti di maggior rilievo possedevano in effetti doti di spicco, d’eccezione. Con Paer, ho voluto approfondire (e narrare) un eroismo più umano ed in un certo senso più alla portata di tutti.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Paer non è un guerriero invincibile; ha soltanto una certa esperienza di avventure e combattimenti, che gli garantisce qualche possibilità di sopravvivenza in più dei suoi concittadini più pacifici.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Paer non è senza paura, anzi, ne è letteralmente perseguitato! Qui, però, ho riscoperto (e tenuto a riproporre) una verità che il mio autore fantasy preferito, David Gemmell, mi aveva insegnato: non c’è vero eroismo senza paura. Del resto, quando il dovere chiama… ecco che Paer combatte coraggiosamente contro la propria paura e, per lo più, la vince - finendo per imbarcarsi nell’ennesimo pericoloso cimento.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E come se non bastasse che Paer non è senza paura… scopriamo nel romanzo che non è nemmeno senza macchia! Difatti, nel corso della storia, più volte si ritrova a far i conti con un passato di cui, evidentemente, non va orgoglioso.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Quindi, se Paer non è invincibile, non è senza paura, non è senza macchia… lei non trova che assomigli abbastanza a noi, a ciascuno di noi? Eppure, Paer è l’idolo della propria città. Perché? Perché Paer, a dispetto dei propri limiti, comunque si sforza di ascoltare la propria coscienza, di interessarsi di chi gli sta vicino e di aiutarlo quando e come può... di fare insomma “ciò che deve essere fatto”. E’ questo il suo eroismo. Un eroismo più alla portata di tutti, dicevo… ma non per questo banale né affatto scontato (o non sarebbe più eroismo!). Io vorrei tanto che nel mondo reale avessimo più Paer.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dunque un “eroe” meno fantastico e più reale di tanti altri. Del resto, anche il suo fantasy in generale e questo romanzo in particolare mi pare ben poco idealizzato.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sì, questo senz’altro. La mia ambientazione è medievaleggiante, quindi, nei miei romanzi, ci si deve attendere un livello di violenza circa in linea con quello di tale epoca. Non che mi diletti di scene macabre o cruente presentate per il solo gusto dello shock, però non mi piace nemmeno sublimare la crudezza che fa parte del vissuto dei miei personaggi. Sì, insomma, nei miei fantasy in generale e anche in “Ciò che deve essere fatto” in particolare, si ritrova un realismo, per intenderci con esempi celebri, in linea con quello di George Martin, o di Mark Lawrence, o di David Gemmell. Tra l’altro, chi, come me, è appassionato di Gemmell, potrà forse riconoscere come uno dei personaggi che compaiono nel romanzo sia, quanto a letalità, simile a diversi eroi gemmelliani e, di più, come una determinata scelta che costui farà ne ricordi una che (mutatis mutandis) anche l’"Uomo di Gerusalemme", John Shannow, aveva compiuto (e che, appena avevo letto, mi aveva sorpreso - e dunque colpito - molto).</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ah, certo, ricordo… Anch’io nel leggere quella scelta ero tornato con la mente a John Shannow. Ma ora, tornando a Paer, lei dice che nel mondo reale vorrebbe più persone come lui. Quindi, invece, secondo lei, di persone furbe e opportuniste come Nrak “Cuore d’Oro”, la madre di Paer, ne abbiamo d’avanzo?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Questo lo sta dicendo lei! Io mi dissocio…</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ma, scusi se la interrompo, come si dissocia? Io e lei siamo la stessa persona, casomai lo avesse dimenticato!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">E allora? Non ha mai sentito che “Dada è libertà: può essere quindi anche contro Dada”? Io pertanto non potrò a volte essere anche un po’ contro me stesso? Ma mi lasci spiegare: il punto è che io non sono una persona che condanna facilmente. Se da un lato è vero che Nrak, con la sua furbizia, il suo opportunismo e la sua scarsa empatia, è piuttosto antitetica a Paer, io d’altro canto cerco sempre di non dimenticare che la bellezza di ogni individuo risiede nella sua originalità - nel suo essere se stesso, magari integrato con gli altri, eppure diverso dagli altri. Chi ci dice che anche un elemento come Nrak, sotto i giusti stimoli, non possa cambiare, in tutto o in parte, e imparare a mettere furbizia e lucidità al servizio del bene comune, anziché del proprio privato tornaconto? E chissà a quel punto quanti benefici sarebbe in grado di apportare a tutti!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Hmmm… Sì, certo...</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Lei ne dubita? Ma perché poi? Consideri che un “furbo” come Nrak potrà forse imbrogliare un “eroe” come Paer… ma mai vincerlo definitivamente, perché non potrà mai renderlo uguale a sé. Il “furbo” può forse ammucchiare denaro, onori e privilegi, tesori in genere (il che in sé non fa schifo, ammettiamolo), ma un “eroe” conosce tesori che il “furbo”, semplicemente, non è in grado di vedere (per lo meno non fintanto che, con una evoluzione come quella che ho descritto, non diventa un po’ “eroico” a propria volta). Quindi, un “eroe” non si farà mai “furbo”. Mentre un “furbo” potrebbe un giorno farsi (almeno in parte) “eroico”, se riuscisse a capire quanto gli conviene. Io, quindi, ho speranza anche per gente come la nostra “Cuore d’Oro” Nrak!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dato che il discorso è caduto su Nrak, approfondiamo a questo punto il tema della famiglia di Paer… dal momento che in questo fantasy il protagonista non è solo al mondo, ma interagisce con madre, padre, nonna, sorella, promessa sposa…</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sì, questo è un altro punto che avvicina Paer a noi comuni persone del mondo reale: Paer ha una famiglia. In molti altri romanzi fantasy che ho letto, il tema della famiglia del protagonista non è sviluppato in modo molto approfondito. Come già notavo in una mia presentazione della mia opera su anobii, spesso le famiglie degli eroi fantasy sono clamorosamente assenti… o perché del tutto taciute, o perché brutalmente sterminate a inizio vicende, o perché ridotte a un solo membro (padre? fratello?) scampato al massacro o all’oblio soltanto perché utile come antagonista… Sì, insomma, ho visto così tanti autori fantasy evitare la complicazione della gestione di una famiglia (anche solo un po’) “normale” per il protagonista, che io mi sono sentito allettato dal tentare invece il cimento. Ed ecco quindi Paer che, già dal primo capitolo, nel bel mezzo di una delle proprie imprese, è intempestivamente costretto a ricordarsi che non si deve azzardare a venir meno agli impegni familiari. Proseguendo, per tutto il corso delle varie vicende, sempre le aspirazioni di Paer devono fare i conti con le opinioni della famiglia (madre e nonna in primis) e della promessa sposa e con gli eventuali vincoli che talvolta ne derivano. E, come nelle migliori famiglie, talvolta le differenze di vedute portano a opposizioni notevoli, da cui possono arrivare a scaturire misure davvero drastiche...</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Ah, certo, lei si riferisce a cosa decide la famiglia quando Paer si mette in testa di porre fine…</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Sì, sì, proprio a quello (siccome siamo la stessa persona, so bene a quale episodio sta pensando)! Ma, mi perdoni, se ora la interrompo io, non vorrei che facessimo un simile spoiler.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">D’accordo, ma mi dica allora almeno questo: nel sottolineare come familiari o persone care in genere, pur con le migliori intenzioni del mondo, possano mettere i bastoni tra le ruote a chi sceglie di fare “ciò che deve essere fatto”, lei ha attinto al proprio vissuto personale?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Indubbiamente, uno scrittore è bene che scriva di ciò che conosce; di conseguenza, le situazioni familiari mie e di altre persone a me molto ben note sono state una imprescindibile base di ispirazione e di partenza… Io però preferisco sempre rimaneggiare e riadattare la realtà (talvolta anche di molto), piuttosto che trasporla tale quale nelle mie opere; quindi posso assicurare che le vicessitudini di Paer con i propri cari sono solo e soltanto sue… non esistono persone del mondo reale alle quali io mi sia permesso di “rubare” (o anche solo prendere a prestito) i trascorsi. Non farei mai una cosa del genere, né a me stesso né ad altri.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Benissimo, niente furto di trascorsi dunque. Ciò è davvero lodevole. Ma c’è anche chi la ha velatamente accusata di bestemmia. Che può dirci al riguardo?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Beh, no, non esageriamo, nessuno mi ha apertamente rivolto accuse del genere. C’è semplicemente stato chi ha notato che un paio di nomi di divinità che compaiono nel romanzo assomigliano molto a bestemmie o imprecazioni. Si tratta però di niente di più che di un gioco di parole! Le due divinità incriminate sono divinità degli orchi. La prima che compare, è il dio orchesco della bestemmia. Questo nume incarna il disprezzo che tipicamente esibiscono gli orchi verso la sacralità… e viene venerato col nome di Orco Dio. La divinità che ha preso in moglie, la quale si concede occasionalmente ai fedeli più meritevoli (gli orchi non sono troppo per le ricompense spirituali), è invece nota come Orca Puttana. Come si può ben notare, non ho fatto altro che rimaneggiare orchescamente una bestemmia e una imprecazione… ma senza alcuna intenzione di bestemmiare effettivamente né di incentivare o difendere una pratica, come la bestemmia, dalla quale io, personalmente, mi astengo con convinzione. Nella mia vita io non ho mai detto *@^&*^!%@%*! e non comincerò certo adesso.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Tecnicamente, l’ha appena detto…</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Eh no! Io ho soltanto alluso… Non ha fatto caso che ho pronunciato la parola offuscata? Quindi, in fin dei conti, non l’ho pronunciata.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">In effetti, ha ragione. Ma ora che abbiamo parlato tanto sul romanzo, per concludere, allarghiamoci per un momento a lei e alla sua opera. Fino a oggi, lei ha pubblicato soltanto romanzi fantasy. Come mai questa predilezione per questo genere?</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Dev’essere per il mio grande amore per la libertà. Che è poi lo stesso motivo per cui amo tanto il mio attuale lavoro principale, quello di programmatore. Come Linus Torvalds aveva una volta osservato, un programmatore è (in un certo limitato senso, aggiungo io) un dio per il computer. Qualsiasi operazione (tra quelle possibili per il computer) il programmatore ordini al computer, il computer la fa. E la fa nel modo che il programmatore gli ha insegnato a farla. Non ci sono discussioni o esitazioni. Il programmatore comanda, il computer esegue.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Le faccio un esempio: se io ordino a un mio amico matematico di calcolarmi il risultato di 1/0, so già che avrò delle difficoltà. Anzitutto, il mio amico potrebbe rifiutare di farsi comandare e mandarmi a quel paese, che magari l’ho disturbato mentre era impegnato in attività per lui più piacevoli o interessanti. Ma anche se trovo il mio amico matematico in un momento in cui è disponibile, collaborativo e di ottimo umore, di sicuro la prima risposta che ottengo è che “non ha senso calcolare un numero diviso zero”, più eventuali supercazzole su limiti di 1/x per x tendente a zero da destra o da sinistra.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Col computer, tutto diverso. Se tra le operazioni per lui possibili figura la divisione e io gli comando di calcolare 1/0, neanche una piega. Lo fa. Magari il risultato non ha senso (la qual cosa non mi sorprenderebbe, dato che il mio ipotetico amico matematico ha dopo tutto ragione: 1/0 non ha significato). Magari scateno un errore da qualche parte. Ma ciò non importa. Il punto è che il computer lo fa. Esegue l’operazione. Sensata o meno che sia. Ed io ne vedrò gli effetti. Qualsiasi senso o scopo questi abbiano per me. Il computer non si permette di sindacare. Io dico, lui fa. Tocca a me e a me soltanto, dargli ordini che producano effetti sensati o, comunque, da me desiderati (o meglio ancora, dai miei clienti desiderati, se voglio che mi paghino).</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Scrivendo un fantasy, io godo di una libertà molto simile, dal momento che posso immaginare un mondo completamente altro dal nostro, governato dalle leggi fisiche o magiche che più mi piacciono e popolato da qualsiasi creatura io mi prenda la briga di inventare. A quel punto, tocca a me e a me soltanto, creare una ambientazione e una storia che sia sensata o, comunque, a me gradita (e meglio ancora gradita pure ai miei lettori, se voglio che mi leggano).</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Se è tanto il suo amore per questo genere di letteratura, immagino stia già pensando al suo prossimo libro, se non addirittura lavorandoci!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Al momento, purtroppo, sono preso da altre questioni, perché per me scrivere romanzi fantasy è sicuramente un passatempo molto bello… ma anche molto esigente. Cercare di creare un prodotto di qualità richiede molto tempo e fatica tra ricerche, ideazione, stesure, correzioni, riscritture... A maggior ragione se ci si deve autoprodurre, perché in quel caso si è del tutto abbandonati a sé stessi e bisogna occuparsi anche di aspetti per i quali, normalmente, un autore ha importanti aiuti esterni. Un esempio fra tanti? L’editing: se non si ha una casa editrice alle spalle che metta un editor a disposizione, deve sopperire l’autore in qualche modo (o cercandolo e pagandolo di persona, o sostituendolo con amici volenterosi e sufficientemente critici che leggano il romanzo, o…). Ma non solo. Anche una volta realizzato un prodotto di qualità (attività che, nel mio caso, in media mi richiede un anno), se si è abbandonati a sé stessi, la fatica non è affatto conclusa! Occorre continuare a lavorare per promuoverlo e venderlo (non a caso, è quello che anche ora sto facendo nel rilasciare questa intervista).</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Di conseguenza, ora che è un periodo della mia vita in cui ho margini di tempo più risicati, sono restio a progettare già un prossimo romanzo.</span></div>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Però, mi viene in mente una cosa che una volta ho detto a una persona a cui molto tengo, per cercare di consolarla da un brutto rovescio della sorte che aveva avuto: “Una delle cose che la vita mi ha insegnato, è che non possiamo mai essere sicuri di ciò che il domani porta”. Di conseguenza, armato del mio abituale ottimismo, io sono sempre restio ad abbandonare del tutto la speranza. Al momento, non sto progettando nuove produzioni letterarie, ma… chi può saperlo? Un domani magari mi attiverò anche per il prossimo romanzo.</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: 700; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Glielo auguro di cuore… visto il fervore con cui ci ha presentato il suo libro e la passione con cui ci ha parlato della sua attività di scrittore. E me lo auguro anche per tutti coloro che già hanno imparato ad apprezzare i suoi romanzi; le ho già detto in apertura di intervista che li ho letti tutti e che mi sono piaciuti! La ringrazio per aver concesso l’intervista a “So darn fantasy magazine”, è stato un vero piacere incontrarla di persona. Buona giornata!</span></div>
<b style="font-weight: normal;"><br /></b>
<div dir="ltr" style="line-height: 1.38; margin-bottom: 0pt; margin-top: 0pt;">
<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 11pt; font-style: italic; font-variant: normal; font-weight: 400; text-decoration: none; vertical-align: baseline; white-space: pre-wrap;">Si figuri, piacere mio! E una buona giornata anche a lei</span></div>
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-29786616035466955532017-08-31T13:26:00.003-07:002017-08-31T13:26:48.546-07:00Ciò che deve essere fatto - Trama<b>Paer</b> c'è cascato per l'ennesima volta.<br />
A dispetto di tutti i migliori propositi (nonché sacri giuramenti!) di tenersi fuori dai guai e del suo profondo disprezzo per gli idealizzati eroi senza macchia e senza paura di cui sempre cantano le saghe, è sempre la stessa storia: quando qualche sventura o pericolo minaccia la sotterranea città nanica di Traágrin o anche soltanto qualcuno dei nani che la abitano, alla fine tocca sempre a lui mettersi in gioco e rischiare la vita tra mille spaventi.<br />
Ma si sa, come recita un antico adagio, "ci sono volte che un nano deve fare <b>ciò che deve essere fatto</b>".<br />
E dunque, Paer (proprio per questo soprannominato <b>Difensore</b>), ogni volta che è chiaro che è lui ad avere le migliori probabilità di riuscita o, per lo meno, di riportare a casa la pelle, si fa forza, e va... a dispetto dell'ostacolo che una madre decisa e autoritaria, un padre fanfarone, una nonna apprensiva, o una promessa sposa non troppo ardentemente desiderata possono rappresentare.<br />
Spesso combattuto tra il proprio notevole senso del dovere, un passato con cui finir di fare i conti e le proprie paure (o magari anche solo legittime aspirazioni a una vita meno turbolenta), saprà Paer fermarsi prima di accettare qualche cimento superiore alle proprie capacità?<br />
<br />
Per leggere l'inizio:<br />
- <a href="http://magifab.blogspot.it/2017/08/cio-che-deve-essere-fatto-prologo.html">Prologo</a><span id="goog_1219405289"></span><a href="https://www.blogger.com/"></a><span id="goog_1219405290"></span><br />
- <a href="http://magifab.blogspot.it/2017/08/cio-che-deve-essere-fatto-capitolo-1.html">Capitolo 1</a><br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-31432903382601118382017-08-30T14:16:00.000-07:002017-08-31T13:08:51.023-07:00Ciò che deve essere fatto - Capitolo 1<b>Sottosuolo nei pressi di Traágrin,<br />
anno 240524 dalla fondazione di Traágrin,<br />
giorno di Liíro, 13 Graákel</b><br />
<br />
Un dito più a
sinistra e avrebbe perso l'occhio. Così, invece, il khanjar, il
ricurvo e minaccioso coltellaccio del goblin, lo mancò e scivolò a
lato, con uno stridio fastidiosissimo, sulla superficie di metallo
del carrello retrostante.<br />
"Giuro per la
Forgiatrice, questa è <i>l'ultima</i> volta" lottò per non
lasciarsi sopraffare dal panico Páer. Per un istante, fu certo che
il kriss, pugnale dalla caratteristica lama serpeggiante, con cui
l'altro goblin stava per infilzarlo avrebbe colpito al di sotto dello
strato di cuoio borchiato dell'armatura e gli avrebbe aperto le
carni.<br />
Invece, la botta
disperata che il feroce nano aveva fatto partire, il lesto affondo
del manico di pieno acciaio della tabar, fu più rapido. Colse il
goblin sull'elmo cornuto. Il gracile umanoide emise un acuto verso di
dolore, mentre l'elmo ammaccato gli scivolava dalla testa. Barcollò
indietro di un passo e crollò stordito.<br />
Quello col khanjar
morse a Páer una mano priva di protezione, per ostacolarlo, poi
colpì con la lama al collo. Gli attraversò la folta barba riccia,
tingendone il biondo scuro di sangue.<br />
I goblin, simili,
nell'aspetto a gnomi fangosi, pustolosi e abbruttiti, sono assai meno
massicci dei nani, oltre che un poco più bassi, ma ciò che a loro
manca in stazza, viene abbondantemente compensato da pura e feroce
cattiveria. Una volta che Páer, detto Difensore, aveva aggredito gli
ultimi sei goblin, quelli che stavano trainando sulle rotaie del
binario morto l'ultimo carretto di minerale aurifero, tre erano
caduti, uno dopo l'altro, sotto i colpi della pesante tabar. Ma gli
altri tre non si erano lasciati intimidire. Si erano fatti sotto, per
portarsi a una distanza alla quale la pesante ascia sarebbe stata
pressoché inutile... a differenza delle loro corte armi. Uno non ce
l'aveva fatta. Due sì.<br />
Ora, uno di questi
era riuscito a colpire.<br />
Ci riprovò, ma
Difensore, stringendo i denti per soffocare il dolore, strattonò la
mano imprigionata. La liberò. I denti aguzzi del goblin avevano
morso a sangue.<br />
Il gomito del nano
scattò e spaccò il labbro del pugnace nemico. Gli occhi marroni del
nano si socchiusero con odio, scacciando per un momento dolore e
paura. Incrociarono per una sola frazione di secondo quelli stretti e
omocromi del goblin. Il biondo capo ricciuto del nano era già
scattato. Fracassò il naso della feroce creaturina, facendola
abbattere a terra.<br />
Finirli. Doveva
farlo subito, prima che potessero riprovare ad ammazzarlo. La ferita
al collo gli bruciava. Páer a tratti invidiava e a tratti odiava
quegli eroi delle storie di Némo Profeta, che affrontavano battaglie
su battaglie senza battere ciglio. Difensore, invece, nel corso di
ogni scontro, aveva sempre paura. Veniva il momento in cui la
concentrazione della lotta o la furia della pugna aiutavano a
relegare la paura in un angolo. Ma che brividi, quando una punta
passava vicino all'occhio, quando una lama rischiava di recidere
un'arteria, quando una botta minacciava di fracassare un osso...<br />
«Páer, <i>ricordati</i>
di non fare tardi!» echeggiò improvvisamente, all'orecchio del teso
nano, la voce <i>di sua madre.</i><br />
Il nano perse
qualche preziosa frazione di attimo a trasalire, brandendo la propria
fida tabar di nuovo a due mani, e a volgersi sbalordito.<br />
«Perché <i>lo
sai</i> che domani sera, a cena, festeggiamo il nuovo filone scoperto
da tuo padre» proseguiva, spietata e imperterrita, la voce della
nana, sempre all'orecchio di Difensore. «E devi avere <i>anche</i>
il tempo di lavarti e cambiarti!<i>Non vorrai</i> offendere la tua
famiglia piombando trafelato, all'ultimo momento e vestito da
straccione?!»<br />
<i>Magia!</i>
Quella nana ossessionante di sua madre era ricorsa a un sortilegio di
telecomunicazione <i>per ricordargli di prepararsi per la cena!</i> E
proprio <i>in quel momento,</i> in cui <i>il collo gli faceva male
per un taglio appena rimediato</i> e <i>ci aveva quasi lasciato la
pelle!</i> Si trattenne dall'imprecare soltanto perché temeva che
l'incantesimo potesse veicolare l'inopportuna risposta. E Nrák, la
madre di Páer, davvero, davvero, <i>davvero non</i> era una nana che
convenisse offendere.<br />
«Quindi, datti
una mossa» proseguì lo stregato messaggio. Ma il nano cessò di
prestarvi attenzione: i due goblin si stavano riprendendo. Ciò
significava che stavano per riprovare a ucciderlo.<br />
Difensore emise un
verso belluino, forse impressionante, ma per il resto inutile, mentre
calava la tabar in un forte fendente contro il nemico più vicino,
quello a cui aveva rotto il naso. Il goblin riuscì a scansarsi di
misura. La pesante lama d'acciaio emise un fracasso assordante,
nonché alcune scintille, cozzando sulla pietra. Il goblin colse
l'occasione per scagliare il proprio khanjar, da una distanza dalla
quale sarebbe stato difficile sbagliare anche per uno gnomo sbronzo.<br />
«E <i>vedi</i> di
non farti accoppare!» si concluse nel mentre il magico messaggio di
Nrák.<br />
Il khanjar sibilò
accanto all'orecchio di Páer. O il goblin aveva una mira <i>peggiore</i>
di quella di uno gnomo sbronzo, o il fatto di dover tirare in tutta
fretta, col naso rotto e mentre un nano furibondo gli urlava addosso,
ben intenzionato a farlo a pezzi, doveva avergli impedito di rendere
al meglio.<br />
Difensore gli si
avventò contro con una falcata e lo calciò a una gamba. Páer aveva
sempre avuto un piede di dimensioni ragguardevoli, per essere un
nano; un piede che, calzato in un duro stivale nanico dalla punta
accentuata, strappò nuove alte grida di dolore alla vittima.<br />
«Così starai più
fermo» bofonchiò Difensore, calando una seconda volta la tabar.
Questa volta col riscontro di un disgustoso rumore di carne macellata
e di un ultimo grido di dolore.<br />
Inutile dire che
l'altro goblin aveva avuto ogni agio di finire di riprendersi, di
recuperare il proprio pericoloso kriss dalla lama serpentina e di
sfruttare le proprie magiche facoltà per mimetizzarsi.<br />
"Ci mancava
anche questa" pensò Páer, volgendo gli occhi ora qua, ora là,
sul chi vive. La ferita, che sarebbe probabilmente risultata letale
sulla morbida pelle o sul debole corpo di un Superficiale come un
umano o uno gnomo, non era affatto grave, per Difensore. Le carni
naniche, di proverbiale resistenza, avevano riportato un taglio non
troppo profondo. Ma un taglio è sempre un taglio e a Páer dava
fastidio. Avrebbe preferito potersi rilassare, potersi bendare,
potersi felicitare di esserne uscito vivo ancora una volta, magari
riportare a Traágrin il carico che quei maledettissimi goblin
avevano rubato e, a scanso di suscitare le ire della propria
famiglia, lavarsi, cambiarsi e raggiungerli a cena.<br />
Invece, no. Doveva
guardarsi le spalle da un maledetto goblin mimetizzato.<br />
Se i nani,
difatti, grazie alla loro parentela con la roccia, sono
incredibilmente resistenti, i goblin, affratellati al fango, sanno
essere viscidi e furtivi... Non è punto semplice, individuare un
goblin ben nascosto.<br />
«Senti, goblin,»
tentò la via del dialogo Difensore, parlando nella lingua Snòogl,
utilizzata in tutto il vasto impero Ròsk dal medesimo nome
«finiamola qui».<br />
«Non mi puoi
ammazzare da solo» sperava di non sbagliarsi Páer. Maledetto collo!
E maledetti brividi lungo la schiena. In verità, forse, un colpo
fortunato...<br />
«E mi sembri un
tipo a posto» proseguì il nano. «Ti lascio vivo.» ("e tu
<i>farai</i> altrettanto, vero?" pensò Difensore) «Io vado via
col mio tesoro... e tu con la tua pellaccia».<br />
Niente. Forse era
già andato. O forse era d'accordo e aspettava solo che Páer se ne
andasse. Maledetta ferita, che fastidio! Il nano vi passò quasi
istintivamente una mano sopra.<br />
Il goblin <i>eruppe</i>
alle sue spalle, emergendo da una pozza di fango che avrebbe dovuto
essere troppo piccola per celarlo. Ma i goblin sfruttano fino in
fondo le pur ridottissime risorse magiche di cui godono. Una mano
ancora lorda di acqua e melma afferrò i ricci biondo-scuro di
Difensore e l'altra calò il kriss verso il collo.<br />
<i>Non</i> era
stato un colpo fortunato. Ferito una seconda volta, ma ancora vivo e
vegeto, Páer replicò con una possente gomitata. Allacciò con la
propria gamba quella del goblin e lo fece incespicare. Vi si lasciò
cadere sopra per non dargli alcuna possibilità di svicolare di
nuovo. Voleva schiacciarlo. Ma caddero su uno strato di pantano.<br />
Il goblin cercò
di guadagnare lo spazio di affondare il kriss ancora una volta, ma il
nano non glielo concesse. Levò alta la destra, in cui ora stringeva
una frastagliata pepita d'oro nativo, di dimensioni e peso
ragguardevoli.<br />
«Volevi l'oro?»
ringhiò Difensore «Eccolo!»<br />
E gli spaccò la
tempia con il pesante sasso.<br />
Bene. Finalmente,
poteva occuparsi delle proprie ferite. Roba da poco. Ma fastidiosa.
Anche se poteva andare ben peggio. Se quel maledetto messaggio magico
fosse arrivato prima, tradendolo mentre era impegnato a cercare di
sorprendere tutti e sei i goblin...<br />
Fu allora che Páer
cominciò a invidiare anche un'altra caratteristica degli eroi delle
storie di Némo: <i>non avevano parenti. </i>Quasi tutti orfani. Di
altri, semplicemente, non si faceva parola alcuna dei familiari; né
genitori, né nonni, cugini, zii...<br />
<i>E Difensore li
capiva benissimo!</i> Ma come si poteva andare a cuor leggero a
combattere un eventuale potentissimo signore del male, con mamma e
papà, dietro, a tirarti per l'armatura per implorarti (o ordinarti)
di restare al sicuro? O coi nonni, da un lato magari ancora più
preoccupati, e dall'altro magari bisognosi di assistenza da un
momento all'altro? O con ogni altro genere di cari inermi, pronti a
essere sfruttati come ostaggi dai nemici più spietati?<br />
<i>Per non parlare
poi di quando ti chiamavano a cena mentre stavi rischiando di farti
uccidere...</i>
<br />
<br />
<b>Traágrin,<br />anno
240524 dalla fondazione di Traágrin,<br />giorno di Sygèro, 14
Graákel</b><br />
<br />
«È tornato il
Difensore!» tuonò Gáot, uno dei minatori che erano stati vittime
della razzia.<br />
«Per il martello
della Forgiatrice, Páer!» esclamò Tjár, un altro dei minatori,
strabuzzando i neri occhi e affrettandosi ad accorrere «Ce l'hai
fatta!»<br />
«Avevate dubbi?»
emerse, sudato (ma almeno non più sanguinante), Páer da dietro i
carretti minerari che aveva spinto di nuovo fino a Traágrin.<br />
«Il giorno che io
non sarò più capace di occuparmi di un pugno di goblin,» si bullò
il nano trionfatore «sarà quello in cui voi non saprete più
occuparvi di tre carretti d'oro!»<br />
Con grasse risate
e il cuore riscaldato dal ritorno del minerale rubato, Gáot, Tjár e
tutti i loro colleghi minatori si affrettarono a circondare il loro
"Difensore", a battergli pacche sui fianchi e sulle spalle
e a osannarlo.<br />
Il furto in sé
non sarebbe bastato a compromettere l'economia della industriosa
comunità mineraria; ma ci sono poche cose che i nani amano più
delle gemme e dei metalli preziosi! Se gli odiati goblin fossero
riusciti a passarla liscia dopo un colpo del genere, lo smacco morale
subito da tutta la città sotterranea di Traágrin sarebbe stato
gravissimo. Ora, invece, era tutto di nuovo come doveva essere.<br />
Grazie a Difensore
Páer.<br />
"Quanto
sarebbe tutto dannatamente perfetto, se solo i tagli al collo
smettessero di darmi fastidio" pensò privatamente l'idolo
locale, mentre la notizia del suo ultimo successo si diffondeva dalla
zona delle miniere a quella urbana con la velocità di un incendio in
un pagliaio. La fasciatura, improvvisata dal nano con strisce del
proprio stesso abito, aveva arrestato del tutto la perdita di sangue
(tanto che egli l'aveva tolta giusto poco prima di arrivare), ma
avere la carne tagliata non era <i>per nulla</i> tanto confortevole
quanto averla integra!<br />
«Páer! Páer!»
gridavano le due ali di nani che l'eroe del giorno trovò schierate
ai lati della strada ricavata tra le stalagmiti e gli strapiombi
della grande caverna.<br />
«Difensore!
Difensore!» tuonavano invece altri.<br />
Non ci sono molte
cose capaci di indurre un nano a interrompere il proprio lavoro. Che
così tanti nani si fossero sentiti spinti ad allontanarsi
momentaneamente dalle proprie quotidiane occupazioni per celebrare il
suo ritorno, riempì Páer di orgoglio. Forse, dopo tutto, affrontare
le avventure non era così male. Lo faceva sentire bene. O, per lo
meno, meglio. Il ricordo di un bambino attraversò la sua mente,
fuggevole come un fantasma.<br />
Páer si incupì.
Per un poco, non sentì più le ovazioni che i concittadini festanti
continuavano a tributargli. Poi, gradatamente, il buon umore ritornò.
Era già di nuovo capace di sorridere, quando riconobbe suo padre,
Nóar, tra la folla, vicino all'ingresso delle mura. I biondi capelli
di Nóar erano più chiari di quelli del figlio, nonché ormai qua e
là lievemente striati d'argento, ma il nano si ergeva così fiero,
da parere imponente quanto i bastioni delle mura esterne, pareti così
alte da raggiungere il soffitto dell'ampia caverna e chiudere la
città completamente, come si trattasse di un immenso, unico
edificio.<br />
«Eccolo!» il
nano indicò Páer a due amici, segnandolo a dito «Mio figlio!
Nessun altro ci sarebbe riuscito, ma nessun problema, per lui! Ha
sbaragliato tutti e venti i razziatori!»<br />
A poco sarebbe
servito protestare che i goblin erano stati soltanto dodici. E che
non li aveva "sbaragliati", ma seguiti, braccati e
eliminati a poco a poco. Rischiando di lasciarci la pelle contro gli
ultimi sei. Suo padre, solitamente impassibile e temperato come ogni
nano che si rispetti, quando si trattava di lui, si lasciava
puntualmente trascinare all'eccesso. Indubbiamente, entro poche ore,
i razziatori sarebbero diventati trenta, forse anche quaranta. E
avrebbero avuto al loro seguito anche guardie scelte orchesche, o
rinnegati Ròsk, o esoteristi Superficiali.<br />
Il padre avrebbe
persino cercato di convincere <i>lui</i> che le cose erano andate
così.<br />
Dopo aver
scambiato pacche esuberanti e fragorosi convenevoli coi compaesani,
Difensore superò le porte dell'urbe nanica e, senza bisogno di
arrampicarsi per le occasionali scale a chiocciola che conducevano ai
livelli di minor prestigio, raggiunse la sontuosa dimora presso la
quale ancora viveva con la famiglia. Sua nonna Ljád, che non la
finiva mai più, con le preghiere che lui abbandonasse la sua vita da
"disgraziato", termine che la poveretta utilizzava per
designare gli avventurieri. Sua madre Nrák, che gli voleva
altrettanto bene... ma che aveva un poco di fiducia in più nelle sue
capacità e tollerava che egli le mettesse a frutto, anche se cercava
puntualmente di indurlo a ricavarne maggiori profitti. Suo padre
Nóar, che sembrava sinceramente convinto che nulla fosse impossibile
per lui.<br />
Peccato, che,
ultimamente, tutti loro fossero anche convinti che lui dovesse...<br />
Páer scacciò con
stizza il fastidioso pensiero e andò a prepararsi per la cena. Il
preciso orologio ad acqua che dominava la parete di fronte
all'ingresso principale dell'abitazione lo informava che non aveva
tempo da perdere.<br />
<br />
Il viso di Nrák,
segnato da rughe per l'abitudine a espressioni di freddezza, stizza o
disapprovazione, si illuminò del consueto sorriso compiaciuto.<br />
Era entrato Páer.<br />
<i>Il suo</i>
Páer, come ricordava sempre a sé stessa, soddisfatta.<br />
Che figlio
meraviglioso. Aveva tutto quello che si potesse desiderare in un
nano. Era forte. Era bello. Era ricco. Almeno di famiglia.<br />
Non era stato a
caso che Nrák aveva scelto il proprio marito, quando era stato il
momento. Ella, grazie al proprio vantaggioso matrimonio con Nóar,
aveva fondato una famiglia decisamente abbiente. E, assieme al
marito, ne aveva amministrato il patrimonio con abilità e spiccato
senso degli affari, al punto da far meritare ancora di più alla
famiglia il nome di "Tóar Kút", ovvero "pietra
dura", letteralmente, ma, più comunemente, "gemma"...
e da guadagnare a sé stessa il soprannome di "Cuore d'Oro",
per lo speciale posto che oro e ricchezze avevano nel suo cuore.<br />
Crescendo, Páer
sarebbe potuto diventare il nano più influente di tutta Traágrin;
il signore assoluto della comunità. Sarebbe bastato solo che la
finisse di essere Difensore. Che la smettesse con quella sua mania
dei favori. Era l'idolo di tutti, nella città sotterranea... ma che
cosa ricavava, da ciò? Soltanto di venire chiamato puntualmente a
rischiare la vita a ogni minima occasione.<br />
Che bramasse
l'avventura, a quell'età, Nrák poteva anche capirlo. Cosa capiva,
un nano, ad appena centotré anni? Un nano non ha una vita effimera
quanto quella di creature più sventurate, come ad esempio i comuni
esseri umani, che maturano (e <i>invecchiano</i>) cinque volte più
rapidamente... Che Páer si divertisse pure, dunque. Ma la nana, al
suo posto, si sarebbe data assai più da fare, in fase di accordi
preliminari e di discussione di <i>ricompensa.</i> Pazienza; col
tempo, sarebbe maturato. Ne era certa.<br />
Era suo figlio.<br />
«Ben tornato» lo
salutò Cuore d'Oro, con quel controllato calore con cui lo
ricompensava quando era contenta di lui. Era tornato. Era ancora
intero. Si era lavato e cambiato. Era elegante. E puntuale. E se, per
giunta, magari, questa volta...<br />
«Quanto te ne è
venuto in tasca?» provò a informarsi la nana, speranzosa.<br />
Páer, nella
propria ampia ed elegante cioppa scagliosa in pelle di drago
sotterraneo, parve colto per un momento in fallo, mentre prendeva
posto davanti a un piatto di succulento stracotto (di drago
sotterraneo anche quello), ma seppe subito sfoggiare quel gioviale
sorriso davanti al quale nemmeno la madre riusciva a insistere a
rimproverarlo a lungo e rispose: «Trenta rote».<br />
Nrák avrebbe
voluto sprofondare. <i>Trenta</i> rote. Per aver recuperato un carico
d'oro capace di valerne <i>più di duemila</i>. Si appuntò
mentalmente di far visita alla stirpe di Juékna ta Kóar (nome che
significava "Mani di Metallo"). Avrebbe ripatteggiato <i>lei</i>
una ricompensa adeguata per il servigio che il suo Páer aveva appena
reso loro.<br />
Rasserenata dalla
prospettiva di quanto avrebbe potuto estorcere alla famiglia a cui
apparteneva il carico, Cuore d'Oro rispose al sorriso del figlio e
replicò, piegando appena il capo dai folti capelli corvini sul quale
aveva posto un elegante diadema con un rubino al centro: «Non vale
neanche la pena di arrabbiarsi, con una testa di granito come te.
Almeno ti sarai divertito. E poi hai portato a casa la pelle».<br />
«Perché? Era
pericoloso?!» si allarmò subito Ljád, l'anziana nana dai capelli
ormai un poco radi e del tutto bianchi, ghermendo subitaneamente il
braccio del nipote, il quale si era appena seduto a tavola, accanto a
lei.<br />
«No, nonna»
Difensore fissò i propri cheti occhi marroni in quelli omocromi, ma
già velati di lacrime e assai preoccupati, dell'anziana
interlocutrice. «Mamma diceva per dire. Lo sai che sto sempre
attento».<br />
«Ma se stai
attento...» ragionò Ljád, già angosciata, avvicinandosi
pericolosamente alla soglia di un pianto a dirotto «... vuol dire
che <i>c'è</i> pericolo!»<br />
"Sì, <i>certo</i>
che c'è pericolo, nonna!" avrebbe voluto gridare Páer "E
tutte le volte che parto non sono sicuro né di tornare, né di farlo
tutto d'un pezzo. Devo averla ereditata da te, questa paura dannata
che mi segue passo passo tutte le volte che rischio la pelle! Ma ci
sono volte in cui un nano deve fare quello che deve essere fatto".<br />
Sfogatosi
mentalmente nel volgere di pochi istanti, Difensore fu in grado di
rispondere, a voce, in maniera assai più pacata: «No, nonna; nessun
pericolo, davvero. Chiedi a tuo figlio!» e si volse con un aperto
sorriso a Nóar, chiamandolo in causa «Papà, secondo te ho corso
qualche rischio?»<br />
«Certo, come no?»
sghignazzò il biondo nano «<i>Quello di annoiarti!</i> Che ostacolo
potevano mai essere, venti goblin e qualche orco, per un vero nano
come te?»<br />
«Dodici, papà»
cercò stancamente di correggere l'altro Páer. «Erano soltanto
goblin ed erano solo in dod...»<br />
«Comunque,» si
intromise Nrák «possiamo stare tutti tranquilli».<br />
Il sorriso scaltro
che traspariva dalla compostezza quasi perfetta della madre non
piacque per niente a Difensore.<br />
«Ci penserà
Láevak,» continuò nel mentre la nana, confermando i peggiori
sospetti del figlio «ad aiutare il nostro ragazzo a tenere la testa
a posto!»<br />
I volti di tutti i
presenti si rischiararono tanto quanto quello di Páer si incupì.<br />
«Io non voglio
Láevak» tentò di protestare Difensore.<br />
«Una così brava
figliola...» commentò Ljád, con quel tono di gnolosa delusione che
Páer odiava.<br />
«Forse» concesse
Difensore. «Ma io...»<br />
«Una così <i>bella</i>
figliola...» lo interruppe Nóar, strizzandogli l'occhio con
espressione di complice lascivia.<br />
«Lo vedo da me»
replicò l'altro. «Però...»<br />
«Lei <i>ti ama,</i>
Páer!» fece, accorata, Fróak, sua sorella minore, guardandolo con
quei suoi occhi blu come lapislazzuli, grandi ed espressivi.<br />
«Non voglio <i>lei!</i>»
batté il pugno sul tavolo Páer «Io voglio...»<br />
«<i>Noi</i>
abbiamo scelto lei» lo interruppe Nrák con tono fermo. «È ricca.
È bella. È assennata. È perfetta per te, figlio mio. Quindi <i>tu</i>
domani andrai a chiedere la sua mano a casa Óger to Ljukamáert».<br />
Tutti gli sguardi
della famiglia erano fissi su di lui. Avevano deciso. Per chissà
quale maledettissimo motivo che sfuggiva alla comprensione del nano,
la sua famiglia era tutta conquistata da <i>lei.</i> Quante volte ne
avevano discusso? Eppure, niente. Con l'andare del tempo, non avevano
fatto altro che rinsaldarsi nella loro convinzione.<br />
Per una frazione
di un momento, Difensore fu tentato di comportarsi come un
Superficiale. Di ribellarsi alla famiglia. Alle regole. Alle
tradizioni.<br />
Ma fu appena un
attimo.<br />
Páer <i>non</i>
era un Superficiale. Non era umano, o un elfo, o un esponente di una
qualunque di quelle altre razze assurde e incostanti che rifuggivano
il solido ordine del sottosuolo per condurre esistenze vane tanto
quanto gli aperti spazi che vi facevano da sfondo. Egli era un nano e
da nano, riconoscendo che la famiglia aveva preso una decisione
collegiale e definitiva, cessò ogni protesta.<br />
Chinò il capo e
disse solo: «Obbedisco».<br />
Poi, cercando
consolazione nel cibo, si sputò sulle mani e se le sfregò l'una con
l'altra, nel gesto rituale che ogni nano ben educato compiva prima di
cominciare un pasto. E pensare che esistevano razze così mal
informate da avanzare dubbi sull'igiene dei nani...<br />
Mentre tutti
facevano a gara per congratularsi con Difensore e per ripetergli
quanto fosse fortunato, nella mente del nano si fissarono solo le
parole della madre, la quale, ammorbidendo lievemente il tono, gli
disse: «Credimi, figlio mio, quella è la nana per te. Domani
compirai un passo che non avrai mai motivo di rimpiangere».<br />
Ma la lucida nana
calcolatrice non sapeva quanto si stava sbagliando, al riguardo.<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-31682640172355352142017-08-30T14:07:00.000-07:002017-08-31T13:42:12.281-07:00Ciò che deve essere fatto - Prologo<b>Traágrin,<br />anno
240524 dalla fondazione di Traágrin,<br />giorno di Gaáry, 11 Graákel</b><br />
<br />
<div align="LEFT">
<i>Sei gli elmi ai cavalieri di Wrannun,</i></div>
<i>che li proteggan nella sacra cerca.</i><br />
<i>Tre
martelli a batter forte,</i><br />
<i>per
forgiar le loro lame.</i><br />
<i>Due
i fiumi di Cairunnan,</i><br />
<i>la
fatata terra di salvezza,</i><br />
<i>che
darà i natali alla speranza,</i><br />
<i>all'unico
Cercatore destinato a guidarli</i><br />
<i>a
trovare il sacro talismano di Kaenor.</i><br />
<br />
«No, Némo,
<i>davvero</i> no» il giovane nano levò il palmo della sinistra a
interrompere le declamazioni dell'amico. «Lo sai che quella
dell'Ultimo Cercatore non mi piace».<br />
«Tzk!» esclamò
lo Tzáni, lievemente stizzito «Ho capito che non ti piace, Páer.
Dovrei avere una testaccia dura come quella di un nano, per lasciarmi
sfuggire i tuoi <i>sottili segnali</i>».<br />
E Némo, di duro,
dava l'impressione di avere ben poco. Come tutti gli Tzáni, i
bizzarri ibridi gnomo-zanzara che era possibile trovare sul
continente di Smóold, l'essere aveva l'aspetto di un umanoide di
altezza ben inferiore al metro, basso anche rispetto a un nano e
certo assai meno robusto, con accenni di morbide rotondità, al
limite, in luogo di soda muscolatura scolpita.<br />
«<i>Tutte le
volte</i> che mi azzardo a incominciare questa storia,» enumerò
sulle dita lo Tzáni «insisti sempre a interrompermi. Dopo averlo
fatto, non contento, tipicamente spendi <i>ore</i> a criticare questo
o quell'aspetto della leggenda. Almeno mi avessi dato la
soddisfazione di ascoltarla tutta fino alla fine, una sola volta! Per
giunta, nemmeno riesci a ricordare che il capolavoro del bardo Jerére
si chiama "Unico Cercatore" e non "<i>Ultimo</i>
Cercatore"...»<br />
Gli Tzáni
sapevano articolare le parole con una facilità che non mancava mai
di sorprendere chi li vedeva per la prima volta, considerata la loro
faccia da zanzara, con tanto di mostruosa proboscide potenzialmente
adatta a suggere sangue... ma Páer conosceva Némo ormai da più di
vent'anni, quindi non perse tempo a meravigliarsi e si limitò a
sbuffare: «Unico, ultimo... che differenza fa? Sempre la stessa
storia. Il Male che vuole il mondo... L'oggetto per fermarlo... La
ricerca... Il viaggio...»<br />
«Se,
successivamente, un mucchio di altri cantori <i>di mezza tacca</i>
hanno replicato alla nausea lo schema dell'immortale Jerére, ciò
non è certo ascrivibile a sua colpa!» difendeva il proprio idolo
Némo. Da Tzáni appassionato di leggende qual era, non poteva che
ammirare quel grande bardo della propria stessa gente e davvero non
concepiva l'idea che qualcuno potesse non afferrarne la grandezza.<br />
«Anzi, questo
casomai testimonia...» avrebbe inteso proseguire lo Tzáni.<br />
«... Testimonia
che un tempo si accontentavano facilmente!» tagliò corto Páer,
aggrottando in segno disapprovazione le sopracciglia bionde, folte
quanto le chiome che, del medesimo colore, gli cadevano appena sotto
le spalle «Sai come la penso. Già la trovata degli gnomi dalle gote
violacee è una cazzata».<br />
"Come
volevasi dimostrare..." pensò lo Tzáni, alzando gli occhi alla
volta della propria abitazione, affrescata con scene di misteriosi
vaticini e incorniciata da rune dal significato occulto "Ecco
che comincia la fase due: la denigrazione gratuita".<br />
Era tentato di
involarsi sulle proprie fragili alette da zanzara e uscire dalla
vicina finestra, rappresentata da poco più che un ovale scavato
nella parete. Le ali sarebbero state in grado di reggere il suo peso
per un breve tratto, anche se nessuno Tzáni era in grado di
sfruttarle abbastanza a lungo da farne il proprio strumento di
locomozione primario.<br />
Páer, il quale,
evidentemente, non era minimamente sfiorato dal sospetto che i nani,
nel ribadire a ogni occasione le proprie convinzioni, potessero
rendersi incredibilmente noiosi, proseguì imperterrito: «Di cosa
soffrivano, questi gnomi? Di ecchimosi permanenti alle guance?
Sarebbe per questo che nella storia ce le hanno tutti violacee? E
poi, che termine, per indicare quei poveretti, discriminandoli per la
loro statura: "i dimezzati"... Già sarebbe brutto essere
un Superficiale,» (con tale nome i nani designavano, con sufficienza
o disprezzo, gli umani o, più in generale, gli abitanti della
<i>superficie</i> del pianeta) «figurarsi esserne <i>mezzo!</i>»<br />
Némo tentò di
riprendere la parola, ma il nano, il quale già lo dominava
fisicamente dall'alto del proprio metro abbondante di statura, lo
sopraffece anche verbalmente, proseguendo: «Ma quella storia di come
il Signore del Dolore frega i regnanti di tutte le razze, poi! Va
bene gli elfi; magari loro, Superficiali sventati, <i>potrebbero</i>
anche accettare doni fatati da un tizio che è il Male in persona
senza farsi troppe domande. Va bene gli umani, Superficiali stupidi.
Ma <i>i nani! Nessun</i> nano sarebbe mai così cretino! Nessuno!»<br />
«Neanche se i
doni fossero minerali <i>molto</i> preziosi, magari capaci di
produrre oggetti di fattura perfetta e suscettibili d'esser
potentemente incantati?» si levò infine un poco da terra con le
alette lo Tzáni, per fissare i propri occhi sfaccettati nelle iridi
marroni dell'amico e provocarlo «Nemmeno in tale caso un nano si
lascerebbe vincere dall'<i>avidità</i> e dalla <i>cupidigia</i>?»<br />
«Un nano <i>tiene
presente il valore delle cose,</i>» tenne a precisare Páer, di
fronte alla <i>totalmente esagerata</i> critica che le altre razze
così spesso muovevano alla sua «ma non si lascia <i>abbindolare</i>
come un cretino!»<br />
«In effetti,»
finse di rassegnarsi l'altro, con un teatrale sospiro «dei veri nani
si sarebbero forse limitati a caricare l'Oscuro Sire con le loro
tabar, intenzionati a <i>rapinarlo</i>».<br />
«Némo, Némo...»
toccò ora al nano, sospirare «Non hai paura che un giorno io mi
stufi delle tue insinuazioni e carichi <i>te</i> con la mia tabar?»<br />
La prospettiva di
un marziale nano lanciato alla carica con una tabar, un'ascia da
guerra pesante, fatta <i>interamente</i> d'acciaio, in effetti non
sarebbe stata piacevole per nessuno, forse nemmeno per un drago
sotterraneo, ma lo Tzáni si limitò a sorridere divertito:
«Dimentichi che so prevedere il futuro?» e gli batté una pacca
amichevole sul fianco «So benissimo che non lo farai».<br />
Prevedere il
futuro. Certo, come no? Páer era sempre scettico, a mente fredda,
quando udiva Némo proferire tale vanto. Eppure, nei momenti di
bisogno, molti dei nani della sotterranea comunità di Traágrin
andavano a chiedergli consiglio... E, a quanto pareva, nella sua
patria, nelle lontane terre dell'impero Tzáni di Tzáss Tzákk, al
nord, Némo era considerato un veggente a tutti gli effetti. Per
questo, ormai, lo soprannominavano tutti "Profeta".<br />
«Ma se sei un
profeta,» lo accusò il nano «allora <i>sapevi</i> che non mi
sarebbe piaciuta la tua storia!»<br />
«Per sapere
quello non ci vuole un profeta;» fece spallucce Némo «non te ne
piace <i>nessuna!</i> Quando ti ho raccontato quella della fanciulla
benedetta predestinata a sconfiggere il principe dei demoni di cui
non si poteva nemmeno pronunciare il nome...»<br />
«Lo credo bene,
che non si può pronunciare!» barrì Páer «Nemmeno io terrei molto
a far sapere in giro chi sono, se mi fossi comportato da cretino come
lui! Ma come?! Ha lì fra le mani la neonata che dovrebbe, un giorno,
sconfiggerlo. Potrebbe benissimo prenderla per i piedi e sfracellarle
la testa contro il muro più vicino. Chiaro? <i>Splat!</i> E più
niente minaccia! Ma no! Lui deve fare le cose in grande. Deve provare
a ucciderla <i>con una empia maledizione.</i> E anche se tu mi
racconti che è il principe dei demoni, temuto in tutti gli inferi,
uno spaccaculi di prima forza, ecco che il suo <i>grande</i>
sortilegio, sulla <i>lattante indifesa,</i> riesce soltanto a farle
avvizzire la pelle del collo, mentre lui è riscaraventato agli
inferi gemendo di dolore! Mi chiedo come pretendi che io possa bermi
una stronzata simile...»<br />
«E inutile
ricordare quanto ti sia piaciuta quella del prode cavaliere e della
draghessa...» sospirò Némo.<br />
«Quella storia
scema in cui i draghi sono gli <i>animali da soma volanti</i> di
<i>cavalieri Superficiali?</i>» qui era quasi più incredulo che
indignato il nano «Ma dico, Némo, ma da dove le tiri fuori certe
idee? Hai mai provato anche solo <i>a avvicinare</i> un drago? Non
dico cavalcarlo; non dico nemmeno parlargli; ti ci sei almeno, una
volta, <i>avvicinato?</i> Ovviamente no, visto che sei in giro a
raccontare simili cazzate, anziché nello stomaco di uno di loro.
Poche creature sono più ribelli, indipendenti e <i>pericolose</i> di
un drago. Se poi ci aggiungi che il cavaliere prima diventa in un
attimo un maestro di forgia, in modo da potersi creare da solo la
propria tulwar, poi diventa un mago in quattro e quattr'otto, così
già che c'è riesce anche a incantare potentemente la propria arma,
poi...»<br />
«Tzk!» volle
tentare di ribattere lo Tzáni «Magari era più intelligente di <i>te!</i>»<br />
«Némo,» fece
Páer, questa volta col tono paziente con cui avrebbe cercato di far
comprendere un'ovvietà a un bambino «vuoi provare, tu, una volta, a
venire a lavorare alla forgia? Vuoi vedere se davvero ti basta un
primo tentativo, per diventare abbastanza esperto da avere non dico
la <i>certezza</i> di creare un'arma decente, ma per lo meno <i>una
possibilità</i> di arrivare alla fine della sessione di lavoro senza
rovinare minerali, materiali, attrezzi... o peggio <i>te stesso?</i>»<br />
«E sarebbe per
questo che sei venuto qui?» tentò di cambiare discorso Profeta «Per
invitarmi a una lezione di forgia?»<br />
Il nano si
riassestò impercettibilmente sulla sedia, parzialmente a disagio,
allungando distrattamente la mano sul tavolo di casa dell'amico a
prelevare un'albicocca candita. Regnava la tenebra più fitta, lì,
nel sottosuolo, nella immensa grotta in cui era stata edificata
l'urbe nanica di Traágrin. Ma ciò non disturbava minimamente né i
nani né lo Tzáni che aveva preso dimora presso di loro: entrambe le
razze erano perfettamente in grado di vedere al buio. Ciò che
disturbava Páer era ammettere che, nonostante dubitasse fortemente
delle facoltà di Némo, quando non aveva bisogno di ricorrervi, ora
era venuto a chiedergli consiglio.<br />
«Va bene,»
concesse lo Tzáni «<i>non</i> rispondermi. Dopo tutto, che veggente
sarei, se non sapessi nemmeno che sei qui per chiedermi come andrà a
finire se ti imbarcherai nell'ennesima impresa da scavezzacollo?»<br />
«Non ci voleva
molto a capirlo...» bofonchiò il nano, comicamente combattuto tra
scetticismo e credulità «Quando ho bisogno di te, è sempre per
questo».<br />
«Davvero non
credi alle mie facoltà?» sorrise Profeta «E allora perché
continui a venire?»<br />
«Perché mi dici
sempre che riporterò a casa la pelle» rispose Páer, diretto.<br />
"E che cosa
altro dovrei dirti, testone di un nano?" pensò Némo, nel
segreto della propria mente "Anzitutto, è l'unica profezia che
tu, come cliente, non potresti mai tornare indietro a smentire... e
poi ci tengo anche a darti un po' di fiducia. Meglio quella che la
verità, ovvero che ogni volta rischi di fare una brutta fine. E so
che lo sai anche tu. Ma sei un testone di nano e, a dispetto di tutte
le volte che giuri per la Forgiatrice, quell'assurda dea-artigiana in
cui credete voi altri, a ogni nuova occasione ti lasci fregare.
Sempre tu, quello che si imbarca in qualche impresa stupida o
pericolosa al servizio della comunità. E tutto ciò che fino a ora
questa tua abitudine ti ha fruttato, è stato solo il soprannome di
Difensore. Tzk! Páer, Páer, amico mio... Speriamo bene anche questa
volta..."<br />
<br />
<br />
Prosegui al <a href="http://magifab.blogspot.it/2017/08/cio-che-deve-essere-fatto-capitolo-1.html">Capitolo 1</a><br />
<br />
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-44743404649195430192017-08-30T13:32:00.000-07:002017-08-30T14:08:08.190-07:00Trame d'incanto - Capitolo 1<b>Passo di Gràmmahn<br />anno 314159 dalla fondazione di Hòvval,<br />giorno di Chymmér, 25 Sythebòt</b><br />
<br />
<br />
Il gelo della notte non si era mitigato affatto. Il mattino era giunto senza sole, velato dalle spesse coltri di foschia le quali giustificavano ampiamente il nome di quelle aspre e selvagge montagne: i Monti delle Nebbie.<br />
«Presto l'occhio di Etheèlvufurzuri si poserà su queste terre» bofonchiò il ragazzino vestito di pelli sbrindellate, alzandosi di umore cupo dal giaciglio improvvisato vicino al fuoco di bivacco e stirando i possenti muscoli ben disegnati da Alhaturkh, da barbaro dei Monti delle Nebbie.<br />
Era una facile previsione: già da quattro giorni il solstizio aveva segnato l'inizio dell'inverno, la stagione in cui l'astioso dio del gelo del pantheon Alhaturkh fissava il mondo col proprio malevolo sguardo portatore di disagi, tribolazioni e sventure... e minacciando la propria terribile vendetta finale, la frigida e terribile apocalisse con cui avrebbe un giorno reclamato il reame dei mortali.<br />
«Dici bene, Hàrikhot» ammise l'elfo, Xathàmklemhinn, esaminando brevemente il cielo coi propri acuti occhi verdi, già pronti e vigili appena compiuto il passaggio dal sonno alla veglia, e lanciandosi un veloce incantesimo per scacciare il freddo accumulato nel corso della notte; «siamo stati fortunati a non aver dovuto fronteggiare la piena forza delle nevicate che certo, entro pochi giorni, si scateneranno».<br />
I Monti delle Nebbie non erano terre che viziassero i propri figli. E Hàrikhot ne era la prova: il ragazzino era un esponente degli Alhaturkh, i barbari duri quanto retrogradi che appartenevano a quella terra da generazioni; era alto, robusto, le lunghe chiome negre e disordinate gli conferivano un aspetto ferale e la cupa luce in quegli occhi marroni non prometteva alcuna tolleranza agli ostacoli, così come ai nemici alcuna pietà. Risultava più prestante (e minaccioso) di Xathàmklemhinn, sebbene l'elfo avesse già fatto il proprio ingresso nell'età adulta... e vissuto ben più a lungo: gli anni, per gli elfi, sembravano trascorrere ad un ritmo pari soltanto a una frazione di quanto non accadesse per gli umani! Xathàmklemhinn aveva già raggiunto i duecento anni d'età, pur dimostrandone fisicamente e psichicamente appena un decimo. E se si badava alla spruzzata di efelidi ai lati del naso, forse gli se ne potevano attribuire anche un poco meno.<br />
«E allora, non prendiamola a calci, questa fortuna» fu l'esortazione di Gùrp, il nano, di altezza ben inferiore a quella dell'elfo, ma robusto, massiccio... e, come in fondo egli stesso (pur senza ammetterlo) sapeva, grasso. «Sbrighiamoci a raggiungere questo covo di <i>Superficiali</i> dove avete scelto di andare!»<br />
I capelli non erano mai stati il punto di forza di Gùrp... ma la mattina presto, reduci da uno svogliato risveglio, le arruffate chiome nere del nano, ridotte a un'accozzaglia di ciuffi in rivolta l'uno contro l'altro, davano un'impressione di trasandata sciattezza che né la folta barba incolta né la sporcizia profusa sul corpo e sugli abiti dell'umanoide facevano molto per smentire.<br />
Ben diverso effetto sortivano le castane chiome di Xathàmklemhinn, le quali ricadevano in lisce cascate composte... talvolta, a onor del vero, rese più lucenti, o pulite, o ordinate da qualche semplice sortilegio. Mentre si avvicinava a Nhèthyrhann, l'affascinante ex-paladina che si era unita per ultima al gruppo, l'elfo si volse un attimo al nano: «Come ho già avuto modo di farti notare, <i>animale,</i> nessuno di noi intende opporsi ai tuoi primordiali istinti... Se il pensiero di venire con noi nella città di Hòvval ti angustia, <i>torna,</i> ti prego, torna sui tuoi passi e dedicati di nuovo alla semplice vita di profondi scavi o violenti saccheggi che tanto più pare confacente alla tua natura...»<br />
«Ti diverti a punzecchiarmi?» gli occhi nocciola del nano si strinsero minacciosi, mentre le tozze ma forti mani serravano il manico del suo inseparabile piccone... attrezzo che i nani addestrati (come Gùrp) sapevano egregiamente utilizzare anche come arma. Era vero che al nano non andava per niente, di accompagnarli a Hòvval, una città di quelle assurde, bizzarre e imprevedibili creature che sceglievano di vivere sulla caotica <i>superficie</i> del pianeta, anziché nel chiuso e ordinato sottosuolo. Se per quello, al nano non era piaciuta gran che nemmeno l'idea di aggregarsi allo sparuto drappello... il quale pur sempre da <i>Superficiali</i> era costituito! Ma per l'una decisione come per l'altra, aveva avuto le proprie ottime ragioni. E non era disposto a metterle in discussione.<br />
«Ma no, Gùrp, dai! Xathàmklemhinn non diceva sul serio!» si intromise Nhèthyrhann, la donna dall'atletico fisico, agile e forte a un tempo, il quale parlava di un passato di lotte e d'avventura «Ti siamo tutti grati per averci guidati attraverso le viscere della terra e lo sai!»<br />
Dal fondo degli occhi blu dall'aria vagamente smarrita, affiorava una sincerità difficile da non notare... e ancora più difficile da mettere in dubbio.<br />
Hàrikhot si allontanò un poco tra i bassi pini piegati dalle continue intemperanze di un vento, come quello del passo di Gràmmahn, viziato dall'assenza di ostacoli ai propri capricci. La mattina, appena svegli, era un buon momento per espletare alcune prosaiche ma essenziali funzioni corporali. Gùrp, parzialmente rabbonito dal discorso della Superficiale, del quale, grazie alla propria sempre migliore conoscenza della lingua Alhaturkh, aveva compreso la maggior parte, si affiancò al ragazzino, condividendone gli intenti.<br />
Un poco di nevischio cominciò a mischiarsi alle raffiche.<br />
L'ultimo membro del curiosamente assortito drappello, Fgèhrhodd, sedeva paziente, sullo stesso macigno dall'alto del quale aveva vegliato tutta notte sul riposo dei compagni. Solitamente si faceva carico lui di quel compito. E non chiudeva occhio tutta notte. Spesso nell'ombra, lontano dal fuoco. Ma il freddo e la stanchezza, così come la fame, non lo toccavano. Non più. Era da tanto, tantissimo tempo, che Fgèhrhodd, una volta arcimago di Hòvval, era divenuto un non-morto. Tanti, dei potenti, a Hòvval o in una qualunque delle altre città-stato delle Piane delle Stelle, si sottoponevano a tale trasformazione. Ma quasi nessuno, a differenza di Fgèhrhodd, sopravviveva per il lunghissimo periodo al termine del quale il tempo, lavoratore dall'assiduità senza eguali, riusciva infine a piegare anche le arcane forze della magia e riduceva i non-morti a meri scheletri animati, privi di particolare pericolosità e potere.<br />
«Hai trovato la risposta?» risuonò una voce telepatica nella mente del non-morto. Una voce che egli ben conosceva. La voce di colei che quasi nessuno considerava un vero e proprio elemento del gruppo. Ma che forse lo era più a buon diritto di tutti, avendolo fondato. La voce di Zàxeras. La spada che Hàrikhot portava sempre al fianco. Una spada molto speciale.<br />
Una dea.<br />
La morte.<br />
La causa di tutti i loro ultimi guai.<br />
«Sì» sorrise interiormente Fgèhrhodd, sereno dopo le private rievocazioni della notte appena trascorsa. Lo scheletro animato aveva votato intere esistenze a sfuggire la morte, sacrificando tutto a quello scopo. Poi, quando l'aveva incontrata fisicamente, in quella forma di spada in cui macchinazioni tra dei e demoni l'avevano costretta, ne era stato attratto in maniera irresistibile.<br />
Adesso, l'amava.<br />
«Solo un attimo» mormorò Xathàmklemhinn a Nhèthyrhann, vedendola massaggiarsi vigorosamente con le mani per riattivare la circolazione; l'elfo ricorse di nuovo alla propria magia, mettendosi in comunione, con pochi e aggraziati gesti, con lo Fphé, l'armoniosa totalità del creato. Ogni elfo, a mezzo di tale istintiva comunione, poteva richiamare il potere della magia, seppure per creare soltanto effetti relativamente semplici.<br />
«Grazie!» sorrise di aperta gratitudine la guerriera, schiudendo le labbra piene a mostrare la chiostra di bei denti bianchi. Xathàmklemhinn aveva invocato su di lei il potere del latitante sole, donandole un tepore il quale, a forza di soli massaggi, ella avrebbe certo stentato assai a guadagnare.<br />
«Dovresti farlo anche per gli altri» lo invitò la donna dalle ricce chiome, bionde e chiare fino a sfumare nell'argento, preoccupandosi anche dei restanti membri del gruppo. Nhèthyrhann si era ritrovata ad unirsi a loro per salvarli. Ma, con quel pretesto, aveva avuto occasione di salvare anche sé stessa.<br />
Salvarsi dal proprio nemico peggiore.<br />
<i>Ovvero sé stessa.</i><br />
«Sono animali avvezzi a queste zone e a questi climi» minimizzò Xathàmklemhinn, scuotendo la coperta su cui aveva dormito e ripiegandola per riporla nel proprio zaino. Non parlava con intenzione di offendere. Gli elfi consideravano effettivamente quasi tutti i non-elfi come <i>animali...</i> e, a onor del vero, mostravano anche una sincera benevolenza, verso le specie animali che non risultavano pericolose o violente.<br />
«No, dai Xathàmklemhinn, non chiamarli così» si sentì offesa Nhèthyrhann. «Sono <i>persone,</i> come te e come <i>me</i>».<br />
Un banco di nebbia più bianca e fitta cominciava a levarsi da un canalone non distante. Hàrikhot ritornò verso il misero accampamento, volgendosi per un momento indietro: «Dai Gùrp! Muoviamoci! In capo a poche ore, arriveremo in città!»<br />
«A questo proposito, Hàrikhot,» scese per riunirsi agli altri Fgèhrhodd «durante la marcia dovrei spiegare a te e ai nostri compagni alcune cose. Sai, Hòvval dalle Bianche Mura è un ambiente piuttosto diverso dalle selvagge cime dei Monti delle Nebbie...»<br />
<br />
Il sentiero che, attraverso il passo di Gràmmahn, scendeva a Hòvval non era dei più battuti: quasi nessun selvaggio abitante dei Monti delle Nebbie scendeva mai verso la città e, analogamente, quasi nessun civile cittadino di Hòvval aveva motivo di arrancare verso quelle terre inospitali. Come conseguenza, il sentiero era in pessime condizioni, parzialmente franato in molti tratti, reso insidioso da angusti passaggi, con roccia da una parte e baratri dall'altra, e dalle raffiche dell'incipiente bufera.<br />
«Come la nostra <i>civilizzata</i> Nhèthyrhann potrà confermarvi,» cercò di farsi udire Fgèhrhodd, parlando preferibilmente quando l'ululato del vento era più basso «in Hòvval, come in tutte le Piane delle Stelle, i non-morti di più infimo rango... come zombi e <i>scheletri animati...</i> sono considerati pericolosi, se non hanno padrone».<br />
«"Padrone"?» distillò stupore e scandalo in un'unica parola Xathàmklemhinn.<br />
«Sì, "padrone"» confermò il non-morto. «Qualcuno che li tenga sotto il proprio completo controllo. Che dica sempre loro cosa fare... e senza il quale loro se ne stiano passivi o immobili».<br />
«Ma è <i>orribile!</i>» fece l'elfo, figlio di una cultura in cui l'individuo spontaneamente aderiva ai saggi consigli degli anziani, piuttosto che farsi comandare a bacchetta da elementi a cui riconoscere un'arbitraria posizione di predominio «Ma come...»<br />
«Non farla tanto lunga!» gli sbuffò contro Gùrp, raschiandosi la gola e sputando, ben più avvezzo, da buon nano, alle precise e ordinate gerarchie «Hanno bisogno di un responsabile che garantisca per loro! È così difficile da capire!?» poi si volse a Fgèhrhodd «A chi pensavi, come padrone? La più credibile sarebbe <i>la pecorella...</i>» e indicò dietro di sé, col pollice, Nhèthyrhann, la quale trasalì sbiancando.<br />
«Mi chiedo come tu possa sentirti autorizzato a mancare di rispetto alla nostra amica in questo modo» replicò un composto ma tagliente Xathàmklemhinn. «Non mi pare che nessuno, tra noi, si riferisca a te chiamandoti, ad esempio, <i>"grasso vermiciattolo sottosviluppato"...</i>»<br />
«Queste parole te le rimangerai assieme ai tuoi denti davanti!» ringhiò Gùrp, voltandosi rapidamente... e rischiando di perdere l'equilibrio, quando mise un piede troppo vicino a una zona di terra friabile a margine del sentiero. Xathàmklemhinn tese prontamente la mano e aiutò il nano a trarsi d'impaccio.<br />
«Dai, su, non litighiamo tra di noi!» aveva nel mentre spalancato i preoccupati occhi blu Nhèthyrhann «Non mi vergogno di ciò che sono, Xathàmklemhinn... Non più, ora che tu e tutti gli altri mi state dando la possibilità di provare a cambiare. Gùrp non mi ha offesa. Ma» e si rivolse a Fgèhrhodd «avere uno scheletro animato al mio servizio... Non so... Non mi sembra...»<br />
Era ovvio. Nhèthyrhann era stata una paladina dell'ordine dello Scudo Onnipresente. Aveva sicuramente cacciato e sterminato zombi e scheletri per anni. Ritrovarsi improvvisamente "padrona" (seppure fittizia) di uno di questi, era certo un'idea che doveva scombinarla almeno un poco!<br />
«Io pensavo a Hàrikhot» chiarì comunque subito Fgèhrhodd.<br />
«Ma è <i>uno sbarbatello!</i>» esclamò automaticamente Gùrp, servendosi, senza pensare, di quel termine che per i nani, con il loro culto della folta barba, equivaleva sostanzialmente a "lattante".<br />
«Uno "sbarbatello" che ti da dei punti, negli allenamenti con le armi!» ribatté pronto Hàrikhot, per nulla disposto a lasciarsi sminuire.<br />
"<i>Per forza!</i>" pensava il nano "Tu usi <i>quella...</i>" e si perse per qualche attimo a contemplare la meravigliosa spada. Meravigliosa non per fronzoli e ornamenti (dei quali, difatti, era priva), quanto per bilanciamento, flessibilità, resistenza, filo... e <i>potere.</i> Gùrp aveva più volte immaginato che cosa avrebbe fatto, una volta che fosse riuscito ad impossessarsi di quell'arma da re, che aveva rapito il suo cuore di nano come soltanto un manufatto eccezionale avrebbe saputo fare.<br />
«Sì,» spiegò Fgèhrhodd «Hàrikhot è giovane; ma, col suo fisico di <i>possente barbaro virgulto,</i> tra i cittadini sembrerà quasi più uomo che ragazzo. E, proprio in quanto barbaro... quindi ritenuto dai più, per ignoranza, capace di qualsiasi cosa... non sarà affatto incredibile, nel ruolo di padrone di un non-morto. Lo penseranno un selvaggio negromante in erba che viene ad affinare le proprie capacità».<br />
«Spesso, però,» osservò Hàrikhot, individuando un percorso sicuro tra fango e rocce viscide «io ho bisogno dei tuoi consigli...»<br />
«È <i>in pubblico,</i>» sospirò lo scheletro animato, badando a posare i piedi negli stessi punti scelti dal giovane Alhaturkh «che dovremo recitare. O davanti alle autorità. O alla gente che conta. In privato o quando non daremo nell'occhio potremo comportarci normalmente».<br />
«"Gente che conta"...» ripeté Hàrikhot «Intendi dire il capo della città?»<br />
«Come già avevo cominciato ad accennarti, Hàrikhot,» spiegò pazientemente lo scheletro animato «una città delle Piane delle Stelle, come Hòvval dalle Bianche Mura, è ben diversa da una tribù Alhaturkh dei Monti delle Nebbie... A Hòvval il numero degli abitanti è pari a dieci volte dieci quello dei membri di una delle tue tribù. Non c'è un solo capo, perché nessuno è abbastanza potente. Ci sono tanti capi, che insieme comandano; insieme costituiscono il consiglio della città. E anche tra quelli che non fanno parte del consiglio... ci sono delle differenze. Non sono tutti uguali. C'è chi è più potente e chi meno. Ci sono alcuni che, pur non essendo capi, sono comunque "più capi" degli altri... Possono comandare quelli meno importanti di loro... Capisci?»<br />
«Forse» pareva perplesso Hàrikhot. «Noi come sapremo quanto siamo importanti, una volta là?»<br />
«Considerando che, inizialmente, non conosceremo nessuno di importante, che proveniamo dalle terre selvagge dei Monti delle Nebbie e che non avremo un solo ducato in tasca,» enumerò il non-morto «non ho difficoltà a risponderti che non varremo <i>nulla</i>».<br />
<br />
«Venite, fermiamoci un momento qui» invitò i compagni Fgèhrhodd, con un gesto dell'ossuta mano, addentrandosi in una sorta di nicchia laterale che garantiva una qualche forma di riparo dagli elementi.<br />
«Perché?» domandò Hàrikhot, stringato e diretto come suo solito, mentre seguiva il non-morto.<br />
«Perché prima di avvicinarci ulteriormente alla città,» spiegò lo scheletro animato «è bene che ultimiamo i preparativi».<br />
«In che senso?» non comprese il ragazzino Alhaturkh, mentre i membri del resto del gruppo si stipavano a propria volta nel ristretto riparo «Non credevo ci sarebbe stato da combattere...»<br />
«Ci sarà da <i>non</i> combattere» spiegò pazientemente Fgèhrhodd. «Per conseguire tal nobile fine, dovremo <i>parlare</i>. E, per il momento, gli unici che parlano il linguaggio delle Piane delle Stelle, siamo io e Nhèthyrhann, che ci siamo nati, e Xathàmklemhinn, per la sua peculiare natura magica. Fino ad ora, il linguaggio di cui tutti abbiamo almeno parziale conoscenza è l'Alhaturkh, ma nessuno lo comprenderà a Hòvval. Bisogna che anche tu e Gùrp diventiate capaci di farvi intendere senza difficoltà».<br />
«Facile» borbottò Gùrp. «Ci fai un corso accelerato qui?»<br />
«Non io,» replicò lo scheletro animato «bensì Hàrikhot. Hàrikhot, Xathàmklemhinn, ascoltatemi. L'unico modo di risolvere rapidamente la questione, è il ricorso alla magia. Xathàmklemhinn,» si rivolse all'elfo il non-morto «tu una volta sei stato in grado di restituire la voce a me. Devi guidare Hàrikhot a fare qualcosa di simile. Lui e Gùrp devono diventare capaci di parlare il linguaggio delle Piane delle Stelle. Puoi farlo, in qualche modo?»<br />
«Fgèhrhodd,» spalancò gli occhi l'elfo «questa volta mi sopravvaluti! Ti ci vorrebbe un vero mago elfo, per un compito del genere! E Hàrikhot non avrebbe mai il potere e il controllo di...»<br />
«Tu trova il modo» tagliò corto Fgèhrhodd. «Quali forze scatenare. Quali spiriti chiamare. Non so, tu conosci meglio di me la magia elfica. A Hàrikhot, il controllo lo forniremo noi, con la nostra guida... e il potere lo fornirà Zàxeras».<br />
Xathàmklemhinn sbiancò lievemente, al pensiero di operare attività magiche che coinvolgessero il potere di quella terribile arma... Zàxeras... la morte reificata...<br />
Nhèthyrhann dovette accorgersene, perché gli si avvicinò e gli coprì un mano con la propria: «Cosa c'è? Non te la senti? Dobbiamo cercare un modo diverso?»<br />
L'elfo era in subbuglio. Zàxeras aveva già preso molto, da lui. Durante il primo incontro con Hàrikhot, Xathàmklemhinn, acerrimo nemico (come ogni elfo dei Monti delle Nebbie) dei barbari Alhaturkh, aveva cercato di uccidere l'adolescente. Picchiato selvaggiamente col pomo dell'elsa di quella spada maledetta, l'elfo si era risvegliato <i>cambiato.</i> Cambiato nel profondo. Quel tripudio di vita che alberga nelle profondità dell'essere di ciascun elfo e che lo rende capace, tra l'altro, di vivere così a lungo, si era spento. Xathàmklemhinn, da quel giorno, aveva sempre sentito la morte dentro di sé.<br />
«Non c'è altro modo» serrò i denti l'elfo, stringendo al contempo con gratitudine la mano della ex-paladina. «Faremo come dice Fgèhrhodd. Nulla è impossibile, se si agisce nello spirito dello Fphé. Lasciatemi meditare».<br />
«Se dobbiamo aspettare una tua idea intelligente,» mugugnò Gùrp «aspetteremo parecchio».<br />
«Ne hai forse una <i>tu?</i>» replicò brusca Nhèthyrhann, irritata dall'ingratitudine del nano verso chi si stava prodigando anche per lui.<br />
Passò qualche tempo scandito soltanto dall'intermittente ululato del vento, mentre Xathàmklemhinn, immerso in comunione con l'aria e la roccia, restava così immobile da sembrare aver smesso di respirare. Quando l'elfo riprese a muoversi, Fgèhrhodd seppe che aveva trovato la soluzione. Il corretto modo di impiegare l'armonia segreta della creazione per ottenere i loro scopi. Il non-morto aveva nel mentre fatto esercitare Hàrikhot nell'attingere potere magico grezzo da Zàxeras, facendolo provare con crescenti quantità di energia esoterica, più e più volte. A quel punto, l'elfo e il non-morto cominciarono a cercare di guidare l'adolescente.<br />
Hàrikhot tentò così ripetutamente di "far propri i ricordi delle ossa di Fgèhrhodd". Non i ricordi dello scheletro animato vero e proprio... bensì tutti gli echi di quelle lingue che quelle ossa avevano passivamente assorbito, nel corso della loro ordinaria esistenza. Quello, era stato il modo ideato da Xathàmklemhinn. Richiedeva un potere immenso, perché i ricordi passivi degli oggetti inanimati erano molto, molto difficili da rievocare e ancor più da interiorizzare. Il potere immenso, ce l'avevano. Ma, come tutte le volte che Hàrikhot provava a rivolgersi alla magia elfica, il problema era nelle istruzioni. Per gli elfi, la magia è naturale, istintiva. Xathàmklemhinn, una volta detto di "rievocare i ricordi delle ossa", non riusciva a spiegarsi ulteriormente. Era un passaggio elementare. Per lui, tentare di chiarire ulteriormente, sarebbe stato come cercare di spiegare in dettaglio come sollevare un dito.<br />
«Non ce la fa» constatò Xathàmklemhinn, dopo diversi tentativi infruttuosi. «Non ha abbastanza esperienza per riuscirci. E ha troppa rabbia dentro. Non cerca i ricordi, li <i>insegue.</i> Li spaventa».<br />
«Io <i>non sono</i> arrabbiato!» digrignò i denti Hàrikhot.<br />
«Sì che lo sei» udì una voce il ragazzino Alhaturkh. «Non riesci ancora a separare il concetto di "magia" da quello di "male". Per questo ti ribolle tanta rabbia dentro, quando provi a lanciare un incantesimo. E per questo ti è così difficile riuscire nell'intento».<br />
«Chi ha parlato?» si meravigliò Hàrikhot, volgendo la testa ora da una parte, ora dall'altra.<br />
«<i>Tu,</i> Superficiale!» sbuffò Gùrp «Hai appena detto che non eri arrabbiato».<br />
«<i>Io</i> ti ho parlato» l'adolescente udì, al contempo, la medesima voce di prima. «Io, Zàxeras, la spada che tieni stretta nel tuo pugno. Io sto parlando nella tua mente».<br />
Hàrikhot spalancò gli occhi come per l'orrore, fissandoli sulla propria spada e fece per scagliarla via.<br />
«No Hàrikhot!» si interpose Fgèhrhodd «Qualsiasi cosa stia succedendo... <i>non farlo! Non buttare la spada!</i>»<br />
«Tu sei già consapevole che io sono magica, Hàrikhot» proseguì telepaticamente Zàxeras. «Il fatto che io lo sia a tal punto da poterti parlare, basta a farti rinunciare a tutto? A farti dimenticare che grazie a me hai salvato la tua gente? A farti abbandonare i tuoi progetti di opporti agli dei del male? Hàrikhot... tu sai che io sono stata per te una alleata fedele. Ho combattuto nel tuo pugno fino ad oggi, senza mai venirti meno. Non riesci proprio a vedere il mio alhat? Se non riesci a a vederlo... o a vedere che ci può essere alhat anche nella magia... non potrai mai realizzare ciò che ti sei prefisso».<br />
Alhat.<br />
Onore. Coraggio. Il concetto più caro in assoluto a ogni Alhaturkh. Hàrikhot si costrinse a fermarsi. A ripercorrere tutte le sfide e le battaglie alle quali era sopravvissuto forse soltanto in virtù dell'assistenza di quella spada.<br />
Quella spada <i>magica.</i><br />
Zàxeras.<br />
«Hàrikhot...» si era nel mentre fatta vicino una preoccupata Nhèthyrhann «Ti senti bene?»<br />
L'adolescente Alhaturkh parve ancora per qualche momento perso dietro a misteriosi pensieri, poi mise a fuoco i propri occhi marroni, ora apparentemente più sereni, nelle turbate iridi blu della donna: «Sì, ho solo... fatto chiarezza nella mia mente. Penso di essere pronto a riprovare il sortilegio».<br />
«Aspetta,» si offrì Nhèthyrhann, appoggiandogli le mani sulle tempie «lascia che ti aiuti anch'io. Lascia riposare il tuo spirito. Alaanòrkem veglierà su di te. Rilassati. Rilassati ora».<br />
Con cadenza quasi ipnotica, la ex-paladina continuò a ripetere "Rilassati. Rilassati ora", come un salmo o una litanica preghiera.<br />
«Funziona!» bisbigliò Xathàmklemhinn «E ora aiutalo anche tu, Fgèhrhodd; entra in risonanza. Ripensa a Hòvval, alla sua gente, ai rumori, alle parole. Ciò ravviverà i ricordi passivi. O ci riusciamo adesso, oppure mai più».<br />
Hàrikhot cercava di aprirsi. Non sapeva nemmeno lui a che cosa: alla magia? Ai ricordi? Al vento che udiva sibilare intorno?<br />
Provò a immaginare che i ricordi fossero il vento. E che il vento potesse attraversarlo, passargli <i>dentro,</i> oltre che intorno, intridendo ogni singola fibra del suo corpo.<br />
Xathàmklemhinn gli aveva detto di aiutarsi con "le parole dei ricordi". Formule magiche che lo rendessero uno con la memoria del mondo. Con l'unica memoria dello Fphé.<br />
<i>Ovviamente,</i> non era stato in grado di specificargli <i>quali</i> parole usare. Nel miglior stile della magia elfica, Xathàmklemhinn avrebbe saputo prontamente trovare quelle adatte a sé... ma Hàrikhot avrebbe dovuto trovare <i>le proprie</i>.<br />
«Ricordi...» cominciò a mormorare Hàrikhot, come in trance «Ossa... Pietra... Casa... Fuoco...»<br />
Via via che la trance andava approfondendosi, concetti e parole parvero fondersi gli uni negli altri in improbabili neologismi: «Barerant... Vekmorier... Ekass...»<br />
Nel mentre, le mani del ragazzino barbaro cominciavano a muoversi lentamente, come di volontà propria, ora a sfiorare le ossa dello scheletro animato, ora a chiudersi a pungo come a trattenere qualcosa di ineffabile, ora ad aprirsi come ad assimilare una invisibile conoscenza.<br />
Poi, così come a poco a poco si era approfondita, altrettanto gradatamente la trance scemò.<br />
«Come è andata?» domandò infine Hàrikhot, riacquisendo la completa padronanza di sé «È riuscito, questa volta, l'incantesimo?»<br />
E si accorse che lo aveva chiesto nella lingua delle Piane delle Stelle.<br />
<br />
Scendendo gradatamente di quota, si erano sottratti all'aspro vento, lasciandosi però avvolgere completamente dal pervasivo umido abbraccio della nebbia. Avevano dovuto raddoppiare concentrazione e cautela nel discendere l'impervio sentiero, mantenendo tutti i sensi all'erta a scanso di eventuali agguati... ai quali quel mondo di spazi angusti, suoni ovattati e visibilità ridotta fin troppo si sarebbe prestato. Così, superato l'ennesimo pronunciato tornante, trovarsi improvvisamente fuori dall'aerea caligine e scorgere, davanti, a qualche centinaio di metri, tutt'al più un chilometro, il subitaneo nitore delle mura per le quali Hòvval era famosa, mozzò a tutti il fiato per la sorpresa.<br />
«Sono proprio <i>bianche...</i>» dovette constatare Hàrikhot.<br />
«Sono ancora belle come me le ricordavo dalla mia ultima visita...» sembrava combattuta tra piacevole meraviglia e dogliosa rimembranza Nhèthyrhann. La guerriera aveva fatto tappa a Hòvval prima di addentrarsi nei Monti delle Nebbie. Prima di quella impresa che ella non sapeva sarebbe stata l'ultima da lei condotta come paladina. E se da un lato le rinfrancava lo spirito, vedere che le belle mura della città erano rimaste candide ed immacolate come appena costruite, dall'altro quello spettacolo le ricordava ciò che era stata e che aveva, purtroppo, smesso di essere.<br />
«Passabili» commentò con sufficienza Gùrp. «Almeno per una città monca...»<br />
«"Monca"?» non comprese Fgèhrhodd.<br />
«Non vedi che manca il tetto?» si costrinse a sottolineare l'ovvio Gùrp. <i>Ah! Superficiali...</i><br />
«Forse che tu hai mai visto un tetto più elegante, più variegato e più bello del cielo?» si informò Xathàmklemhinn.<br />
«Tornamelo a domandare quando la grandine ti martellerà la zucca!» bofonchiò il nano, rassegnato alla futilità di ogni tentativo di ragionare con un Superficiale.<br />
«Queste mura hanno un'importante lezione da insegnarci» prese la parola Fgèhrhodd, ormai sempre più preda di lontani ricordi. «Le Bianche Mura di Hòvval sono così note in tutte le Piane delle Stelle, da essere addirittura proverbiali. Che fareste, se qualcuno vi diceste che siete belli quanto le Bianche Mura di Hòvval? O che avete la coscienza candida come le Bianche Mura di Hòvval?»<br />
"Penserei di aver incontrato l'ennesimo ingenuo imbecille" pensò Gùrp; al contempo, Xathàmklemhinn rispose, invece, ad alta voce: «Penso che ringrazierei l'interlocutore per il complimento; perché questa domanda?»<br />
«Cominciamo ad avvicinarci; guidaci verso le porte principali, Hàrikhot» fu la compassata (non?) risposta dello scheletro animato. «Davanti alle guardie, dovrai essere tu il nostro capo o, per lo meno, il mio padrone, ricordi? Ma fermati un centinaio di metri prima delle mura, come se volessi rimirarle un altro poco».<br />
Incuriosito, il giovane Alhaturkh obbedì e tutti lo seguirono. Quando il gruppo si fermò secondo le istruzioni, Fgèhrhodd si mantenne confuso in mezzo a tutti, in modo da non attirare minimamente l'attenzione, e, con gesti resi eleganti da intere vite di pratica, accompagnati da sillabe dall'esotica cadenza, lanciò furtivamente un incantesimo. Per un attimo, il non-morto ebbe paura di aver preteso troppo dalle scarse risorse arcane di cui poteva ormai disporre (uno scheletro animato, del resto, <i>non avrebbe proprio dovuto</i> essere in grado di ricorrere alla magia); ma poi invece tutto funzionò a dovere e, per lui e per il resto del gruppo, la gloriosa visione delle Bianche Mura cambiò drasticamente.<br />
«Ehi! Sei stato tu?» fu il primo a meravigliarsi Hàrikhot, volgendo la testa verso il non-morto.<br />
Gli altri, tuttavia, non erano meno perplessi. Le bellissime e candide mura di Hòvval erano in realtà ridotte in condizioni pietose. Fatiscenti, scrostate in più punti e, soprattutto, letteralmente <i>sature</i> di ogni schifoso genere di lordura!<br />
«Dunque ciò che vedevamo prima è soltanto un'illusione?» fu il primo a comprendere Xathàmklemhinn, con un'ombra di perplessità in fondo agli occhi verdi «Ma perché?»<br />
Nhèthyrhann, forse turbata più profondamente di tutti, nello scoprire che anche l'ultimo ricordo positivo che aveva della propria impresa finale era fasullo, menzognero, inquinato all'origine, aveva addirittura mosso un involontario passo indietro.<br />
«Un tempo le Bianche Mura erano davvero candide ed immuni da ogni sporcizia» spiegò Fgèhrhodd. «Il loro perenne nitore era simbolo dell'imperitura gloria e potenza della città. E i cittadini, ben sapendo che le potenti stregonerie dei migliori maghi di Hòvval impedivano che le mura si insozzassero, avevano ben presto preso l'abitudine di <i>tentare</i> di sporcarle. Anche al giorno d'oggi, c'è chi evacua contro le Bianche Mura... e non per atto di spregio, bensì di orgoglio: constatare che nemmeno così possono sporcare il simbolo della gloria cittadina li fa gongolare tronfi».<br />
«Quindi nessuno si offenderà se farò lo stesso anch'io!» concluse Gùrp. Bizzarro. In una ordinata e regolata città sotterranea nanica, un comportamento simile non sarebbe stato <i>mai</i> permesso! Altro che <i>gongolare...</i><br />
«Vero» concesse Fgèhrhodd, con una lieve nota di divertimento nella voce. Dopo di che continuò: «Purtroppo, però, al giorno d'oggi, non si lanciano più gli antichi incantesimi per la conservazione delle mura... altri ne vengono lanciati al loro posto; non sono al corrente della ragione di questo, anche se nutro forti sospetti. I nuovi incantesimi non preservano <i>davvero</i> le mura... salvano soltanto le apparenze. Sono illusioni. Illusioni così potenti da impedire, addirittura, che la sporcizia che infesta le Bianche Mura le abbandoni e lordi chi vi cammina sopra o chi vi si appoggia... ma pur sempre illusioni. Apparenza».<br />
Dopo una breve pausa ad effetto, il non-morto riprese: «Badate: io non vi ho parlato delle Bianche Mura soltanto per rendervi edotti sul costume locale. Io volevo farvi comprendere quanto sia ingannevole e, allo stesso tempo, sfaccettata e complessa la realtà in cui stiamo per immergerci. Vi ho già detto che il candore delle Bianche Mura è così noto da essere ormai proverbiale. Quindi, molti ingenui cittadini potrebbero paragonarvi alle mura di Hòvval per rivolgervi un sincero complimento. I più potenti, però, sono a conoscenza del reale stato delle cose. Sulle loro labbra, dunque, un riferimento alle Bianche Mura potrebbe costituire un mascherato insulto, una presa per i fondelli...»<br />
Lieto d'avere l'attenzione di tutti, lo scheletro animato proseguì: «Stiamo abbandonando le terre selvagge, dove i nemici erano violenti e pericolosi... ma spesso riconoscibili in maniera inequivocabile. Qui, a Hòvval, il contesto sarà complesso. Le fazioni capeggiate dai più potenti cittadini sono varie e complottano ciascuna per il proprio esclusivo tornaconto. Si stipulano alleanze. Si tramano tradimenti. Gli amici di oggi possono essere i nemici di domani. In un ambiente così articolato e così sfaccettato, dovremo sempre ponderare le nostre mosse. E, considerando che tutte le principali fazioni non si fermerebbero davanti a nulla per assurgere a una netta posizione di predominio, dovremo cercare di guadagnarci l'alleanza di qualcuna di queste... ma senza dare l'impressione di poterne minacciare gli interessi o il potere! Vediamo di non ricorrere alla piena magia di Zàxeras, se non confrontati da forti potenze occulte. Se tra i phurg di Hòvval dovesse cominciare a circolare la più piccola voce su una fonte di potere di questa portata... ci troveremmo in una bolgia quale nemmeno le infernali potenze che già abbiamo affrontato hanno mai scatenato su di noi!»<br />
<br />
Le guardie che vigilavano sotto l'ampia ed alta arcata della porta principale si sforzavano di mantenere un contegno marziale, pur nel freddo del mattino d'inverno, col peso delle cotte di maglia addosso e brandendo armi lunghe, ma dall'aspetto assai rozzo, simili a specie di grandi roncole montate su aste. Gli armigeri non nutrivano tuttavia uno smodato desiderio di abbandonare a lungo le rispettive posizioni riparate per intrattenersi lungamente a conversare con gli stranieri tra intermittenti raffiche di algido vento: si limitarono a poche domande di rito sull'identità e le generali intenzioni dei nuovi venuti, dopo di che l'eterogeneo drappello ebbe il permesso di entrare.<br />
Hàrikhot cominciò a guardarsi intorno frastornato. Pietra. C'era pietra ovunque. Era già stato in luoghi ove le litiche ossa del pianeta costituivano la maggior parte dell'ambiente... ma <i>quella</i> roccia era comunque sempre stata in armonia col paesaggio, <i>parte</i> del paesaggio... Lì, invece, nella città, la pietra <i>era</i> il paesaggio. Il ragazzino era già stato in una città; una città nanica, nelle viscere della terra... ma la diffusa oscurità gli aveva precluso quell'ampio sguardo d'insieme che ora gli si apriva su quella realtà la quale tanto lo sconcertava.<br />
«Come ho detto, non siamo nessuno» mormorò soltanto allora Fgèhrhodd. Che fosse rimasto anche lui perso nello sconcerto per qualche attimo, pensò Hàrikhot? Ma no, il ragazzino si sbagliava; lo scheletro animato non era stato assalito da sorpresa o meraviglia. Soltanto da un groviglio di emozioni inspiegabili e inattese. Da ricordi. Ricordi di migliaia di anni addietro.<br />
«Quindi,» proseguì tuttavia risoluto il non-morto «dovremo cominciare trovando posto tra gli ultimi. Segui i vicoli a sinistra, Hàrikhot. Quelli che corrono paralleli alle mura. Ci condurranno dove dobbiamo andare».<br />
Hàrikhot obbedì automaticamente, quasi troppo confuso per rendersi realmente conto di quanto stava facendo. Se la prima impressione era stata la pietra, la seconda fu la gente. Tanta. Dovunque. Si circolava lentamente, lungo la pur ampia strada principale, ingombra di ogni genere di individui, alcuni che deambulavano come sfaccendati, altri che si aggiravano, apparentemente più certi della propria meta, recando in mano sacchi, mercanzie, animali o strani oggetti, altri che conversavano a gruppi, altri che tentavano di richiamare l'attenzione dei passanti su quanto i rispettivi negozi avevano da offrire. I cavalieri circolavano al passo, trovando (o, al limite, <i>creando</i>) agevolmente varchi per farsi largo in mezzo all'andirivieni generale; ben più frustrati erano i carrettieri, le cui colorite e reiterate imprecazioni soltanto a fatica riuscivano a garantire loro lo spazio necessario al transito.<br />
«Attento, Hàrikhot!» si fece avanti Nhèthyrhann, tirando il ragazzino per un lembo di quel confuso insieme di brandelli di pelliccia che presso gli Alhaturkh passava per ordinario abbigliamento; il giovane barbaro guardò prima la donna, poi, seguendo lo sguardo della stessa, davanti, ai propri piedi. Ed assimilò così un altro tratto distintivo della città. Il fetore. Non soltanto quello del disgustoso canale di scolo in cui il provvidenziale intervento della guerriera gli aveva impedito di affondare col piede, ma anche quello del folto di animali e umanoidi spesso assai scarsamente lavati, così come la forte alchimia dei diversi odori delle più disparate attività artigianali, i quali si mescolavano all'afrore di cibo con una naturalezza che suggeriva un'inquietante fratellanza.<br />
«<i>Superficiali!</i>» bofonchiò con disgusto Gùrp, immaginando in quanto poco tempo sarebbero divenute invivibili le città sotterranee caratteristiche del suo popolo, se fossero state altrettanto caotiche e disorganizzate.<br />
Il gruppo raggiunse gli stretti vicoli che Fgèhrhodd aveva consigliato e questa volta fu l'elfo Xathàmklemhinn, ancora prima di Hàrikhot, a cogliere un altro tratto caratteristico delle città umane. Claustrofobiche. Lungo la stradina, le persone erano assai meno; tuttavia, il disagio era <i>maggiore</i> che sulla via principale, perché il vicolo era sudicio, stretto... e reso ancora più scuro e opprimente dalle costruzioni laterali, edificate a sbalzo.<br />
«Mi domando con genuina curiosità chi sceglierebbe di confinarsi in un luogo <i>simile</i>» fece Xathàmklemhinn.<br />
«Penso che ben pochi lo "sceglierebbero"...» replicò Fgèhrhodd «Purtroppo, c'è anche chi, come noi, <i>non ha</i> scelta. Comunque non è qui che siamo diretti».<br />
«Non posso che sentirmi sollevato» commentò l'elfo.<br />
«Aspetta a giudicare» fu l'invito dello scheletro animato.<br />
Attraverso i vicoli giunsero a una graziosa piazzetta, al centro della quale un pozzo consentiva di attingere acqua. Tutti i membri del gruppo soggetti alle necessità di sostentamento si dissetarono e, nel mentre, l'attenzione di Hàrikhot fu catturata da alcuni cittadini i quali vendevano i prodotti dei piccoli orti che circondavano le rispettive dimore. Il ragazzino vide un uomo ottenere una cesta di broccoli e cavolfiori in cambio di... di qualcosa di piccolo, difficile da distinguere a quella distanza.<br />
«Tu sai cosa ha fatto quell'uomo per avere la verdura?» domandò il giovane Alhaturkh a Fgèhrhodd.<br />
«L'ha pagata» rispose Fgèhrhodd. «Ha dato dei ducati in cambio».<br />
Il non-morto lesse con facilità l'incomprensione in fondo ai marroni occhi dell'interlocutore e spiegò più a fondo: «Qui, in città, tutto si basa sui ducati, le monete di Hòvval. Puoi pensare ai ducati come a della merce speciale, che puoi scambiare con tutto. Puoi scambiare dei ducati con del cibo. Col permesso di dormire al riparo. O anche con una casa o una torre, se ne hai abbastanza. Ti serviranno ducati, per studiare magia alla scuola di Hòvval».<br />
«E come faremo per averli?» domandò Hàrikhot.<br />
«Convincendo qualcuno a darceli» intervenne Gùrp. «Si chiama "lavoro"» e lanciò un breve sguardo di complicità al non-morto «ed io non vedo l'ora di cominciare, perché, con tutte le scarpinate che mi avete fatto fare ultimamente, credo di avere un po' di peso da recuperare!»<br />
<br />
«Non è possibile» stentava a credere ai propri sensi Xathàmklemhinn, sgranando gli sbigottiti occhi verdi.<br />
«Ti avevo avvisato di attendere, a giudicare» gli ricordò pacatamente Fgèhrhodd.<br />
«Anche a Tèkkha avevamo i bassifondi» classificò correttamente la zona Nhèthyrhann. «"Il Quartiere degli Onesti", li chiamavano, perché lì tutti si dichiaravano ostinatamente tali, coprendosi a vicenda e rifiutando ogni forma di collaborazione con le forze dell'ordine della città. Quasi una piccola città a sé stante, col potere dei criminali più forti in luogo...»<br />
«... In luogo di quello dei cittadini più ricchi?» non riuscì a trattenersi dal completare ironicamente Fgèhrhodd «Mi chiedo chi potesse tollerare un siffatto regime d'ingiustizia...»<br />
«Comunque sia,» rifiutò di lasciarsi coinvolgere in una discussione Nhèthyrhann «è in un luogo simile che ci hai portati?»<br />
«Questo,» replicò Fgèhrhodd, abbracciando con un ampio gesto dell'ossuta mano il labirintico intrico di viuzze creato dalle case fatiscenti costruite a sbalzo, da edifici pericolanti e da occasionali macerie «è lo Stretto. E no, non è sede di forte crimine organizzato. Non è un centro di potere; è soltanto ciò che resta a chi già ha perso tutto. Troveremo un alloggio qui. Non sarà difficile».<br />
I cinque si addentrarono per le vie scure, sozze e deprimenti. In un'occasione, Fgèhrhodd, avvisato telepaticamente da Zàxeras, fece sì che il gruppo si spostasse rapidamente da sotto una pioggia di pesanti macerie, staccatesi da una costruzione troppo decrepita. In un'altra, l'attenzione del gruppo fu catturata da una animata discussione in una viuzza laterale: un uomo e una donna inveivano contro tre giovinastri. Prima ancora che i membri del gruppo potessero decidere che cosa fare, si scatenò una violenta zuffa.<br />
«Non lasciamoci coinvolgere» bisbigliò Fgèhrhodd agli altri, esortandoli a proseguire come se nulla fosse. «Non è nulla che ci interessi».<br />
«Ma potremmo...» iniziò a dire Nhèthyrhann, apparentemente intenzionata, a differenza degli altri, a fermarsi per intervenire in qualche modo.<br />
«Qualsiasi cosa tu facessi, Nhèthyrhann,» tornò indietro a trascinarla via per un braccio lo scheletro animato «sarebbe la cosa sbagliata. Perché sarebbe la cosa fatta da <i>un'altra.</i> Da una <i>che non è dei loro.</i> Una <i>venuta a dire a loro come comportarsi.</i> Lo capisci, questo? Non lo accetterebbero mai. Hanno soltanto il loro orgoglio... almeno quelli che ancora ce l'hanno. Non accetteranno che gli porti via anche quello. Quando saremo dei loro, forse ti ascolteranno. Ora riprendi a seguirci e mai, bada, <i>mai</i> staccarti da noi».<br />
«Sono uscita viva dal Quartiere degli Onesti!» scintillarono gli occhi blu di Nhèthyrhann.<br />
«Quindi molti di quegli Onesti ci sono <i>morti,</i>» concluse Fgèhrhodd, le proprie vuote orbite che sostenevano senza difficoltà il vivo sguardo dell'interlocutrice «o sbaglio?»<br />
«No» abbassò il capo con vergogna Nhèthyrhann, riunendosi al resto del gruppo e mordicchiandosi nervosamente le belle labbra. Ricordava fin troppo bene con quante buone intenzioni era entrata in quel regno della miseria e dell'emarginazione. E che cosa aveva rischiato. E quante vite aveva dovuto spegnere per salvare la propria.<br />
«O venerabile antico,» Xathàmklemhinn si fece vicino a Nhèthyrhann, guardando lo scheletro animato con un velo di compatimento «mal si addice alla tua ponderata saggezza e alla tua vasta esperienza, questa tua astiosa abitudine di cercare invariabilmente biasimo da riversare sulla nostra amica» e mise una mano sull'alta spalla della guerriera. «Il fatto che in passato sareste stati avversari non ti faccia dimenticare che nel presente ha salvato la vita a tutti noi!»<br />
«E la tua galanteria nei suoi confronti» si riportò al centro del gruppo il non-morto «non ti renda cieco al fatto che, adesso, pur biasimandola, gliel'ho probabilmente appena salvata a mia volta».<br />
Dovettero poco dopo superare una viuzza in cui una torma di bambini laceri e cani smagriti si lanciarono sul gruppo all'unisono, a bocche protese, come per sbranarli vivi, e non intesero ragione se non dopo che la metà di loro cadde riversa nel fango e sui detriti, morta o morente, prontamente aggredita (e sbranata) dai compagni superstiti.<br />
«Non si sono fermati nemmeno quando ho invocato su di loro la pace di Alaanòrkem» aveva gli occhi lucidi di lacrime Nhèthyrhann. La quiete serenatrice del suo dio riusciva spesso a placare nemici all'apparenza feroci...<br />
«Si vede che non ha riempito loro la pancia» commentò Fgèhrhodd.<br />
«Non c'è alhat, in questo!» ringhiò rabbiosamente tra i denti Hàrikhot, che pure aveva abbattuto due bambini e tre cani «Che tribù è questa, dove c'è chi cammina ben nutrito... mentre ci sono bambini <i>così!?</i>»<br />
«Infatti, questa non è una barbara <i>tribù,</i> Hàrikhot...» sospirò Fgèhrhodd «Questa, è una civilizzata <i>città...</i>»<br />
E, prima che il ragazzino potesse riaprire la discussione, indicò una costruzione dall'aspetto meno fatiscente delle altre: «Quella! Quella potrebbe essere un'abitazione che fa al caso nostro. In condizioni non pessime... Abbastanza spaziosa per tutti noi... Abbastanza addentro al quartiere da garantirci una certa riservatezza... Forza, entriamo e vediamo se è libera. Ci fai strada tu, Gùrp?»<br />
Gùrp prese la testa del gruppo senza dare a nessuno il tempo di replicare: gli sorrideva l'idea di un po' d'azione. Il sacco d'ossa cominciava quasi a stargli simpatico. Almeno, con lui, era più facile intendersi. Che i Superficiali, da morti, acquistassero maggior senno?<br />
Senza soffermarsi in ulteriori meditazioni, il nano calciò violentemente la porta, facendola cadere con fragore all'interno, divelta dai vecchi cardini.<br />
Nhèthyrhann fece per protestare, ma ben più veementi recriminazioni giunsero da dentro, tanto da un gruppo di giovinastri che accorse rapidamente dal piano terreno, quanto da due goblin che scesero da una bassa soffitta brandendo coltellacci. Conscio di quanto rude avrebbe potuto rivelarsi il benvenuto con cui sarebbero stati ricevuti, Xathàmklemhinn incoccò una freccia al proprio lungo arco elfico, tese con tutto il vigore dei propri muscoli, allenati da innumerevoli anni di pratica con quella potente arma, e scoccò, facendo sibilare il dardo poco sopra la testa del nano, a colpire un avversario in pieno petto. Mentre il sudicio giovane crollava con un'espressione stupefatta sul volto, il nano si avventò di corsa su per le scale, incontro ai goblin, pronto a calare il proprio piccone impugnato a due mani.<br />
«Gùrp! Non dovevamo aggredirli!» ringhiò Hàrikhot, furibondo al vedere i restanti giovinastri che gli si scagliavano addosso, bastoni alla mano, forse pregustando una facile preda. «Questa casa non è nostra!»<br />
«Non è nemmeno <i>loro!</i>» assicurò Fgèhrhodd «Ti pare che uno terrebbe <i>così</i> un'abitazione di sua proprietà? Avranno ammazzato i legittimi occupanti rubando loro la casa!»<br />
A Hàrikhot non piaceva uccidere senza motivo, ma dovette ammettere che l'altro aveva probabilmente ragione... e che quello non era il momento per i dubbi: con movimenti decisi, precisi e fluidi come se li avesse compiuti da quando era in fasce, il giovane barbaro mulinò Zàxeras a fendere le carni di uno, due, tre avversari... e anche del quarto, il quale, agghiacciato dalla rapida dipartita dei propri predecessori e dal sangue che allagava ora l'ingresso, si stava preparando a ritirarsi. Gùrp, nel mentre, aveva rapidamente aperto la testa di un goblin con la propria arma, aveva rincorso l'altro esserino, il quale era di nuovo sparito in soffitta, aveva spaccato con una testata la cassa di cianfrusaglie che il goblin, ricomparso, gli aveva scaraventato contro per fermarlo... poi era entrato a propria volta. A giudicare dai rumori, doveva essere intento a divertirsi a massacrare lentamente il goblin a pugni e calci.<br />
«Disgustoso!» storse le piene labbra Nhèthyrhann, affrettandosi su per le scale. Salì in soffitta anche lei, raccogliendo il coltellaccio del goblin defunto. Uno stridulo grido di morte percorse la casa.<br />
«Non avevo bisogno del tuo aiuto!» barrì un nano oltremodo offeso «Non correvo nessun pericolo!»<br />
«Infatti,» ribatté Nhèthyrhann, gelida «non è <i>te</i> che ho inteso aiutare».<br />
«Perlustriamo bene l'abitazione» suggerì Fgèhrhodd; «se ora la scoprissimo abbandonata, nulla ci vieterebbe di insediarci...»<br />
«E va bene» scese le scale Nhèthyrhann; «ma se <i>non</i> la scopriamo abbandonata, questa volta, amici, dai, lasciate che parli <i>io!</i> Intesi?»<br />
«Ma certo, <i>paladina!</i>» lasciò trasparire tutta la propria ironia dal tono di voce Fgèhrhodd «Tuttavia, pensa alla composizione del gruppo di abitanti... Cinque giovani bulli armati di bastoni e due goblin con coltellacci in mano... Non so com'erano tua mamma e tuo papà... ma a me una congrega di questo genere fa pensare più a una banda di briganti che a una serena famiglia».<br />
«Bisogna in effetti ammettere, tutto considerato...» cominciò Xathàmklemhinn.<br />
«Ma dai, taci, anche tu!» sbottò una Nhèthyrhann palesemente stizzita, salvo poi cominciare ad esplorare l'abitazione.<br />
La perquisizione non portò alla scoperta di altri abitanti; di conseguenza, il gruppo decise di adottare la fatiscente costruzione come propria temporanea dimora. Gùrp fu visto perquisire i cadaveri e, interrogato su che cosa stesse facendo, mostrò la misera quantità di monete recuperata: «Ci servivano ducati, no? Perché sciupare questi? Ce li siamo guadagnati».<br />
«E così è questo ciò che tu chiamavi "lavoro"?» si informò Hàrikhot «Il "convincere qualcuno a darci i ducati?" Sai, dalle mie parti ha un altro nome...»<br />
«Non stare a sottilizzare, <i>sbarbatello!</i>» sbottò Gùrp, raschiandosi la gola e sputando sui cadaveri ammucchiati da parte «Più <i>convinti</i> di così!»<br />
Per il resto del giorno, Fgèhrhodd coordinò le operazioni per una messa in sicurezza dell'abitazione, sfruttando l'abilità manuale di Gùrp, la buona volontà di Nhèthyrhann e la magia; soprattutto di Xathàmklemhinn, ma anche, a titolo di allenamento, di Hàrikhot. Misteriosamente, in quanto non avrebbe saputo dire come ciò stava accadendo, il ragazzino Alhaturkh stava a poco a poco acquisendo un minimo di confidenza con quella magia elfica che a lungo gli era parsa così aliena. Riuscì anche, risultato per lui inaudito, a chiudere alcuni spifferi tra le assi, o a renderne alcune meno marce. Il ben più esperto e abile Xathàmklemhinn fece il resto. Ebbero cura che, dall'esterno, l'abitazione mantenesse il proprio aspetto cadente... Non volevano attirare troppo l'attenzione... tuttavia, all'interno la resero più calda e confortevole e Nhèthyrhann, alla fine, la benedisse nel nome di Alaanòrkem, in modo che il Dio della Protezione che l'ordine dello Scudo Onnipresente venerava vegliasse sulla costruzione e su tutti loro.<br />
«Vado a mettere qualcosa sotto i denti» bofonchiò Gùrp, a lavori ultimati, dopo il tramonto.<br />
«Il denaro che hai tolto a quei poveracci appartiene a tutti, Gùrp» volle rimarcare Fgèhrhodd. «Siamo un gruppo».<br />
«Non basta per tutti!» fece bellicosamente il nano.<br />
«Tu però,» intervenne Xathàmklemhinn «sei anche l'unico che ha già parzialmente sedato i morsi della fame...»<br />
«Per quei due topi che ho ucciso e mangiato in soffitta!?» si indignò Gùrp «Ma se non li voleva nessuno!»<br />
«Calma!» prese la parola Fgèhrhodd «Mangeremo tutti. Non dimenticatevi che ho una certa dimestichezza con questa zona. Voi restate qui; non ci conviene lasciare l'abitazione del tutto abbandonata, in questo primo giorno. Con me verrà Gùrp; troveremo altro lavoro e torneremo con un po' di cibo per tutti».<br />
«"Lavoro"?» corrugò la fronte Nhèthyrhann «A quest'ora? E se venissi anch'io con voi?»<br />
«Non sto pianificando uccisioni,» fece Fgèhrhodd, serio «se è questo che temi. Mi serve Gùrp perché è il più robusto. C'è chi organizza rudi divertimenti, se si sa dove cercare. E c'è qualcuno disposto a scommetterci sopra qualche moneta; pare aiuti a dimenticare per un poco la realtà di miseria che questa gente affronta quotidianamente. Probabilmente, però, se tu <i>davvero</i> volessi aiutare, qualche <i>divertimento</i> potresti offrirlo anche tu...»<br />
Nhèthyrhann non rispose, se non con lo sguardo dei propri occhi blu. Ma non lo sguardo collerico che Fgèhrhodd si era aspettato. Uno sguardo incerto, spaventato... Fgèhrhodd prese mentalmente nota, abituato da vite e vite, da vivo e da non-morto, a fissare bene nella mente tutte le eventuali debolezze di amici o nemici delle quali venisse a conoscenza; tuttavia smise di stuzzicare la guerriera. Non la <i>odiava</i>veramente. Si divertiva soltanto a farle occasionalmente "pagare" il fatto di essere stata, un tempo, una persona che, se lo avesse incontrato, lo avrebbe probabilmente eliminato in modo sommario.<br />
«Se ho capito bene,» fece Gùrp, una volta che lui e Fgèhrhodd furono fuori «c'è da rompere qualche testa?»<br />
«Sì, può darsi,» rivelò lo scheletro animato «ma non certo in qualche stupido incontro contro tizi grandi e grossi come ho lasciato credere agli altri... È vero che non stavo pianificando <i>uccisioni...</i> Ma qualche semplice <i>furto</i> sì! Nei prossimi giorni, tenteremo di affiancare agli ordinari espedienti la ricerca di un lavoro onesto. Se lo trovassimo, ci garantirebbe maggiore stabilità. Ma intanto, stiamo attenti a evitare le ronde».<br />
«Ronde?» fece il nano.<br />
«Sì» spiegò Fgèhrhodd; «qui nello Stretto c'è il coprifuoco... Non ci si può aggirare la notte... Chi lo fa è subito considerato un <i>criminale!</i> E, dato che nessuna guardia con un briciolo di senno si avventurerebbe per questi vicoli per far rispettare la disposizione... vengono sguinzagliate in giro pattuglie di zombi armati di randelli. Quelli che vengono trovati, vengono bastonati a sangue. Anche a morte, qualche volta. Chiaro?»<br />
«Superficiali!» esclamò con disprezzo Gùrp.<br />
<br />
Quella sera, in effetti, sebbene frugalmente, ovvero a base di verzura invernale, mangiarono. È sorprendente la solidarietà che un nano con pochi scrupoli sa ispirare, specialmente presso le famiglie dello stretto più vicine alla condizione di diseredati miserabili che a quella di duri criminali.<br />
Nel corso dei giorni successivi, ogni membro del gruppo si diede da fare per rimpinguare la vuota cassa comune. Hàrikhot e Fgèhrhodd svolgevano occasionali lavori pesanti. Il ragazzino Alhaturkh aveva pensato di proporsi piuttosto per incarichi più bellicosi, probabilmente più richiesti e meglio remunerati, ma lo scheletro animato lo aveva sconsigliato vivamente: «Non puoi permetterti di fare a pezzi la gente con Zàxeras! Se cominciassero a girare voci (e puoi scommettere che succederebbe) sarebbe la fine!»<br />
«So combattere anche con armi comuni!» aveva ribattuto una volta Hàrikhot; ed era vero: non trascorreva giorno che, agli esercizi di magia con Fgèhrhodd e Xathàmklemhinn, il ragazzino non affiancasse esercitazioni di combattimento con Gùrp, come da abitudini consolidate lungo il viaggio che li aveva condotti a Hòvval.<br />
«Ottimo» aveva però chiuso la discussione Fgèhrhodd; «ma anche buona parte degli abitanti dello Stretto ne è capace! Ti va di rischiare ogni giorno che uno di loro ti spacchi la testa o ti sbudelli con un colpo fortunato? Vale così poco, per te, la tua vendetta?»<br />
Vendetta.<br />
Contro quelle malvagie ed oscure forze che gli avevano tolto tutto. Rovinato l'esistenza. E che forse ambivano a minacciare tutti gli Alhaturkh dei Monti delle Nebbie. Hàrikhot ricordava bene la ragione per cui era venuto a Hòvval. Quindi, si era lasciato convincere. Fortunatamente, la forza e la tenacia derivanti dalle sue origini barbare lo aiutarono a venire ingaggiato volentieri, oltre che a procurargli l'appellativo di "Bestione", mentre Fgèhrhodd, ben presto spiritosamente soprannominato "Smilzo", aveva buon gioco nel far valere la propria infaticabilità di non-morto.<br />
Xathàmklemhinn e Nhèthyrhann iniziarono invece a costruirsi una moderata fama di esoteristi dei vicoli. L'elfo, sfruttando la semplicità, retaggio della sua razza, con cui gli riusciva di entrare in magica comunione con l'ambiente, gli animali, o anche i semplici elementi, poteva facilmente riferire dietro compenso degli spostamenti delle guardie, vive o non-morte. Dal momento che chi veniva a conoscenza di informazioni di cui non intendeva svelare la fonte era solito dire di averle udite "da un uccellino", fu così che Xathàmklemhinn venne soprannominato "Uccellino" dagli abitanti dello Stretto. Nhèthyrhann, invece, sfruttando i sacri poteri che la ritrovata comunione con Alaanòrkem le aveva di nuovo dischiuso, curava o benediceva le persone a fronte di un magro compenso. In molti le chiedevano anche di leggere loro la mano o il futuro, ma Nhèthyrhann, ben sapendo che non esistevano mezzi magici o sacri di sorta per ottenere predizioni realmente affidabili, rifiutava... con gran gioia delle poche chiromanti abbastanza abili nelle proprie fraudolente finzioni da non farsi mai scoprire da un cliente troppo scaltro né da predire le cose sbagliate a un individuo troppo irascibile.<br />
Inizialmente, Nhèthyrhann aveva provato a convincere alcuni dei propri clienti che farsi leggere la mano equivaleva a sperperare invano denaro; aveva però incontrato una fiera opposizione da parte delle vittime. E, col tempo, aveva capito. Quell'opposizione non era <i>fiera,</i> bensì <i>disperata.</i> I poveracci non stavano <i>sperperando</i> denaro... lo stavano impiegando per acquistare una merce per loro assai preziosa: <i>speranza.</i> Forse illusoria, forse infondata, forse mal riposta, ma <i>speranza,</i> che li facesse andare avanti per un'altra ora, giornata, o forse decade ancora, nella difficile realtà dello Stretto.<br />
Pertanto, dalla propria ostinazione la donna ricavò soltanto il soprannome di "Non Legge".<br />
Gùrp, invece, si avvicinò effettivamente agli "intrattenimenti rudi" di cui Fgèhrhodd aveva parlato la prima notte. I combattimenti non erano frequenti. E non si sapeva mai chi ci si poteva trovare di fronte: si andava dal bullo velleitario al duro e abile picchiatore da strada, dal combattente in disgrazia al semplice bestione. E, ovviamente, quasi sempre le lotte erano truccate. Chi nascondeva sassi nelle mani. Chi, nel bel mezzo della lotta, afferrava apertamente uno sgabello, un bastone, o un oggetto contundente. Chi aveva qualche "compagno" che lo aiutava segretamente con qualche trucchetto magico o sacro da due soldi. Ma Gùrp non era da meno, sul piano delle ordinarie scorrettezze. Svariati decenni di servizio militare tra la milizia di Anumàr, la sua comunità sotterranea nel sottosuolo dei Monti delle Nebbie, gli avevano insegnato trucchi di ogni genere, dalla sabbia da tenere in tasca e tirare negli occhi al momento buono, al robusto coperchio metallico da nascondere sotto gli abiti a proteggere parti altrimenti vulnerabili, a un'infinità di altri, tanto che il popolo dei vicoli prese a chiamarlo "Sorpresa". Come se non bastasse, in caso di necessità, per aiuti sul piano dell'occulto, il nano poteva contare su Xathàmklemhinn... o anche su Nhèthyrhann, se riusciva a convincerla che l'avversario (come in effetti spesso davvero accadeva) stava cercando un iniquo vantaggio con una furtiva guarigione o benedizione. E, a parità di altri fattori, la supremazia tecnica dell'addestrato avventuriero si dimostrava spesso determinante.<br />
Gli espedienti, tuttavia, erano per loro natura saltuari e incostanti... fu pertanto con evidente entusiasmo che Fgèhrhodd accolse l'annuncio che Gùrp, reduce da un trionfo serale, gli portò: «Sai quel nano che ho appena finito di sbatacchiare? I due suoi compari che l'hanno raccolto hanno parlato di una miniera... dove domani dovrebbe andare a lavorare. Secondo me non ce la può fare. Avranno bisogno di un rimpiazzo. Potrei andarci io, che una certa esperienza ce l'ho. Così eviterei di rimbambirmi tutto il giorno in questo inferno senza pareti e senza soffitto. E se volete tentare di lavorare lì anche voi, posso provare a metterci una buona parola. Accetteranno, pur di poter assumere un nano. E poi, in tutte le miniere che conosco, i Superficiali sono sempre utili, come mano d'opera sacrificabile».<br />
Il giorno dopo, come previsto, Gùrp Sorpresa e il resto del gruppo raggiunsero la miniera di Thàr Lùgronn. Come anticipato, mastro Mòlmerhodd, l'uomo al quale i gonfi riccioli rossi davano un'aria bizzarra e vagamente minacciosa, accettò di assumere alle proprie dipendenze, oltre al promettente nano, il pugno di apprendisti... mettendo ben in chiaro che, se si fossero dimostrati pigri o inutili, li avrebbe cacciati senza pensarci su due volte.<br />
Raggiunto un magazzino dalle spesse pareti di tronchi, vi lasciarono abiti e equipaggiamento (sotto la cautelativa protezione di un sortilegio di disinteresse lanciato con l'appoggio di Zàxeras) e indossarono la tenuta da lavoro, comprensiva del cappello dall'alto cappuccio e dello spesso grembiule di cuoio.<br />
«Sapresti chiarirmi, o intrepido esploratore del sottosuolo,» domandò Xathàmklemhinn Uccellino, fissando su Gùrp i propri verdi occhi perplessi «la funzione di un copricapo tanto ingombrante? Sembra esserci già così poco spazio, in quegli angusti cunicoli...»<br />
"Superficiali..." pensò il nano con insofferenza, scuotendo il capo; poi rispose: «Sei già arrivato a capire che i cunicoli sono <i>angusti.</i> Ora, fai un ultimo sforzo e domandati: è meglio scoprire <i>quanto</i> sono angusti sbattendoci contro la tua zucca vuota... o la punta del cappello?»<br />
«Semplice ed efficace!» comprese Nhèthyrhann Non Legge, intromettendosi «Se senti il cappello che tocca il soffitto, capisci che devi abbassarti».<br />
«Ehi, <i>"maestro",</i>» Hàrikhot Bestione apostrofò allora Gùrp, divertito «ti sei tanto distratto a insegnare, che hai messo il grembiule alla rovescio!»<br />
«E allora,» si raschiò la gola e sputò il nano «tu tienilo alla dritta, così magari imparo qualcosa».<br />
L'adolescente Alhaturkh, tuttavia, conosceva abbastanza Sorpresa da insospettirsi per una reazione tanto mite... così, al pari degli altri, preferì indossare il grembiule come il nano, apparentemente al contrario, a proteggere non la parte davanti del corpo, ma quella di dietro (il deretano, in particolare). Come ebbe modo di scoprire dopo una giornata in cui dovette lavorare per gran parte del tempo seduto su dure pietre, la scelta fu quella giusta.<br />
Quel giorno furono affidati a Ròlf, un caposquadra nano calvo e con una vistosa voglia in fronte, dalla nera barba legata in una moltitudine di treccioline, il quale non li dovette trovare simpatici. Forse era un amico del nano che Gùrp aveva sostituito. Spaccarono pietre e trasportarono detriti tutto il giorno. Scoprirono che, per non essere "pigri", dovevano lavorare più ore di quanto avessero ufficialmente concordato (mica volevano lasciare lo scavo così, <i>incompiuto</i>, per una quisquilia come l'<i>orario</i>, vero?). E non erano troppo ansiosi di appurare che cosa avrebbero dovuto fare per non essere "inutili".<br />
Uscirono la notte dalle viscere della terra, coperti di polvere, e uno dei sorveglianti della miniera si fece avanti per perquisirli. Non Legge, solitamente del tutto padrona di sé, tremava. E il sorvegliante, fin troppo abituato alle noiose esplorazioni di soli individui di sesso maschile, si diresse subito verso di lei.<br />
«La prego, o misericordioso archetipo di giustizia,» intervenne Xathàmklemhinn, accorgendosi della cosa «garantiamo noi della assoluta integrità morale della nostra amica! Non voglia metterla in imbarazzo con...»<br />
«Togliti!» gli sferrò una randellata l'uomo, adirato per l'impudente intervento. In una miniera d'argento, <i>fidarsi</i> era l'ultima cosa che ci si potesse permettere di fare!<br />
L'elfo evitò il colpo e, mentre il tipaccio gli passava di fianco, lievemente sbilanciato, sussurrò all'orecchio dell'uomo: «La tua paga dev'essere davvero buona, perché sappi che se insisterai nei tuoi certo giustificatissimi propositi, una freccia del mio arco verrà a farti visita, questa notte!»<br />
Il sorvegliante fissò l'elfo, incerto. Non era abituato ad essere minacciato da individui che, in teoria, avrebbero dovuto risultare sottomessi alla sua autorità. Ma la fama di arcieri degli elfi era ben nota... E quegli occhi verdi sembravano così decisi...<br />
Nessuno aveva notato niente. Allora, il sorvegliante, in via del tutto eccezionale, <i>si fidò,</i> limitandosi a perquisire gli altri.<br />
Paladina e compagni riposero in magazzino attrezzi e abiti da lavoro, recuperarono gli effetti che avevano ivi depositati e si avviarono verso casa.<br />
«Bel lavoro, ragazzi!» si complimentò il nano con Uccellino e Nhèthyrhann «Convinto una volta, lo convinceremo anche le prossime! Ci pensate, a quanto argento potremmo nascondere addosso alla nostra paladina?»<br />
Xathàmklemhinn fissava il nano senza divertimento, mentre Non Legge si teneva vicina all'elfo, come a volerglisi buffamente nascondere dietro, lei, che lo superava in altezza di circa venti centimetri.<br />
«Ma su!» sghignazzò improvvisamente il nano «Non si può neanche scherzare!? <i>Superficiali...</i>»<br />
Poi, come degna conclusione della giornata, sulla via del ritorno, incrociarono quella pattuglia di zombi che stava pestando la ragazzina.<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-33187123581767415282017-08-30T13:30:00.000-07:002017-08-31T13:33:08.356-07:00Trame d'incanto - Prologo<b>Città Morta<br />anno 314159 dalla fondazione di Hòvval,<br />giorno di Chymmér, 25 Sythebòt</b><br />
<br />
Un controllo. Avrebbe dovuto trattarsi di un banale controllo.<br />
Vhùgrhekk, compiaciuto dell'andamento generale di diverse macchinazioni che avrebbero dovuto consentirgli di guadagnare influenza presso il consiglio civico di Hòvval, si era concesso quella semplice verifica, a titolo di puro svago. Per non insospettire nessuno con la propria momentanea assenza, aveva lasciato una copia illusoria di sé nella propria torre, conferendole abbastanza intelligenza da ingannare eventuali sortilegi divinatori volti a spiarlo, o anche improbabili visitatori occasionali; poi si era teletrasportato nelle viscere dei vicini Monti delle Nebbie, nella Città Morta, quella elaborata trappola per anime naniche sulla quale contava per il più importante piano che egli avesse mai concepito.<br />
Un piano di ricchezza. Di prestigio. Di potere.<br />
Un piano che ora, angosciosamente, scopriva rovinato.<br />
«Come è potuto succedere?» mormorò il phurg, con gli occhi (i quali, di solito, sfavillavano di compiaciuto potere sul suo corpo di energia magica violetta) spalancati per l'afflitto stupore.<br />
La città, un tempo salda quanto qualunque altra urbe nanica, era <i>devastata,</i> con interi edifici o pezzi di mura che mancavano, come se una mano gigantesca li avesse staccati per scagliarli via. Ma, ciò che era peggio, non rimaneva traccia delle anime. La città in rovina era ormai del tutto deserta.<br />
Per un momento, Vhùgrhekk ricordò con sconforto quanto tempo e quanta fatica aveva dovuto spendere per allestire e popolare la Città Morta. Quanti rischi, quanti patti, quante ricerche!<br />
Tanto tempo addietro, negli ultimi anni della propria vita da essere umano, il progetto lo aveva preso a tal punto da condurlo ad odiare il sonno e a considerarlo un fastidioso impedimento nella realizzazione dei suoi scopi. Per quel progetto, aveva seriamente rischiato la propria esistenza: aveva trascurato in sempre maggior misura le proprie ricerche per scoprire il segreto dell'immortalità che la forma di phurg gli avrebbe garantito, tanto che Vhùgrhekk soltanto a malapena, ormai ridotto a un anziano mago in lotta contro il tempo, era riuscito a penetrare i misteri decisivi e a entrare con sollievo nel novero degli eletti non-morti.<br />
Quanto aveva investito, rischiato e sacrificato, per il progetto! Eppure, non aveva mai dubitato che ne valesse la pena, considerata l'entità della contropartita. Tutte quelle anime di nani prigioniere, avrebbero dovuto sentire, a causa delle leggi cosmiche più vincolanti che Vhùgrhekk conosceva, l'impulso sempre più irrefrenabile di raggiungere la loro meta ultima, i Pozzi Atri, l'assai poco invidiabile oltretomba nanico.<br />
Poco invidiabile davvero, perché lì disgustosi e voracissimi vermi si nutrivano in continuazione degli spiriti dei dannati, mangiandoli perennemente, pezzo per pezzo, senza che le anime, in quanto già defunte, potessero sperare che alla loro agonia ponesse fine la morte. Per giunta, tali dannati, essendo avidi <i>nani,</i> avrebbero sofferto quasi altrettanto per il tormento interiore aggiuntivo causato dai <i>tesori.</i><br />
I Pozzi Atri erano difatti colmi di ricchezze inimmaginabili, dai minerali più rari e più utili, alcuni sicuramente non ancora scoperti, alle gemme più pure, belle e raffinate, pietre un pugno delle quali avrebbe potuto comprare un regno. Ritrovarsi in mezzo a cotanta ricchezza senza potersene impadronire, sarebbe stato un supplizio crudele per qualsiasi nano; una tortura non meno spietata di quella di venire continuamente divorato un bocconcino alla volta.<br />
Certo, restava sempre la speranza che arrivasse infine Baraùk, il supremo dio dei nani, alla testa degli Ultimi Minatori... ma non era l'escatologia nanica ciò che interessava a Vhùgrhekk. Il subdolo phurg aveva inteso accumulare anime su anime di nani, lasciando crescere a dismisura la loro tendenza a raggiungere i Pozzi Atri... per poi lasciarle libere tutte insieme, di colpo, come un'onda di piena, e unirsi magicamente a loro, magari con l'appoggio di un piccolo gruppo di demoni o non-morti, seguendole fino alla loro meta ultima.<br />
Laggiù, considerando il caos che l'improvvisa invasione avrebbe dovuto ingenerare, Vhùgrhekk era stato certo che, per un incantatore del suo calibro, non avrebbe dovuto essere problematico resistere per qualche tempo a quell'ambiente così ostile, fare incetta di tesori, poi ritirarsi, ricco oltre ogni immaginazione.<br />
Con tutto il denaro ricavato, avrebbe potuto soddisfare ogni proprio più piccolo capriccio per tutto il resto della propria esistenza di non-morto! Nulla gli sarebbe stato impossibile! Avrebbe potuto comprare i più oscuri segreti, accrescendo di molto le proprie già vaste conoscenze nel campo dell'occulto; avrebbe potuto corrompere ogni servitore o funzionario, inducendolo a tradire il suo signore o il suo stesso paese, determinando così il corso della storia delle nazioni; avrebbe potuto soddisfare le richieste dei più potenti arcidemoni e ottenerne in cambio i servigi, scatenandoli contro chiunque gli si fosse parato dinanzi...<br />
E ora, invece...<br />
«Chiunque sia stato, se ne pentirà!» si riscosse il phurg. Non era più un ordinario incantatore umano. Era da tempo riuscito a penetrare i segreti necessari a divenire un non-morto di pura magia, un phurg, per l'appunto. Ricostruire la Città Morta gli avrebbe richiesto molto meno tempo, grazie al più diretto contatto con la magia di cui godeva ora. Ripopolarla sarebbe risultato lento, ma ormai non doveva più preoccuparsi del rapido deterioramento di un corpo di sangue e carne. Inoltre, prima di tutto, con la propria schiacciante potenza, gli sarebbe stato agevole <i>vendicarsi.</i><br />
Per sedare il proprio odio bruciante, Vhùgrhekk ripensò brevemente agli ultimi nemici che aveva abbattuto. Quel menestrello dalla faccia stupida che aveva fatto ammalare. Quella mummia che credeva di potersi permettere di ostacolarlo. Quella coppia di potenze angeliche che aveva osato chiedergli conto delle sue azioni.<br />
Il phurg ritrovò un timido sorriso: i suoi nemici, una volta abbattuti, finivano invariabilmente per suscitargli un senso come di affetto. Non vedeva l'ora di poter <i>provare affetto</i> anche per chi aveva osato oltraggiarlo a tal punto!<br />
<br />
Un essere molto, molto lontano aveva percepito quei pensieri. Etheelalhatrukursaàsra, la principale dea del male conosciuta (e giustamente temuta) dai barbari dei Monti delle Nebbie, osservò con distratto compiacimento il mondo che le giaceva ai piedi, la sterminata e devastata distesa dell'Alhatrukurkhruk, la dimensione che ella si era scelta e conquistata all'alba dei tempi.<br />
Come no? <i>Povero</i> Vhùgrhekk. Si credeva chissà quale potenza... quando invece non era che un phurg come tanti altri. Oh, certo, meglio essere un phurg come tanti altri, piuttosto che un <i>mago</i> come tanti altri, o un <i>uomo</i> come tanti altri, o uno <i>scarafaggio</i> come tanti altri... Ma, quando ci si ritrovava immischiati nelle questioni degli <i>dei,</i> essere phurg non costituiva questo eccezionale aiuto.<br />
Vhùgrhekk non avrebbe mai scoperto che la sua preziosa città era stata fatta a pezzi nel corso di un recente scontro tra Hurekuretheelgùrak, il malvagio dio della furia e della caccia, e Zàxeras, la morte, la morte reificata, dea un tempo, nonché tutt'ora in possesso di una buona quota dei propri pristini poteri di nume. Nessuna delle due divinità coinvolte aveva interesse a divulgare tale notizia. Entrambi i poteri si sarebbero opposti. Così, le magiche indagini del phurg, solitamente potenti e affidabili, non avrebbero sortito miglior effetto degli incerti tentativi di un apprendista stregone.<br />
<i>Che peccato...</i><br />
Etheelalhatrukursaàsra stava quasi per meditare se le fosse possibile sfruttare a proprio vantaggio la frustrazione del non-morto, ma rimandò. Zàxeras aveva la precedenza. Zàxeras, su cui anche lei aveva le proprie mire. Zàxeras, che credeva di sfuggirle abbandonando i Monti delle Nebbie per dirigersi a Hòvval, la città dalle Bianche Mura.<br />
«Vieni!» parlò la dea. E un nume, quando <i>parla,</i> quando parla veramente, senza imporsi quelle restrizioni e quei vincoli che gli sono necessari se deve comunicare con esseri a lui inferiori, quando si rivolge al creato stesso per plasmarlo a proprio piacimento, allora dice, ma è come se <i>facesse.</i><br />
«Menzogna delle mie menzogne, illusione delle mie illusioni,» proseguì la dea, conscia dell'importante investimento che stava compiendo in termini di potere, ma altrettanto consapevole di star preparando la mossa che sarebbe stata decisiva «mia progenie sei tu, oggi ti ho generato».<br />
E fu.<br />
Quell'essere, prima non esisteva. Ora sì. Ed era come se fosse sempre esistito.<br />
Una creatura che Etheelalhatrukursaàsra aveva generato come propria figlia, risalendo fino agli albori della creazione, attingendo in parte alla propria stessa sostanza. Un atto che nessun nume avrebbe compiuto alla leggera. Ma una creatura siffatta... oh, una creatura siffatta, di sicuro non avrebbe fallito la missione che la dea le stava per affidare.<br />
A Hòvval.<br />
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<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-62717116160537881162017-08-30T13:27:00.000-07:002017-08-30T13:27:35.459-07:00L'arena dei draghi - Capitolo 1<b>Àttes,<br />anno 310156 dalla fondazione di Àruet,<br />giorno di Nyjamé, 18 Makìsto</b><br />
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Erano tutti dei pecoroni. Questo pensava dama Dèlyn, torcendo nervosamente le anziane affusolate dita delle mani giunte e intrecciate sotto le ampie maniche della frusciante guarnacca di seta, la superficie ampia e liscia della quale faceva da stridente contrappunto al piccolo viso della gnoma, segnato da tante e tanto profonde rughe da ricordare vagamente una prugna secca. Gli gnomi erano a dire il vero una razza quasi mai bellicosa; dotati di una statura che soltanto in casi eccezionali li portava a superare il metro di altezza, di morbide protuberanze che conferivano loro un aspetto assai molto più pacioso che intimidatorio, nonché di un'indole davvero poco incline alla lotta o alla violenza. Ma a Dèlyn non andava giù che si fosse dovuti arrivare a <i>quella</i> decisione.<br />
«Ma... siamo sicuri che sia affidabile?» si trattenne a stento dal balbettare un altro gnomo, lord Nèffy, continuando a storcere il naso da una parte all'altra. A nessuno dei consiglieri piaceva particolarmente riunirsi in quella sala, rischiarata, in quanto sotterranea, dalla luce diffusa da diverse elioliti radianti (ovvero elioliti, o "pietre del sole", incantate per irradiare luce solare) opportunamente disposte: il locale era originariamente adibito a misero magazzino, al livello delle fogne della bella ed organizzata città di Àttes (capitale della repubblica marinara gnomica di Àruet), da lungo tempo consegnata alla storia col soprannome di "Città Ideale"; Nèffy, tuttavia, doveva trovare l'odore residuo, che nemmeno il potere della (peraltro non sviluppatissima) magia gnomica aveva saputo cancellare del tutto, <i>assai meno ideale...</i>anzi, davvero insopportabile.<br />
«Deve esserlo...» mormorò, forse più per convincere sé stesso che i colleghi, lord Lòopi, mettendosi le mani dagli eleganti guanti nei capelli... almeno quei pochi che l'avanzata calvizie gli aveva ancora lasciato «Altrimenti... Altrimenti...»<br />
«Lo sarà!» lord Tùzze batté un paffuto pugno sulla scrivania che aveva davanti. Apprezzarne la ruvidezza, in contrasto con la levigata mobilia della quale aveva goduto fino a poche decine di anni addietro, non migliorò il suo umore. Né lo fece, nel breve momento di silenzio che seguì, udire il sottofondo di lontani squittii di topi.<br />
«Lord Dòranel stesso mi ha assistito nella fase di ricerca» assicurò lord Tùzze, con gli occhietti neri che dardeggiavano da un volto all'altro come a sfidare qualcuno a criticare il suo operato. «E abbiamo convenuto insieme che questo Bentaràko è il migliore».<br />
"Ne ha convenuto pure <i>lord Dòranel?</i>" avrebbe desiderato raccogliere prontamente la sfida dama Dèlyn "Allora possiamo dormire sonni tranquilli...". Ma tacque. L'anziana gnoma sapeva bene quanto tenace e vendicativo potesse rivelarsi lord Tùzze. Se l'avesse davvero contrariato, egli avrebbe potuto cominciare a manovrare per estrometterla dal consiglio dei dieci che governava in nome del popolo sovrano sulla repubblica di Àruet. E anche se governare su di un popolo di gnomi (assai più <i>assente</i> che <i>sovrano,</i> data la natura curiosa e girovaga caratteristica di tale razza) non costituiva poi una così grande gratificazione, Dèlyn non contemplava di buon grado l'idea di perdere la propria posizione di privilegio.<br />
«La sua fama ha attraversato l'oceano di Shùltor!» proseguiva, nel mentre, infervorato quanto ignaro, Tùzze, sfoggiando col capo eretto la propria scodella di capelli resi nuovamente mori, di recente, dai sacri poteri dei sacerdoti di Jàras, ai quali egli aveva concesso importanti favori «Ha dato la caccia ogni genere di creature! Anche <i>draghi!</i>»<br />
Un brusio percorse la sala, riempiendo Tùzze di orgoglio. Aveva già sottolineato in almeno altre due occasioni questa presunta abilità dell'uomo che aveva fatto chiamare da un altro continente per risolvere il loro spinoso problema. E ancora i suoi colleghi si lasciavano prendere da profonda meraviglia. Tùzze era orgoglioso dell'uomo che aveva scovato.<br />
«Lui ci aiuterà» concluse lord Tùzze. «E se scoprirà che anche i Figli di Prìbbo sono coinvolti, come da molto tempo a qualcuno piace pensare, provvederà anche a loro».<br />
<br />
«I Figli di Prìbbo responsabili, certo...» borbottava dama Dèlyn, poco dopo, con lord Àurre, abbandonando la riunione ormai sciolta «dei sacerdoti di Jàras! Come vorrei che i loro colleghi avessero udito questa insinuazione del nostro <i>caro</i> lord Tùzze! I draghi li avranno massacrati! <i>Ecco,</i> che cosa è successo! Ci vuole un genio a capirlo?! E anziché radunare l'esercito... Chiamiamo un <i>mostro!</i>»<br />
«Dèlyn, mia cara,» offrì all'altra il braccio vestito di prezioso broccato lord Àurre, gnomo la cui ricchezza era addirittura proverbiale «devi ammettere che la situazione è poco chiara. La coraggiosissima e nobile iniziativa di Syòg Prìbbo, cinquemila anni or sono, ci aveva garantito, fino ad oggi, un livello di sicurezza che aveva dell'incredibile, del miracoloso. Le scorribande dei draghi si erano ridotte in maniera impressionante sia per numero che per violenza. Com'è che, tutto a un tratto, da vari decenni, le scorrerie ricominciano, forse anche più feroci e violente che un tempo? E perché i draghi cominciano a catturare un così vasto numero di prigionieri? Non l'avevano mai fatto, in precedenza. E poi persino le nostre innate capacità di suscitare compassione e clemenza sembrano meno efficaci, come se i draghi avessero studiato questa nostra difesa e svilupato una strategia per contrastarla. Cosa che sarebbe, ancora una volta, inaudita. Devi ammettere che l'ipotesi che ci sia una mente diversa da quella dei draghi dietro a tutto questo non sembra poi così assurda».<br />
«I Figli di Prìbbo sono sempre stati i più santi tra i servitori di Jàras!» rischiò di alzare la voce per l'indignazione dama Dèlyn, controllata da pacati cenni dell'altro. Mai nessuno più di Prìbbo aveva meritato la qualifica di Syòg, ovvero santo, gnomo (o comunque individuo) santo, sacro, pio. E i suoi discepoli non gli erano stati molto da meno.<br />
«Essi non hanno mai abbandonato Syòg Prìbbo,» proseguì la dama «da quando egli è andato di persona a portare il sacro messaggio di Jàras ai draghi, cinquemila anni fa! È probabilmente più santo uno solo di loro, piuttosto che tutta la cricca che Tùzze sta cercando di inserire nelle alte sfere del clero! Sai cosa ti dico? Per me, ha scelto quel... quel <i>tale</i> (perdonami, ma non riesco a chiamarlo "uomo") in modo che, se mai qualcuno di quei santi gnomi fosse ancora vivo, venga eliminato per sempre!»<br />
«Ammetto che Bentaràko il Rinnegato ha una fama davvero pessima,» convenne Àurre «ma non si ha poi tutta questa scelta, quando si cerca qualcuno <i>realmente</i> in grado di affrontare draghi...»<br />
«Fama pessima!» sputò fuori le parole la gnoma come se avessero un cattivo sapore, corrugando i lineamenti dell'anziano viso fino quasi a scomparire in una maschera grottesca «A volte mi stupisco ancora degli abissi dei tuoi eufemismi! Tu <i>sai</i> che...»<br />
<br />
La vecchia gnoma si sforzava di cucire, riparata, nel proprio negozio un tempo lussuoso, dal caldo sole estivo del primo pomeriggio. Il clima non era così torrido come nelle zone più meridionali o orientali di Aéskelon, il continente di fuoco, ma trascorrere anche soltanto un'ora sotto l'impietoso occhio del feroce astro era un'esperienza a cui qualsiasi creatura costituita da meno di nove parti su dieci di fiamma rinunciava volentieri. Il sole di Aéskelon era indomito e selvaggio quanto Aéskelon stesso. Il contrasto tra la lama di luce che trapassava senza rimorso i vetri rotti della finestra e la penombra circostante era stridente.<br />
«Zàrty! Dicono che stia arrivando!» stridette a propria volta (anche se in maniera assai più tangibile e meno figurata) la voce del gracile straccivendolo gnomo Nòlle, mentre questi apriva ulteriormente la porta socchiusa e faceva il proprio ingresso.<br />
«Bene» sospirò Zàrty. I suoi stanchi occhi avevano visto gente di tutti i tipi, nel corso della sua lunga vita. Tuttavia, avrebbe fatto volentieri a meno di vedere quello straniero. Quel depravato sanguinario. Il consiglio doveva essere proprio alla disperazione, se era stato costretto a rivolgersi a un individuo simile.<br />
«Ci libererà, vedrai!» pareva assai più galvanizzato lo gnomo smunto «Lui riuscirà a liberarci dai draghi...»<br />
«Un umano?» sollevò per un momento un sopracciglio la cucitrice, sospendendo il proprio lavoro per guardare negli occhi il visitatore abituale «Per giunta un assassino? Un uomo perverso, maledetto dagli dei e dagli uomini? Io credo che porterà solo rovina...»<br />
«Più di <i>questa?</i>» allargò le braccia, genuinamente stupito, il visitatore.<br />
La cucitrice sospirò interiormente. Si trovavano nei quartieri alti di Àttes, la Città Ideale, come era stata conosciuta fino a prima della recrudescenza delle scorrerie dei draghi. Una città realizzata seguendo minuziosamente un razionale progetto, indubbiamente frutto dei migliori architetti umani, all'epoca appositamente assoldati. Àttes, la quale si sviluppava su tre livelli: il più alto per i giardini e le costruzioni più sontuose, quello intermedio per le abitazioni della maggior parte dei cittadini e per le vie più ordinarie, il più basso, sotterraneo, per le fogne, eventuali magazzini, nonché le prigioni e le abitazioni di chiunque non potesse permettersi nulla di meglio.<br />
Àttes era un vero capolavoro architettonico, per gli gnomi, i quali, solitamente, attribuivano scarsissima importanza all'abitazione e, a causa della loro indole girovaga, avevano dimore spesso poco dissimili da tende da campo! Per Àttes avevano fatto un'eccezione in ragione del fatto che quella era la capitale (e dunque il simbolo) dell'intera repubblica di Àruet.<br />
Ma da quando, pochi decenni or sono, le scorrerie dei draghi si erano fatte frequenti e spietate, l'originaria gerarchia dei livelli si era capovolta. Dal momento che i draghi attaccavano dal cielo, i nobili quartieri alti erano stati presto dichiarati indifendibili. Troppo esposti e troppo lungamente saccheggiati, erano stati abbandonati dagli originari altezzosi abitanti, i quali avevano imposto uno scambio con i miserabili dell'ultimo livello. Ora, sempre meno difeso, sempre meno curato, sempre più degradato, il livello superiore non era divenuto altro che la grottesca ombra di ciò che era stato in precedenza. Il "negozio" della gnoma cucitrice era stato per l'appunto ricavato da una ampia e un tempo lussuosa stanza di una nobile villa. Nobile villa di cui il resto era stato abbattuto dai draghi o smantellato pezzo per pezzo dai pochi (ma in preoccupante aumento) gnomi derelitti o ridotti in povertà. Poteva davvero esserci rovina maggiore?<br />
«Quando ti affidi a un uomo che infrange senza vergogna e senza rimorso le leggi degli dei e della natura,» sentenziò infine Zàrty «può <i>sempre</i> andare peggio. Oh,» concluse con una invocazione «Syòg Prìbbo, veglia su di noi!»<br />
<br />
«Arriverà con la prossima nave, ti dico!» insisteva, concitato, il giovane gnomo Tràvve, biondo e dalla pelle bruciata dal sole, alla taverna «Me l'ha assicurato mio zio, che fa il mercante di stoffe ed è appena sbarcato con notizie fresche da Nùjin! Bentaràko il Rinnegato viaggia sul "Vento di Fuoco"!»<br />
«Io voglio proprio vedere, che cosa combinerà, quando si troverà di fronte a un drago <i>vero!</i>» commentò Evàrky, un altro avventore gnomico dell'"Allegro Viaggiatore", modesta ma pulita taverna del livello mediano. Qualcun altro ridacchiò, probabilmente immaginandosi il grande eroe che se la batteva a gambe levate.<br />
«Secondo me,» insistette allora Evàrky, grattandosi distrattamente il fianco «straccerà il contratto in mille pezzi e si rintanerà nel profondo della stiva della prima nave in partenza!»<br />
«Non scherzare!» fece di nuovo Tràvve «Ha già cacciato altri draghi, in Tugùrnia! E all'ultimo che lo ha messo in dubbio, gli ha tagliato le orecchie e lo ha costretto a darle da mangiare al suo cane!»<br />
«Ah sì?» rifiutò di cedere facilmente l'altro «Beh, mi piacerebbe proprio vederlo, il tuo bel campione, a tagliare le orecchie <i>a un drago!</i> Spero quasi in un piccolo attacco, per quando arriverà...»<br />
«Taci, idiota!» si fece avanti un terzo gnomo, dalla barba ispida e dal corpetto liso, palesemente adirato «I draghi vengono già a trovarci abbastanza spesso senza che ce li chiami addosso tu! Se proprio ci terrai a vedere Bentaràko in azione, seguilo quando partirà, che non sarò io a fermarti, va bene? Ma fino a quel momento, lascia stare i draghi!»<br />
Sapendo che, nel corso dell'ultima razzia, a quello gnomo era stata uccisa la famiglia, Evàrky tacque, e, improvvisamente incupito, ordinò un altro boccale di birra e si sedete in disparte.<br />
<br />
«Dicono che parli coi demoni!» cicalecciava la giovane gnoma riccia e rossa, attingendo acqua dal pozzo assieme a un gruppetto di compagne.<br />
«Sì, è vero! E dicono che uno dei demoni è diventato suo famiglio!» completò le informazioni un'altra ragazza gnoma, Vàelyn, spalancando i propri grandi e lucenti occhi chiari «Viaggia sempre con lui! Non lo lascia <i>mai!</i> Dicono che l'ultima donna con cui è stato...» (la ragazza abbassò ulteriormente la voce, segno che stava rivelando un interessantissimo quanto scabroso segreto) «ha dovuto giacere <i>con tutti e due!</i> Lui e il demone! <i>Insieme!</i>»<br />
«Oh!» trasalì un'altra «e che ne è stato di lei?»<br />
«Non si sa!» assicurò Vàlyn «Non si è più rivista...»<br />
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Quando il "Vento di Fuoco" attraccò al porto di Àttes, nel tardo pomeriggio, una insolita frotta di bambini (nonché una concentrazione curiosamente superiore alla media di ben più maturi gnomi adulti) era assiepata nelle vicinanze, in attesa di vedere Bentaràko, Bentaràko il Rinnegato, Bentaràko il cacciatore di vite. Per tutto il giorno, le madri gnome avevano ritenuto che la minaccia di sottoporre i loro figli a Bentaràko per un pronto taglio di orecchie qualora fossero stati disobbedienti sarebbe ottimamente valsa allo scopo di ottenere che i pargoli si comportassero bene; invece, con loro costernata sorpresa, erano state costrette a <i>invertire</i> la minaccia: i fanciulli avrebbero dovuto dimostrarsi bravi e ubbidienti <i>al fine</i> di incontrare questo feroce e truculento straniero, sul cui conto giravano le dicerie più inverosimili. Le ultime voci assicuravano che fosse solito cibarsi dei corpi ancora caldi dei nemici uccisi. E molti, morbosamente affascinati, volevano vederlo.<br />
Ma Bentaràko non si trovava a bordo del "Vento di Fuoco". Il capitano del vascello disse che sarebbe forse arrivato col "Serpente di Mare" l'indomani o con la "Bellezza" il giorno dopo ancora.<br />
Anche il "Serpente di Mare", il giorno seguente, deluse le aspettative. Ma quando, in ritardo per un imprevisto fortunale, al mattino di altri tre giorni dopo, giunse in porto la "Bellezza", dall'elegante e slanciato galeone gnomico scese un passeggero di dimensioni umane...<br />
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<b>Àttes,<br />anno 310156 dalla fondazione di Àruet,<br />giorno di Phyjamé, 22 Makìsto</b><br />
<br />
L'uomo scendeva senza incertezze lungo la stretta passerella, a dispetto dei lucidi e alti stivali neri, i quali gli giungevano fino alla coscia, per nulla adatti al caldo clima del continente di fuoco. Le brache e la camicia di buona fattura stonavano con la povera kefiyyah che portava sul capo, nascondendone parzialmente la scodella di lisci capelli neri; ma Bentaràko aveva evidentemente anteposto la difesa dall'impetuoso sole estivo che solitamente imperversava su Aéskelon, alle considerazioni meramente estetiche. Al suo fianco, anche Lestèria, che incedeva con pari sicurezza, ne portava una.<br />
«Hai visto?» sorrise Bentaràko alla propria amata «Siamo arrivati».<br />
Lestèria gli rispose con uno sguardo di quei bellissimi occhi neri che egli aveva imparato ad amare. Occhi in cui si rifletteva quell'amore e quella dolcezza che facevano da irrinunciabile contrappeso alla sua sanguinaria professione. Spia. Assassino. Cacciatore. Di <i>ogni genere</i> di preda. Puntualmente ricercato quando i problemi erano più spinosi. Le probabilità più esigue. I pericoli più grandi. E altrettanto puntualmente dimenticato, a cose fatte, quando invece si preferiva ricordare... <i>altro.</i> Come la scomodità della sua natura così originale.<br />
«Ehm...» si fece avanti, parlando in Àruettese, la lingua utilizzata da tutti gli gnomi della repubblica, l'unico altro uomo presente, tra il diluvio di sguardi gnomici circostanti pessimamente dissimulati «Lei è il signor Bentaràko?»<br />
"Sì. E tu hai paura" capì subito Bentaràko. Capire al volo le situazioni era parte integrante del suo mestiere. Rispose con un cenno affermativo del capo.<br />
«Ehm...» esitò un momento l'uomo, salvo poi, evidentemente, decidere di presentarsi, tendendo la mano al nuovo venuto «Io sono lord Dòranel, uomo d'ingegno nonché consigliere di questa città. Il consiglio ha pensato di inviare me, in quanto unico rappresentante umano, a porgerle il nostro più caloroso...»<br />
«L'etichetta vorrebbe che lei salutasse prima la mia signora» squadrò l'altro serio Bentaràko, esprimendosi nell'Àruettese lento, ma quasi del tutto corretto, che aveva avuto modo di imparare nel corso del lungo viaggio per mare e degli occasionali scali nei porti. L'ambasciatore non cominciava affatto bene.<br />
«La sua...» lo guardò senza capire il consigliere, il quale evidentemente, se pure si riteneva uomo d'ingegno, non poteva certo fregiarsi del titolo di "uomo d'<i>intuito</i>" «Oh, certo!» si decise infine, mentre gocce di sudore indubbiamente <i>non</i> causate dalla temperatura ancora mite del mattino gli imperlavano la fronte «Mi scusi... Non ho molta dimestichezza negli incarichi ufficiali...» e tese senz'altro indugio la mano a Lestèria, facendone la conoscenza. Dopo, rabbonito, Bentaràko lo gratifico di una stretta vigorosa.<br />
«Venga, prego, le faccio strada...» si offrì Dòranel «Il consiglio è pronto a riunirsi e la riceverà immediatamente!»<br />
«Se non le dispiace, consigliere,» obiettò Bentaràko, in un tono che lasciava intendere che sarebbe stato <i>molto</i> meglio che all'altro <i>non</i> dispiacesse «vorremmo prima mangiare e bere qualcosa. Quale taverna saprebbe consigliarci?»<br />
<br />
L'abituale cacofonia che faceva da sottofondo durante le ore di apertura dell'"Allegro Viaggiatore" cessò nel volgere di pochi secondi.<br />
"Spero di aver scelto bene..." sudava freddo Dòranel. Aveva optato per il livello intermedio, onde non rischiare l'ostilità dei gestori degli esercizi più titolati, ma, al contempo, non offendere il prezioso e (soprattutto) pericoloso ospite portandolo in una bettola. Per giunta, la taverna che aveva adocchiato sul momento lo aveva colpito per l'aria di dignitosa semplicità...<br />
Gli occhi di tutti erano fissi su Bentaràko e Lestèria.<br />
Brùffi, il taverniere, il quale fino a quel momento si era fatto avanti a piccoli passi incerti, al vedere e riconoscere Dòranel, ancora fuori dalla porta, parve prendere coraggio e si rivolse a Bentaràko: «Signore... nel mio locale non possono entrare...»<br />
«Lei viene dove vado io» tagliò corto Bentaràko, subito pericolosamente indispettito. Tutte le volte la stessa storia! Sempre gli stessi assurdi pregiudizi! Avrebbe dovuto esserci ormai abituato; invece, tutte le volte che volevano discriminare la sua Lestèria soltanto perché era quello che era, l'uomo sentiva invariabilmente l'impellente desiderio di insegnare all'idiota di turno un po' di tolleranza a mezzo della propria spada.<br />
«Signore...» Brùffi cercò con gli occhi il soccorso di Dòranel «È la legge...»<br />
Bentaràko condusse Lestèria a un tavolo vuoto, scostò una sedia, sulla quale la fece accomodare, dopo di che si sedette a propria volta e fissò lo gnomo negli occhi: «Ecco, adesso ho infranto la tua preziosa legge. E ora vuoi servirci? <i>O devo commettere un crimine più grave?</i>»<br />
Brùffi non sembrava credere a quanto aveva appena visto: passava continuamente il proprio sguardo stralunato dal consigliere, apparentemente impegnato nel vano tentativo di scomparire con la forza del pensiero, ancora fermo appena fuori della soglia del locale, all'avventuriero, che perseverava a sfidare senza riguardo la legge della città! Alla fine, gli occhi dello gnomo finirono per incontrare quelli di Bentaràko il Rinnegato, occhi azzurri e gelidi come l'acciaio. Lo gnomo era fortemente impressionato (<i>spaventato</i> era un termine che avrebbe reso meglio l'idea)... quindi deglutì e replicò, nel silenzio di tomba che si era nel mentre creato: «Capisco... I signori desiderano?»<br />
Successivamente, però, quando si trovò in cucina, mandò una sguattera a chiamare le guardie. Ma chi si credeva di essere, quello straniero del demonio? Come si permetteva, di venire a fare il prepotente nella <i>sua</i> taverna, nella quale, fosse dipeso da lui, una persona così non l'avrebbe fatta mai entrare, ne fosse andato del fallimento del locale? Le autorità lo avrebbero sistemato... C'era niente di meno che un consigliere, come testimone dell'atteggiamento inqualificabile dell'uomo!<br />
<br />
Il capitano Giàrky arrivò in men che non si dica, sferragliando nell'ampia cotta di maglia che gli arrivava fino a poco sopra dell'altezza delle ginocchia, alla testa dei propri dieci armigeri gnomi armati di picca. Per quanto uno gnomo potesse fare un'impressione marziale, il capitano la faceva: schiena eretta, forme meno arrotondate tanto di quelle dello gnomo tipico, quanto di quelle dei propri sottoposti, capo rasato quasi a zero, spada snudata in mano. Al vederlo sopraggiungere, il consigliere Dòranel si sentì mancare. La situazione gli stava sfuggendo di mano.<br />
«Capitano!» cominciò a chiedere l'uomo «Quali incombenze la portano...»<br />
«È lì dentro!» la sguattera gnoma al seguito indicò, con dito e voce tremante, l'ingresso della locanda «Vedrete che sono ancora lì, tutti e <i>due!</i> E lui ha anche minacciato il mio padrone...»<br />
«Ci penso io!» procedette deciso verso l'ingresso il capitano. <i>Nessuno</i> poteva permettersi di turbare impunemente la quiete del quartiere assegnatogli; nessuno! Il capitano Giàrky prendeva molto sul serio le proprie responsabilità.<br />
«Ma capitano...» incominciò Dòranel, pur senza sapere come continuare la frase.<br />
«Consigliere?» lo squadrò lo gnomo «Vuole forse dirmi che lo straniero agisce sotto l'egida del consiglio? Che il consiglio della città di Àttes approva e autorizza formalmente tutto questo?»<br />
No. Dòranel lo sapeva. Il consiglio avrebbe <i>accettato</i> "tutto questo". Ma mai <i>approvato.</i> Mai <i>autorizzato formalmente.</i> Ci sarebbe soltanto mancato che il consiglio "approvasse formalmente" una palese violazione delle norme cittadine!<br />
Il capitano accolse l'imbarazzato silenzio come un "no" e si sentì autorizzato a procedere.<br />
Entrò.<br />
«Straniero,» raggiunse in men che non si dica il tavolo dell'unico uomo presente nella taverna «ti sei divertito abbastanza. Lo spettacolo che state offrendo tu e...»<br />
«Bada a quello che dici, <i>mezzo</i> capitano!» lo interruppe subito Bentaràko, alludendo, col termine "mezzo", alle dimensioni dello gnomo in rapporto alle proprie.<br />
«Che cazzo hai detto?» si sporse minaccioso l'ufficiale, mentre gli armigeri cominciavano lentamente a raggiungerlo «Vuoi aggiungere l'offesa a pubblico ufficiale alla lista delle accuse a tuo carico? Ti sorride tanto, l'idea di passare una giornata o due legato sotto il sole e cosparso di miele? Le mosche apprezzano sempre tanto il nostro modo di fare giustizia... Ma forse tu ci vai a letto, con le mosche visto chi...»<br />
Lestèria cominciava a dare i primi segni di inquietudine... e ciò bastò a far decidere a Bentaràko il Rinnegato che era stato oltrepassato il limite. Il <i>suo</i> limite. L'unico di cui gli importasse.<br />
Il capitano trasalì strizzando le palpebre all'improvvisa fitta di dolore, quando l'uomo, allungando la propria gamba sotto al corto tavolo della taverna gnomica, lo colpì al ginocchio, fino al quale la cotta di maglia non giungeva, col duro stivale. Lo gnomo non riaprì mai più gli occhi: l'avventuriero si era alzato estraendo la spada e gliel'aveva conficcata in bocca con un unico movimento, devastandolo. Le guardie gnomiche, abituate, tipicamente, a intervenire in casi di disturbo della quiete pubblica o, tutt'al più, ad aiutare a sgomberare rapidamente le aree sotto incursione di draghi, si guardavano scosse l'una con l'altra.<br />
Dilettanti, pensò Bentaràko. Non vogliono morire. Vogliono solo arrivare a fine giornata e dimenticare. Magari, tra qualche giorno nemmeno ci crederanno più, che qualcuno ha massacrato sotto i loro occhi il loro beneamato capitano e si dimenticheranno del gelo che hanno sentito, quando la morte è passata loro accanto, sfiorandoli su una spalla.<br />
«Ti sudano le mani» commentò l'avventuriero, rivolto al picchiere gnomo più vicino. L'attimo dopo, con un guizzo troppo rapido perché l'altro riuscisse a reagire, allungò la sinistra a chiudersi sul manico dell'arma ad asta e la strattonò, facendogliela scivolare via senza difficoltà dalla presa poco salda. Lo fissò negli occhi. "Mi sta implorando mentalmente di non ucciderlo," pensò Bentaràko "anche se la voce non vuol saperne di risalire la china della gola..." Gli altri nove armigeri avevano inconsapevolmente fatto un passo indietro.<br />
Bentaràko lanciò di nuovo l'arma allo gnomo disarmato, accompagnata dalla parole: «Dovresti usare dei guanti, se hai questo problema. Altrimenti, prima o poi ti farai male».<br />
Gli diede le spalle, come se l'altro non meritasse ulteriore attenzione. <i>Sapeva</i> che lo gnomo non avrebbe rischiato. Non lì, col cadavere del fu capitano il cui sangue si allargava sempre più sul pavimento della taverna, richiamando le prime mosche. Del resto, sorrise Bentaràko, il tizio non aveva appena detto che le mosche "apprezzavano sempre tanto il loro modo di fare giustizia"?<br />
«Taverniere!» chiamò Bentaràko.<br />
Muovendosi lentamente, come perso in un sogno o in un incubo, Brùffi si mosse da dietro il bancone, con passi esitanti.<br />
«Fai dare una pulita qui!» ingiunse l'avventuriero «E alla svelta!» poi riprese a dedicarsi alla pagnotta al miele ed al formaggio di cui si stava occupando prima che il capitano lo distogliesse. Lestèria aveva intanto terminato la bistecca al sangue per cui aveva invece optato ed aveva un'aria felice. Bentaràko si stupiva sempre della capacità di lei di godere di ogni singola piccola gioia della vita. La accarezzò con affetto.<br />
Il taverniere era troppo scosso per replicare oltre. Si chinò a sollevare parzialmente il corpo da sotto le ascelle e a trascinarlo via. Dopo sarebbe tornato per lavare via il sangue.<br />
«Sentite,» si rivolse allora ai dieci armigeri Bentaràko «non occorre che vi disturbiate a scortarmi. Non appena mi sarò ristorato, sono atteso dal consiglio, che è il supremo organo di governo della città, giusto?»<br />
I dieci annuirono. Erano molto comprensivi.<br />
«Quindi,» proseguì Bentaràko «se avranno rimostranze da fare sul mio operato, potranno provvedere loro di persona, giusto? Lei che cosa ne dice,» cambiò improvvisamente interlocutore l'avventuriero «consigliere Dòranel?»<br />
Tutti gli occhi della taverna si fissarono sulla figura dell'uomo imbarazzato, che si tormentava le bordature dell'elegante giornea, ancora sulla soglia del locale.<br />
«Io...» si trovò colto alla sprovvista il consigliere «Sì, credo che sia il consiglio a dover decidere...»<br />
«Sentito ragazzi?» sorrise agli armigeri Bentaràko «Potete andare. Ci pensa a tutto il vostro consiglio, vedrete. Vi auguro una buona giornata!»<br />
Con imbarazzante quanto evidente sollievo, i dieci gnomi ricambiarono il saluto, borbottarono ringraziamenti per gli auguri e uscirono dal locale, ancora confusi e increduli per la scena di cui erano appena stati testimoni... e parziali protagonisti.<br />
<br />
«... E per i servigi suoi e della sua signora, noi le consegneremo la somma di centomila rose d'oro, parte in contante, parte in gemme e gioielli ovvero altre merci preziose e di agevole trasporto, parte in lettera di credito, accettata praticamente da qualunque banca gnomica del mondo conosciuto» declamò Tùzze con solenne pompa, ergendosi per ostentare la propria ritrovata capigliatura corvina. «Inoltre, come da sua ultima richiesta, lei potrà ritirare in ogni momento un anticipo fino a una centesima parte della cifra convenuta per spese di equipaggiamento, ovvero far addebitare dette spese sul conto del presente consiglio. Lei ha ben compreso ovvero approva espressamente i termini del nostro accordo, signor Bentaràko?»<br />
Certo che ho capito, pensava Bentaràko. Siete in brache di tela! Vivete sotto terra come topi, mentre le vostre belle ville, là sopra, le distruggono i draghi e le occupano i derelitti. Soltanto la vostra soprannaturale aura che ispira pietà e simpatia impedisce che i draghi spopolino integralmente la città. Non sapete che cosa sta succedendo. E avete una paura matta. Se riuscirò a far sì che le decine di draghi che vi opprimono da decenni spariscano e se potrò assicurarvi che non torneranno più, mi ricoprirete d'oro. Chiaro. La rosa d'oro è una moneta di tutto rispetto. Di grosso taglio. In uso in tutta la repubblica di Àruet. Peraltro assai ben accetta anche presso molti altri stati. Centomila rose d'oro... potrebbero addirittura corrispondere al valore un piccolo feudo, con castello e territori annessi. Sì, siete proprio in brache di tela! In più, tu vuoi che questi famosi "Figli di Prìbbo", che evidentemente possono guastare chissà quale tuo gioco, vengano fatti sparire, se mai fossero ancora in circolazione. Me l'avrai detto cinque volte, di non farmi scrupolo di "punirli" se avrò "il benché minimo" sospetto sulla loro responsabilità "anche parziale"... So leggere tra le righe, stai tranquillo. Come so leggere l'ostilità sul volto di quella specie di prugna secca laggiù. Ma le vostre beghe interne non mi riguardano. Io sono l'uomo che fa per te. Finché non provi a fregarmi.<br />
«Vedrà, lord Tùzze,» sorrise ferale Bentaràko il Rinnegato «che saprò eliminare <i>ogni</i> suo problema, dal più grande... <i>al più piccolo!</i> Siamo d'accordo».<br />
«E allora,» si accesero i neri occhietti del consigliere, il quale ben aveva colto ogni sottinteso «il consiglio la ringrazia e le porge i migliori auguri di buon lavoro, signor Bentaràko! A lei e alla sua signora!»<br />
<br />
«"Auguri a lei e alla sua signora!" Ma ti rendi conto, Àurre?» era indignata Dèlyn, a riunione finita, mentre percorreva in compagnia del ricco collega il tratto di strada che avevano in comune per raggiungere le rispettive abitazioni «Quell'uomo è un pazzo. E un assassino. E le sue consuetudini sono contrarie a tutte le leggi degli gnomi e degli dei! E che cosa fa il consiglio, anziché impiccarlo, affogarlo, o almeno rinchiuderlo nella cella più buia che abbiamo? Lo giustifica, lo blandisce e lo assolda! Come se niente fosse!»<br />
«Capisco il tuo punto di vista, mia cara,» sospirò Àurre, attivando nel mentre il magico potere della propria cioppa ricamata a fiori, il quale consisteva nell'emanare una delicata fragranza in grado di coprire qualsiasi cattivo odore; gli incantesimi e i miracoli con cui si era cercato di rendere dignitoso l'infimo livello della città non avevano purtroppo avuto successo completo...<br />
«D'altro canto,» proseguì lo gnomo, procedendo senza fretta lungo il corridoio sotterraneo uniformemente illuminato da diverse elioliti radianti, «noi <i>abbiamo</i> bisogno di un avventuriero, forse anche di un vero e proprio assassino».<br />
«Sì,» si infervorò Dèlyn, le rughe del suo anziano volto messe in risalto dalla furia «ma di un assassino <i>di draghi,</i> non <i>di gnomi!</i> Il povero capitano Giàrky è stato ucciso soltanto perché stava cercando di fargli lasciare fuori dalla taverna il suo animale. Quell'animale che lui si ostina a trattare come fosse una persona! Hai ascoltato anche tu il rapporto che ci ha fatto Dòranel; l'aveva anche <i>fatta sedere su una sedia!</i> Aveva costretto il taverniere a <i>lasciarle annusare</i> diverse pietanze per capire di che cosa aveva più voglia! Io comincio addirittura a credere alle voci che riferiscono di come lui addirittura <i>abbia rapporti</i> con lei! E che cosa fà, quel viscido codardo opportunista di Tùzze? Comincia anche lui a chiamarla "signora"! Àurre, ma ti rendi conto, che un valido e zelante ufficiale come il capitano Giàrky è morto <i>per colpa di una cagna?</i>»<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-84276943437482756762017-08-30T13:26:00.000-07:002017-08-31T13:43:17.132-07:00L'arena dei draghi - Prologo<b>Desolazione del Sèrnifal Dínoe,<br />anno 304929 dalla fondazione di Àruet,<br />giorno di Lyamé, 21 Terùsto</b><br />
<br />
Il giovane esemplare di drago femmina si muoveva a malapena, riverso sulla sabbia del desolato deserto di Sèrnifal Dínoe, sotto al rovente sole sorto ormai da qualche ora su Aéskelon a festeggiare con tutta la propria esuberante energia il solstizio d'estate. Un deserto desolato, sí... ma, evidentemente, non abbastanza. Per la giovane draghessa del fuoco, lunga appena una decina di metri in tutto sommando le tre sezioni di coda, corpo e collo, invadere inavvertitamente il territorio di un iracondo drago delle sabbie era stato fatale. L'altro era stato un drago adulto, nel pieno delle proprie forze, lungo difatti <i>quindici</i>metri... Le scaglie tra il beige e il giallastro del suo dorso gli avevano consentito di mimetizzarsi con facilitá estrema nella sabbia; se poi si considera che un drago adulto é anche discretamente abile nello sfruttare le proprie innate risorse magiche per lanciare incantesimi... quindi perfettamente in grado di servirsi di mezzi esoterici per migliorare il proprio occultamento... ben si comprende come la draghessa del fuoco non avesse avuto scampo.<br />
Il <i>krephòssh,</i> come i draghi chiamavano il loro magico soffio in generale, indipendentemente dalla particolare manifestazione del micidiale attacco (fuoco, acqua, fulmini...), l'aveva investita prima ancora che ella si rendesse conto di essere sotto attacco. Un soffio di aria rovente, secca, disidratante, che trascinava un micidiale pulviscolo di sabbia e sale... La draghessa Kjiumòf-Tìja aveva avuto scaglie belle e robuste; di un rosso vivo e deciso verso il ventre, che veniva squarciato da esplosioni cromatiche di vampe gialle dai bianchi contorni sui fianchi (le quali le avevano fruttato il soprannome di "Kjiumòf-TìjaS"), per poi virare gradatamente a un lieve grigio fumo verso il dorso. Ma, sotto la violenza del furibondo attacco, si erano seccate e spaccate, esponendo larghe aree di carne viva. Non miglior sorte era toccata alle piú delicate membrane delle ali, ali ampie, dalla stessa foggia di quelle dei pipistrelli, solitamente ben in grado di sostenere in volo la giovane femmina... ma le quali, dopo il brutale assalto, avevano dovuto cedere, riuscendo a malapena a smorzare la rovinosa caduta. Fortunatamente, la sabbia aveva ulteriormente attutito l'impatto.<br />
Il drago delle sabbie non aveva atteso un istante nel lanciarsi su di lei. Kjiumòf-TìjaS ricordava ancora quel bel colore azzurro chiaro delle scaglie del ventre, cosí simile al cielo del deserto... e che era risultato in cosí plateale contrasto con la brutale violenza del collerico maschio, il quale l'aveva spinta via, lontano, a forza di potenti calci con le zampe piú massicce, quelle inferiori, sulle quali i draghi potevano reggersi in piedi. Non l'aveva morsa con le ferali zanne o colpita con l'altro paio di zampe, gli arti superiori, simili a braccia, meno possenti, ma muniti di mani artigliate, piú adatti a attacchi rapidi o a compiti di precisione; tuttavia, a titolo di commiato, una volta ottenuto di spingerla fuori dal territorio che si era scelto, le aveva calato contro un feroce colpo di coda. Doveva averle spezzato diverse ossa: il dolore non la lasciava concentrare su magie curative. Era come giá morta. Kjiumòf-Tìja lo sapeva.<br />
Ne ebbe la conferma, quando si accorse della creatura che le era arrivata vicino senza che lei nemmeno se ne accorgesse. In condizioni ordinarie, un drago, coi propri acuti sensi da cacciatore, avrebbe dovuto percepire il pur piccolo essere! Si trattava di un umanoide. Uno gnomo. Alto a malapena un decimo di quanto lei era lunga. Eppure, lui vivo e vegeto; lei morente. Il pensiero di una simile ingiustizia la spinse quasi a schiacciarlo con uno stanco colpo d'artiglio o di coda. Ma qualcosa la trattenne. Ma sí. In fondo, a che sarebbe servito?<br />
Le parve di percepire l'addensarsi di potenziale occulto. Lo gnomo stava incanalando potere. Magia. O forse potenza divina. Ridicolo! A quali risorse arcane poteva fare appello, una creaturina alta sí e no un metro? Probabilmente, lo gnomo avrebbe avuto bisogno di avere altri nove colleghi a spalleggiarlo, qualsiasi cosa intendesse tentare di farle...<br />
Poi Kjiumòf-TìjaS <i>sentí.</i> Kjiumòf-Tìja avvertí una benevolenza quale mai aveva provato nel corso della propria burrascosa vita da draghessa. Sentiva una forza <i>amorevole</i> che la pervadeva completamente... senza farle violenza, senza costringerla a nulla, nemmeno alla riconoscenza, ma semplicemente, rivelandosi, donandosi, <i>offrendosi...</i><br />
«Nel nome di Jàras,» sorrise lo gnomo «io ti dico, figliola, alzati!»<br />
Kjiumòf-TìjaS era troppo sorpresa. Sorpresa da questa eccezionale forza che la minuscola creatura era riuscita a veicolare. Sorpresa dall'atteggiamento di quello gnomo, il quale, senza ombra di paura nei propri luminosi occhi azzurri, che sembravano splendere piú che i raggi del forte sole di Aéskelon sui suoi sozzi ricci castani, aveva deciso di aiutarla. Quando, solitamente, i draghi che incontravano degli gnomi, se forse, in ragione della soprannaturale simpatia che le creaturine sapevano ispirare, non li divoravano, per lo meno li depredavano di ogni avere.<br />
La draghessa si stupí anche di aver compreso le parole dello gnomo. A meno dell'ausilio di magia o di altri prodigi, difatti, gli gnomi non erano in gradi di comunicare coi draghi. Si meraviglió altresí di essersi alzata. Non si era accorta di averlo fatto. Nè di essere fisicamente in grado di farlo.<br />
Non soffriva piú. Ed era viva. Quindi, era stata guarita. Si esaminó le scaglie, flettendo senza difficoltá il lungo collo serpentino. Sí. Era stata guarita completamente. Da un semplice gnomo.<br />
«Ecco, figliola,» continuó a sorriderle lo gnomo, con una serenitá che pareva, in un qualche arcano modo, piú potente della sfrenata ira del drago delle sabbie di poco prima «io sono venuto a portare a te e ai tuoi fratelli il dono di Jàras. Il suo amore completo ed efficace, che abbraccia ogni creatura. E che, quando reinvestito, porta frutti impensabili».<br />
«A noi draghi piacciono i doni,» rispose Kjiumòf-Tìja, cercando di prendere tempo in quanto si sentiva troppo confusa da tutti quegli eventi insoliti che si erano susseguiti nell'arco di cosí poco tempo «ma io non ho fratelli».<br />
«Gli altri draghi, figliola» non smise di sorriderle lo gnomo. «Portami a conoscere gli altri draghi, se ora ti senti meglio».<br />
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Prosegui al <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/larena-dei-draghi-capitolo-1.html">Capitolo 1</a><br />
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-13994118279632166342017-08-30T13:23:00.000-07:002017-08-30T13:24:25.228-07:00Nell'occhio di chi guarda - Capitolo 1<i>Caro diario, è da tanto tempo che non ti scrivo, ma sono stata impegnata. Impegnata con Màstredd. Sai, <i>non</i> aveva ragione la mamma. Come al solito. La mamma non ha <i>mai</i> ragione. A volte, penso che sia tonta.</i><br />
<br />
All'incerta luce della luna che filtrava da un'assicciola rotta degli scuri, Aydrìse ricominciò a scrivere. <i>Odiava</i> sforzarsi gli occhi così! Aveva protestato e preteso una candela, ma aveva ricevuto soltanto un calcio. Aveva <i>strepitato</i> di indignazione, rimediando un pugno che doveva averle lasciato un livido <i>orribile</i>. Come se ce ne fosse bisogno! Ella era <i>già</i> orribile... Con quei suoi occhi grigi così anonimi...<br />
A questo punto, Aydrìse era andata <i>davvero</i> fuori dai gangheri... ma la pur funesta ira di una esile ragazza di diciassette anni si era rivelata sorprendentemente inefficace contro la mal assortita accozzaglia formata da un goblin privo di scrupoli, una nana robusta e sfregiata e due ragazzi sporchi, puzzolenti, miserabili... ma indiscutibilmente forti e determinati. I quattro l'avevano chiusa in quello stanzino e le avevano detto di non seccarli ulteriormente, perché se si fosse fatta rovinare la faccia a tal punto da non poter venire venduta al "Caldo Rifugio" (nome che a Aydrìse non diceva comunque nulla), avrebbero finito di storpiarla ben bene e l'avrebbero rivenduta invece a un circo, come fenomeno da baraccone.<br />
<i>Naturalmente</i>, Aydrìse non ci aveva creduto. Che cosa assurda! Dovevano solo <i>provarci</i>...<br />
La ragazza si riassettò i castani capelli mossi con un gesto automatico e, per raccogliere le idee, rilesse le righe che aveva appena aggiunto al proprio amato diario. Che fortuna, che non glie lo avessero preso! Né quello, né la penna lievemente incantata (la magia era piuttosto diffusa, nelle Piane delle Stelle, tranne che tra le classi più miserevoli) con la quale, senza bisogno di avere sempre con sé una provvista di inchiostro, poteva scaricare sulle pagine le proprie emozioni. Bastava che si ricordasse, ogni qualche giorno, di intingere la penna nel calamaio; il magico oggetto si sarebbe autonomamente rifornito di inchiostro come un cammello d'acqua prima di una traversata del deserto.<br />
<br />
<i>Uscire con Màstredd è sempre divertente. Non indovinerai mai cosa abbiamo fatto questa notte! Siamo andati nello Stretto, <i>col buio,</i> a giocare scherzi alla feccia della città!</i><br />
<i>Abbiamo fatto un gran casino alla porta di un ricettatore e poi siamo fuggiti via di corsa!</i><br />
<i>Abbiamo tirato i sassi alle finestre di un assassino e poi siamo scappati!</i><br />
<br />
E adesso, c'era il problema di continuare. Di raccontare nel modo giusto anche la terza bravata, quella in cui qualcosa era andato storto. Del resto, lo Stretto, uno dei quartieri più poveri e malfamati della altrimenti civile città di Hòvval, <i>non a caso</i> è evitato dalla gente per bene, dopo il calar delle tenebre...<br />
Per le sue anguste viuzze, già incredibilmente cupe di giorno a causa delle misere abitazioni costruite fitte e a sbalzo, di notte è possibile incontrare ogni sorta di minaccia, dall'ordinario borseggiatore o rapinatore al vampiro assetato di sangue; dal derelitto disperato capace di uccidere per un vecchio stivale, alla ronda di zombi armati di bastoni di cui l'autorità civica si serve per far rispettare il coprifuoco che vige nei quartieri bassi...<br />
Non ci sono lanterne o fiaccole accese, lungo le viuzze dello Stretto. E nemmeno dalle imposte delle finestre filtra qualche fievole lucore; evidentemente, persino la luce è troppo saggia ed esperta per frequentare lo Stretto dopo il calar delle tenebre.<br />
Proprio a causa di questo buio praticamente impenetrabile, a Aydrìse era sembrato un cimento affatto alla propria portata, il furto a casa di una banda di ladri che Màstredd aveva proposto. Diamine! Aydrìse stentava addirittura a distinguere la figura di Màstredd, il quale pure la stava conducendo per mano, muovendosi furtivo rasente alle pareti fatiscenti e aiutandola, di quando in quando, a scavalcare cose che ella non riusciva a distinguere bene, ma che si spaventava ed elettrizzava ad un tempo a immaginare!<br />
Come avrebbero potuto scoprirli, i ladri? Non li avrebbero visti nemmeno se Aydrìse fosse passata dritta sotto il loro naso!<br />
E invece...<br />
<br />
<i>Purtroppo, i ladri ci hanno scoperti. Mi stupisco anche che se la siano presa così tanto! Rubano molto più spesso, <i>loro!</i> E per una volta che volevamo farlo noi... E chissà poi cosa possono avere, da rubare! Se fossero ricchi, non vivrebbero mica qui! Che poveri sfigati...</i><br />
<i>Comunque, non devi aver paura: Màstredd ci salverà. Ha preso una bella botta; l'ho sentito irrigidirsi, poi gridare, dopo il rumore metallico, e bestemmiare... Ma sono sicura che sta bene. Sfigati così, se li mangia a colazione, lui! Ha anche fatto in tempo a gridare: _Cazzo, ci hanno beccati! Scappa!_</i><br />
<i>Mentre diceva così, mi ha dato uno spintone verso la porta che aveva scassinato per entrare, ma qualcuno mi ha presa. È subito successo un gran casino: io che provavo a urlare o liberarmi, altre grida o grugniti, tonfi, colpi...</i><br />
<i>Alla fine, uno degli sfigati ha acceso una candela. Màstredd non c'era già più; doveva essere uscito dalla finestra vicina, quella che aveva un'imposta mezza rotta che penzolava da un cardine.</i><br />
<i>Loro erano stati in quattro, noi in due... e due di loro erano un goblin e una nana, quindi ci vedevano al buio! Non sono proprio stati leali! Che feccia!</i><br />
<br />
_Ha smesso di frignare, l'idiota!_ commentò stancamente il ragazzo sciatto e pidocchioso, levando di mezzo con un calcio i resti di una sedia fracassata _L'ha capita, finalmente, che deve fare quello che diciamo!_<br />
_<i>Tu,</i> invece,_ replicò una nana di buona stazza, dal volto deturpato da vistose cicatrici _non lo capisci proprio, che ti conviene farti un sonno, Thòwhokk? Non è ancora ora di alzarsi per lavorare_.<br />
_Vuoi chiudere quella fogna di bocca?_ si rivoltò immediatamente Thòwhokk. _Mica sei mia madre, sai? Lo so, perché l'ho strozzata due anni fa..._<br />
_<i>Così,</i> forse?_ balzò la nana alla gola del giovinastro, dando prova di elevazione notevole e serrandogli il collo in una morsa incredibilmente forte.<br />
Thòwhokk aveva già subito un buon numero di volte aggressioni di quel genere da Ogàl, l'agguerrita nana, e ogni volta aveva invariabilmente pensato all'opportuna contromossa da attuare nel corso dell'occasione successiva. Quando quelle dita crudeli e spietate come barre d'acciaio nanico gli serravano il collo, però, ogni pensiero razionale svaniva di colpo, lasciando il posto al disperato bisogno d'ossigeno.<br />
E così, anche quella volta, Thòwhokk si limitò a tentare invano di svellere la morsa delle grosse dita, rantolando pietosamente.<br />
_E basta, Ogàl!_ si lamentò un secondo sciattone dai lunghi capelli unti (probabilmente li trattava con lozioni ricavate dai rifiuti del vicolo sottostante) _Che palle sempre con 'sta storia! Ammazzalo una volta per tutte e falla finita_.<br />
Se c'era una cosa che Ogàl <i>non</i> sopportava, era che qualcuno le dicesse cosa doveva fare o meno. Lasciando andare Thòwhokk con uno scossone che lo fece rovinare al suolo vicino a una chiazza di vomito secco, la nana si volse furente all'altro manigoldo: _Stammi bene a sentire, Krèndadd: <i>io,</i> adesso, riprovo a dormire le ultime ore prima che ci alziamo e andiamo a rubarci il nostro pane quotidiano come tutte le sere. Se tu o quell'altro bue senza cervello di Thòwhokk vi azzardate a fare abbastanza rumore da svegliarmi, parola, io mi alzo e vi tiro il collo, a tutti e due! Chiaro?_<br />
_Pensi di riuscire..._ (colpo di tosse) _... a farla in barba..._ (colpo di tosse, colpo di tosse) _... a <i>tutti e due?</i>_ tentò di assumere un'aria minacciosa Thòwhokk, rialzandosi e massaggiandosi la gola.<br />
_Zitto Thòwhokk!_ si dissociò immediatamente Krèndadd _Se proprio ti prudono le mani, aspetta che usciamo di qui e, tutti insieme, magari spezziamo le ossa a qualche senzatetto dimenticato dagli dei. Inutile che le ossa ce le rompiamo tra di noi adesso!_<br />
_Krèndadd!_ Thòwhokk spalancò i propri occhi marroni lievemente strabici come se si sentisse profondamente tradito _Ma che ti prende? Questi discorsi, lasciali fare a quel cagasotto di Sgàgnek!_<br />
_Mettiamola così, Thòwhokk..._ si pulì le narici con le dita Krèndadd, come di sua disgustosa prassi _... io, adesso, seguo l'esempio di Ogàl,_ (e si lisciò istintivamente i capelli con le mani) _visto che il nostro goblin cagasotto si è appostato per fare la guardia; se tu fai casino, non saremo io e te contro Ogàl... ma io e Ogàl contro di te! Mi sono spiegato bene?_<br />
<br />
<i>E così, adesso sai tutto. Visto che, intanto, gli sfigati di là hanno smesso di litigare, penso che andrò a letto. Dici che se chiedo un letto mi danno altre botte? Perché, sai, caro diario, qui <i>non c'è</i> un letto...</i><br />
<i>Questa poi! E come dovrei dormire, io? Forse per terra?!</i><br />
<i>Mi piacerebbe chiederglielo anche solo per farli arrabbiare, ma penso che potrei buscare qualche altro pugno in faccia e <i>ci mancherebbe!</i> Tu lo sai già, caro diario, quanto sono brutta e che fatica che ho fatto a trovare alla fine l'amore della mia vita!</i><br />
<i>Povero Màstredd! Spero che non lo abbiano fatto diventare più brutto (visto che lui, proprio, <i>non</i> lo è). Se l'hanno fatto, domani levo la pelle a tutti e quattro!</i><br />
<i>Va bene, dai! Buona notte, adesso. Proverò a distendermi da qualche parte. Magari ti uso come cuscino; mi sa che sei la cosa più morbida che ho, qui dentro... Tu non offenderti! Lo sai, che sei sempre il mio migliore amico!</i><br />
<br />
Perfettamente immobile nella fitta oscurità del vicolo dello Stretto, il ragazzo era sostanzialmente invisibile. Slanciato, agile, pronto di riflessi, Màstredd sembrava a proprio agio quanto un nativo in quel sordido intrico di miseria e clandestinità. I suoi ferali occhi verde chiaro si sforzavano di captare la minima traccia di movimento, coadiuvati senza riserve dalle orecchie e dall'olfatto... ma il ragazzo si decise infine ad accettare la realtà.<br />
Non sarebbero venuti fuori. I quattro balordi che avevano sorpreso lui e Aydrìse non volevano darsi la pena di inseguirlo. A Màstredd la cosa riusciva quasi del tutto incomprensibile: egli non avrebbe <i>mai</i>permesso a un proprio nemico di sfuggirgli... <i>e presto quei briganti avrebbero capito perché!</i><br />
Pazienza; Màstredd aveva sperato che una parte della banda lo inseguisse, in modo da poterli battere separatamente. Invece, avrebbe dovuto riprovare a entrare di nascosto... e affrontarli tutti insieme, se qualcosa fosse andato storto.<br />
Quell'oca di Aydrìse! Aveva tanto voluto venire con lui in una delle sue scorribande allo Stretto, poi, al primo imprevisto, si era fatta prendere nel volger di un batter d'occhio!<br />
Erano anche stati in gamba i ladri, però. Almeno uno d loro doveva avere il sonno maledettamente leggero, per averlo sentito scassinare la serratura. E quando avevano attaccato, l'avevano fatto con grande coordinazione. Prima la botta da dietro. Come Màstredd aveva poi potuto scoprire girandosi, era stata la nana, con una padella. E <i>meno male</i> che, prima di addentrarsi nello stretto, Màstredd aveva segretamente lanciato e mantenuto attivo un incantesimo per ottenere una vista eccezionale al buio! Diversamente, non avrebbe visto arrivare il goblin, il quale, dopo avergli sfilato dal fodero la fida spada, aveva cercato, con la medesima, di inchiodarlo al pavimento!<br />
Parzialmente frastornato, Màstredd aveva cercato di far fuggire quella scimunita di Aydrìse, ma quella si era fatta catturare in un baleno! Per fortuna che, almeno, era scappato lui! Adesso, poteva tornare e riprendersi tutto quello che gli avevano rubato. E, magari, dopo, Aydrìse gli avrebbe accordato <i>aperta</i> gratitudine.<br />
Sì, sorrise Màstredd, sarebbe stato un bel modo di concludere la scorribanda. Pericolo e passione. Non c'è niente di meglio nella vita.<br />
<br />
Màstredd <i>non</i> era il tipico ragazzo della città di Hòvval. Sita nella zona pedemontana in cui si incontrano (o <i>scontrano?</i>) le civilizzate Piane delle Stelle e i selvaggi Monti delle Nebbie, Hòvval dalle Bianche Mura è sentita come più "provinciale" rispetto alle altre città-stato delle Piane delle Stelle; essa resta, tuttavia, un luogo progredito ed organizzato, ove farsi giustizia da sé non è ammesso... Di conseguenza, un qualsiasi altro diciottenne, a fronte di una aggressione o furto, si sarebbe precipitato alla più vicina "casa di giustizia" ed avrebbe sporto denuncia all'ufficiale di turno, il quale, a meno di particolari criticità, avrebbe inviato un'opportuna squadra (di uomini e/o non-morti, questi ultimi largamente impiegati in tutte le Piane delle Stelle) sul posto.<br />
Màstredd, nato col fuoco nelle vene (egli stesso si vantava infatti che i suoi antenati fossero originari di Aéskelon, il "Continente di Fuoco") preferiva invece regolare in prima persona le proprie questioni, da sempre. Ciò lo aveva portato ad approfondire diverse tecniche di combattimento, nonché ad impratichirsi su alcuni trucchetti diversamente noti soltanto ai (pochi) malavitosi della città.<br />
Focalizzandosi su tali studi poco ortodossi, Màstredd aveva trascurato l'acquisizione di altre forme di sapere più utili alla conquista di un ordinario posto nel mondo del lavoro... ma ciò non bastava assolutamente a fargli perdere il sonno, perché la famiglia di Màstredd era benestante... e, come molte delle famiglie di Hòvval di quel tempo, tendeva ad assecondare i rampolli praticamente su tutto.<br />
Inoltre, dato che, in tutte le Piane delle Stelle, potere, denaro e magia vanno a braccetto, sostanzialmente tutti i figli di buona famiglia studiano almeno le basi delle progredite scienze esoteriche della propria città. Ecco perché, prima di avvicinarsi di nuovo alla porta del covo dei quattro, Màstredd fu in grado di lanciare su se stesso un sortilegio di furtività. Questa volta, non avrebbe prodotto <i>il minimo</i> rumore!<br />
<br />
_Sei sveglio?_ bisbigliò Krèndadd a Thòwhokk.<br />
_Ma che cazzo vuoi?!_ replicò aggressivamente Thòwhokk _Prima tutti quei discorsi di non far casino, poi mi vieni a chiamare tu?!_<br />
_Non fare l'idiota, Thòwhokk!_ continuò a bisbigliare Krèndadd, avvicinandosi silenziosamente all'altro _Dicevo per lasciare che Ogàl si addormentasse! Vieni, dai, che ce la spassiamo_.<br />
_Ce la spassiamo?_ era ottusamente incredulo Thòwhokk. Che razza di spasso poteva esserci, in quel lercio e freddo tugurio o nelle immediate vicinanze dello stesso?<br />
_Sì, la ragazza, idiota!_ insistette Krèndadd, cominciando a tirare il restio alleato per un braccio _Visto che la venderemo al "Caldo Rifugio" tra poco, tanto vale farle fare un po' di "allenamento" prima, no? Dai, non dirmi che non c'hai pensato!_<br />
Thòwhokk <i>non</i> c'aveva pensato, ma la sua mente, stuzzicata dale parole del compare, recuperò in fretta il tempo perduto.<br />
Il ragazzo di strada si eccitò. Nonostante egli preferisse le donne formose, Aydrìse gli pareva del tutto accettabile, per un uso estemporaneo... Inoltre, la ragazza doveva essere un tipo capriccioso e riottoso, il che avrebbe reso la violenza assai più giusta e gratificante.<br />
_Ti va, eh, l'idea?_ gli diede una bonaria gomitata Krèndadd, sentendolo irrigidirsi.<br />
_Ma ti pare?_ cercò di minimizzare Thòwhokk, tradito palesemente dalla voce roca _Si fà giusto per far qualcosa..._<br />
_Come no?_ non parve convinto Krèndadd _A ogni modo, senti. Anche se Ogàl dorme come un sasso, un grido della ragazza la sveglierebbe; per questo mi servi tu: insieme imbavaglieremo la pollastrella mentre dorme, poi la legheremo in fretta e furia, poi ce la..._<br />
<br />
Màstredd sospinse la porta con estrema delicatezza. Questa volta, nemmeno i lievi scricchiolii che avevano fatto trasalire Aydrìse al loro primo ingresso risuonarono nella fitta tenebra. L'incantesimo funzionava. Màstredd entrò. E scoprì così che <i>l'altro</i> sortilegio, quello lanciato giusto prima di iniziare l'avventura nello Stretto, si stava gradualmente affievolendo. Diversamente, egli avrebbe dovuto vedere ancora attraverso il buio con la medesima semplicità di un nano.<br />
Pazienza, almeno ci vedeva comunque un po' meglio di un comune essere umano... abbastanza, ad esempio, da evitare il coccio di rozza terracotta insidiosamente vicino al suo stivale.<br />
<br />
Bene, bene. Il goblin, Sgàgnek, era contento che fosse tornato <i>il signorino.</i> A Sgàgnek (ignaro di condividere, in ciò, un'idea di Màstredd) non piaceva lasciare nemici in vita. A nessun goblin, del resto, piace. In un mondo duro e spietato come quello di Remniskar Thloth, ove i pochi potenti si disputano le principali risorse, lasciando i più a una quotidiana lotta contro gli stenti, le malattie... <i>o le spade nemiche,</i> i goblin riescono a sopravvivere soprattutto grazie alla propria eccezionale crudeltà e completa mancanza di scrupoli.<br />
<i>Il signorino,</i> fra l'altro, aveva imparato a muoversi senza far rumore. E a guardarsi bene intorno.<br />
Peccato, che non avesse anche imparato a guardare <i>sopra...</i><br />
Pazienza, sospirò mentalmente Sgàgnek.<br />
Ma, proprio mentre il goblin si lasciava scivolare dalla trave sopra cui era appostato, un acuto quanto isterico urlo lacerò intempestivamente la quiete.<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-83872900067313217502017-08-30T13:21:00.002-07:002017-08-31T13:43:47.766-07:00Nell'occhio di chi guarda - PrologoL'inverno era ormai giunto. Lo ripetevano le brevi ma secche raffiche di vento che scendevano, fredde come la luce delle stelle del cielo, dal passo di Grámmahn, la via piú agevole per scendere dai selvaggi Monti delle Nebbie alla civiltá delle Piane delle Stelle.<br />
Civiltá! Distogliendo lo sguardo dai compagni di viaggio, giá avvolti nelle rispettive pellicce, vicino al calore del fuoco, per trascorrere una notte di riposo, lo scheletro animato fissó le proprie vuote orbite sulle luci della cittá. Della cittá di Hòvval, di poco sotto al passo; la prima cittá delle Piane delle Stelle che incontrava un eventuale viaggiatore che scendesse dai Monti delle Nebbie.<br />
Hòvval. La cittá dove era nato. Dove aveva vissuto. Vissuto diverse vite; dapprima come umano, poi come non-morto. Sí, non-morto. A Hòvval, come, piú in generale, in tutte le Piane delle Stelle, viene praticata senza alcuno scrupolo la piú estrema negromanzia. Nelle civilizzate Piane delle Stelle, <i>nulla</i> puó intralciare la progressiva evoluzione della magia. E l'evoluzione della negromanzia ha portato a oscure pratiche, capaci di trasformare chi vi si sottopone in creature non-morte, spaventose come potenza, quasi eterne come longevitá. Quasi tutti gli incantatori piú potenti, cosí come coloro che possono permettersi di pagare i loro servigi, hanno, in sostanza, a disposizione, oltre alla comune esistenza concessa a tutti i mortali, una moltitudine di <i>non-</i>esistenze da trascorrere in forma di non-morto.<br />
Fgéhrhodd le aveva trascorse tutte. Millenni della sua storia erano stati spesi a Hòvval. Quante ordinarie vite umane si erano consumate, nell'arco di tempo di quell'interminabile catena di empie incarnazioni? Quante se n'erano accese soltanto per spegnersi nel volgere di anni, decenni, o, comunque, meno di un secolo, simili, ai suoi occhi, a vivaci farfalle che correvano a consumarsi nel corso di un caleidoscopico, variopinto giorno di volo?<br />
Tante... Certo tante...<br />
E <i>una,</i> in particolare...<br />
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<br />
Prosegui al <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/nellocchio-di-chi-guarda-capitolo-1.html">Capitolo 1</a><br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-34181073778182784392017-08-30T13:19:00.001-07:002017-08-30T13:19:51.578-07:00Osando sognare - Capitolo 1La mota era viscida e lorda, tenace come un lottatore, nei propri indefessi sforzi di trattenerlo nella propria salda presa. Da quanto tempo, ormai, l'uomo si dibatteva inutilmente, nel futile tentativo di liberarsi?!<br />
Ore, probabilmente.<br />
Ma l'"uomo" non era un uomo qualsiasi. Era un Alhaturkh, un barbaro dei Monti delle Nebbie. Alto sul metro e novanta, agile e robusto, forte e resistente, egli non si sarebbe lasciato piegare da nulla. Nemmeno dalla <i>magia!</i><br />
Il pensiero di essere tenuto in scacco da un incantesimo moltiplicò probabilmente le energie dell'Alhaturkh. Gli Alhaturkh <i>odiavano</i> la magia, in ogni sua forma, ritenendola indegna di ogni creatura onorevole, nonché spregevole emanazione della somma dea del male, Etheelalhaturkursaàsra, la dea della notte, degli intrighi e delle arti arcane.<br />
L'uomo, poi, aveva ragioni addizionali, per odiare la magia. La sua tribù era stata decimata. Cacciata dal proprio villaggio. Sterminata quasi integralmente. E tutto ciò grazie alla <i>magia</i>.<br />
L'Alhaturkh, il quale, fin dal primo momento della propria cattura, non aveva cessato un istante, se non per riprendersi da episodiche condizioni di sfinimento, di lottare per riconquistare la libertà, vide infine premiati i propri sforzi: proiettando schizzi improvvisi da ogni parte, la fanghiglia frammista a foglie morte che, animata da chissà quale infernale intelligenza arcana, era riuscita, fino a quel momento, a contenerlo, cedette di colpo, lasciando libero il possente braccio del vigoroso selvaggio di emergere dal cumulo di materiale variamente assortito nel quale il barbaro si era ritrovato quasi completamente inumato. Sbattendo alla cieca contro il terreno, il destro dell'Alhaturkh si chiuse su una pietra affiorante ed il barbaro, galvanizzato dal proprio iniziale successo, non esitò a cercare di far presa su tale appiglio per trarsi del tutto fuori dal lurido groviglio che ancora lo avvolgeva da ogni parte: fanghiglia, come si è già detto, ma anche zolle di terra, erba secca, foglie fradice, stecchi caduti... un'inverosimile alleanza, stipulata da tutti i materiali del sottobosco a suo danno, per stringerlo, avvolgerlo, trattenerlo...<br />
Così avvinto ed avvolto, nemmeno gli elfi, l'avevano notato.<br />
L'uomo aveva temuto che fosse giunta la sua ora, quando aveva udito gli elfi avvicinarsi. Gli elfi, difatti, erano in stato di perenne conflitto con le fiere tribù degli Alhaturkh e l'uomo, quando era stato imprigionato dal malvagio incantesimo, stava giusto combattendo per la propria vita, per difendere se stesso ed i restanti membri della tribù da un proditorio raid perpetrato <i>proprio</i> da arcieri elfi! Ma il sortilegio, scatenato da una magica creatura certamente alleata alla fazione elfica, doveva aver avuto <i>troppo</i> effetto: l'uomo difatti, non era stato semplicemente <i>immobilizzato</i> dal sottobosco animato a tradimento, bensì addirittura <i>travolto</i>, schiacciato, quasi integralmente sepolto vivo! Così, i nemici non l'avevano notato. Ed erano passati oltre.<br />
Grugnendo sommessamente per lo sforzo, il barbaro riuscì ad issarsi fuori dal tumulo maledetto.<br />
Era stremato.<br />
Non riusciva nemmeno a vedere troppo bene...<br />
No. Capì quasi subito. Non era per la stanchezza, che gli si era oscurata la vista... era giunta la notte! Era rimasto prigioniero in quel cumulo di sporcizia incantata dalle prime ore dopo l'alba fino a dopo il tramonto!<br />
Oltre ad essere esausto, aveva sete. E aveva fame.<br />
Senza nemmeno concedersi un minuto per recuperare le forze né accettando di curarsi un solo istante degli altri due summenzionati stimoli, l'Alhaturkh raggiunse in fretta un tumulo, del tutto analogo a quello che aveva tanto a lungo tenuto imprigionato lui, nelle immediate vicinanze, e cominciò a strapparvi con ambo le mani manciate di materiale. L'innaturale resistenza che incontrò nel compiere l'altrimenti semplice operazione lo confermò sempre più nel proprio atroce sospetto: quella carogna fatata... quella <i>strega</i>... doveva aver riservato a tutti gli altri Alhaturkh che gli stavano vicino la sua stessa terribile sorte!<br />
Mentre strappava con foga forsennata manciate di vegetazione morta e di terra umida, l'uomo rivede, col ricordo, l'immagine della strega. Come tutte le esemplari di quella malvagia genia, ella aveva avuto l'aspetto di un'esile bambina, a meno delle ampie e variopinte ali da farfalla che le spuntavano dalla schiena. Come tutte, aveva dimostrato di possedere (e di non peritarsi di usare) infernali poteri arcani. Come tutte, li aveva combattuti ed aveva cercato di ucciderli.<br />
Ma non ce l'aveva fatta. L'alhat (parola della lingua Alhaturkh che significava "onore", "coraggio" e che era sentita come quanto di più propriamente caratterizzante la natura dei veri uomini) aveva ancora una volta resistito ai codardi trucchi della magia.<br />
_Ghàrher! Sei tu! Ce l'hai fatta..._<br />
La voce era stata flebile, indubbiamente a causa della spossatezza del soggetto appena liberato, ma era comunque risuonata allegra, squillante, vitale...<br />
Ghàrher sorrise; anche lei, dunque ce l'aveva fatta. Anche la giovane Dèwxhet. La povera ragazzina aveva già fatto fin troppo... Ghàrher avrebbe avuto il cuore spezzato, nel constatare di non essere riuscito a proteggerla.<br />
_Certo, signorina!_ trovò la forza di sorridere Ghàrher _Credevi che una stupida strega svolazzante potesse uccidere un vero Alhaturkh? Forza, alzati in piedi_ e le tese la forte mano _che liberiamo anche gli altri. Ci siamo riposati fin troppo, qui, sotto a questi mucchi di sporcizia: è già di nuovo notte! Dobbiamo raggiungere il torrente, bere un poco, poi ricongiungerci alla tribù. Saranno tutti in pensiero..._<br />
Sì, probabilmente era così, pensava Dèwxhet, mentre si liberava con gioia dagli ultimi residui del cumulo stregato e cominciava subito ad aiutare il proprio salvatore nell'opera di soccorso in cui questi stava proseguendo. <i>Tutti</i>, alla tribù, dovevano essere in pena per Ghàrher! Il giovane e forte (beh, anche piuttosto bello) cacciatore era stato un vero eroe ed esempio per tutti loro: si era prodigato oltre ogni dire, contro avversità inaudite (avversità <i>magiche</i>, addirittura!) per organizzare la resistenza, la ritirata ordinata ed, infine, assicurare la sopravvivenza di tutti... Dèwxhet non riusciva a pensare a <i>nessuno</i> più eroico di Ghàrher; <i>nessuno</i>.<br />
_Merda! Quella troia!_ esclamò una voce, fiaccata dalla lunga lotta contro il magico contenimento, ma nondimeno vibrante di appassionata veemenza _Se la ritrovo..._<br />
_Quando la ritroveremo, Kròeneth,_ assicurò Ghàrher, in tono palesemente scettico, mentre aiutava l'adolescente a liberarsi dagli ultimi vincoli _sono certo che ci mostrerai quanto sai essere Alhaturkh. Facciamo piano, però, ora: è notte; potrebbero esserci abomini nei paraggi..._<br />
Kròeneth, il cui innato talento di parlare a sproposito gli era spesso causa di grattacapi, pericoli, quando non veri e propri guai, riuscì miracolosamente a controllarsi e zittirsi, alla assai poco rosea prospettiva di un incontro con gli abomini. Merda! Si ricordava fin troppo bene, di quegli orribili scarti d'inferno (o, come avrebbe detto un Alhaturkh, scarti di Alhatrukurkhruk): umanoidi alati, cornuti, con coda ed artigli, che usavano i loro poteri magici senza scrupolo né pietà alcuna... formiconi antropomorfi, con pelle dura come una corazza nanica, chele e mandibole formidabili e la bava che bruciava la pelle come fiamma liquida...<br />
_Gli abomini non ci sono più, Ghàrher!_ echeggiò nel silenzio, squillante come i gai rintocchi di una campana, la voce di Dèwxhet _Non ti ricordi? Io e gli altri li abbaiamo combattuti e Hàrikhot..._<br />
Ghàrher interruppe immediatamente la ragazzina, segnalandole di fare silenzio: _Voglio proprio verificare, che cosa ha fatto il tuo amico Hàrikhot. Intanto, però, cerchiamo di parlare sottovoce..._<br />
_Sì!_ commentò Kròeneth, esibendosi in una di quelle grasse risate con cui egli attentava puntualmente alla credibilità e all'autostima di chiunque si prendesse la briga di canzonare _Parlare sottovoce <i>Dèwxhet?</i> Come sperare di far suonare un corno da guerra sottovoce..._<br />
_... Oppure,_ proseguì Ghàrher, fulminando Kròeneth con un'occhiataccia più eloquente di mille parole _se non abbiamo niente da dire, <i>taciamo</i> e basta! Va bene?_<br />
Dèwxhet, dispiaciuta del repentino cambiamento d'umore del proprio eroe, si ripromise di attenersi ad una maggiore cautela. In fondo, cosa poteva sapere veramente lei? Era rientrata al villaggio, la notte scorsa, assieme a dei compagni di giochi coi quali era uscita in escursione. Erano tornati la notte a causa di mille incredibili peripezie. Avevano trovato il villaggio razziato da abomini. Sotto la guida di Hàrikhot, un altro dei ragazzini, si erano comportati da veri Alhaturkh, combattendo il nemico. Addirittura, Hàrikhot aveva ucciso il loro comandante e gli abomini erano fuggiti. Sempre che Hàrikhot avesse detto la verità. Ghàrher non credeva troppo ad Hàrikhot, da quando avevano litigato... da quando Hàrikhot, rifiutando di farsi punire per la propria mancanza di rispetto, gli aveva puntato alla gola <i>la spada</i>...<br />
La spada <i>magica</i>.<br />
Ora, Dèwxhet non sapeva più cosa pensare. Hàrikhot era stato suo amico. Ma poi aveva trovato quella spada. Ed erano arrivati gli abomini. E aveva minacciato Ghàrher. Ed era stato bandito. Forse avevano fatto bene, a bandirlo. Forse non era davvero più lui.<br />
Lavorando alacremente, i tre riuscirono in breve a liberare tutti i compagni che avevano avuto la sventura di finire intrappolati dalla malvagia magia della strega; tutti tranne uno. Restituirono, difatti, la libertà a Hìnerhet e Dòkremhot, gli adolescenti che avevano lottato con coraggio da uomini, al fianco di Ghàrher; la restituirono a Prùkshremhar e alla di lei sorella minore Phlàmhalher, che avevano cercato una relativa sicurezza nelle retrovie; la resero anche alla piagnucolosa Vdàerhar, la quale era svenuta per le privazioni, o la paura, o una qualsiasi voglia combinazione dei due fattori... ma non trovarono traccia alcuna di Arthàgrhet, l'unico adulto, oltre a a Ghàrher, ad essere presente quando la strega aveva lanciato il proprio attacco.<br />
_Quella carogna deve averlo rapito!_ dovette infine ammettere con rabbia a stento tenuta a freno Ghàrher _Chissà quali orribili piani aveva in serbo, quella strega senza cuore, per il povero Arthàgrhet!_<br />
_Mi sembra che avesse detto che voleva <i>sposarlo</i>..._ pronunciò l'ultima parola con sentito ribrezzo Dèwxhet, incapace di contemplare integralmente una siffatta empietà. Essere costretti a trascorrere l'intera propria esistenza accanto a una creatura felice di baloccarsi continuamente con la stregoneria, doveva essere una sorte orribilmente vicina all'esilio nell'Alhatrukurkhruk...<br />
_Sposarlo?_ non volle credere alle proprie orecchie Ghàrher _Mi sembra più probabile che lo volesse per torturarlo, o per sperimentare su di lui qualche terribile rituale..._<br />
In effetti, <i>mai</i> si era udito di una strega che intendesse prendere un Alhaturkh, anziché come preda, curiosità, o balocco del momento, come <i>marito</i>. Le streghe di ogni specie e gli Alhaturkh erano nemici giurati...<br />
_Chissà che cazzo hai capito!_ risuonò l'impietosa, grassa risata di Kròeneth, ai danni di Dèwxhet _Sì! sposarlo! E dopo lui ha invitato tutti alla festa?! Che imbecille..._<br />
Kròeneth sentì improvvisamente una mano tappargli la bocca; poi qualcosa di duro lo colpì ripetutamente alla festa, facendolo mugolare dal dolore.<br />
_Ti avevo avvisato_ fece Ghàrher, mortalmente serio, lasciando libera la bocca all'adolescente e smettendo di percuoterlo sul capo con le proprie nocche.<br />
_Mangiamerda del cazzo!_ borbottò assai poco rispettosamente un Kròeneth ora in lacrime. Egli aveva coniato quell'insulto nei confronti di Ghàrher poco più di una decade addietro, in occasione della propria caccia, quando l'altro aveva cercato di insegnargli, come da tradizione Alhaturkh, quali preziose informazioni potesse rivelare un minimo assaggio delle feci dell'animale che si stava braccando. Fortunatamente, il pianto trasformò la rabbiosa esclamazione in un mugolio inintelligibile, o Kròeneth avrebbe potuto ritrovarsi sottoposto a castighi anche peggiori di quello appena subito.<br />
_Dacci un taglio, Kròeneth!_ fece comunque Hìnerhet, brusco _Può esserci di tutto, qui intorno! Ed è notte!_<br />
Se mai esisteva qualcuno che Kròeneth ascoltava, se non, addirittura, <i>riveriva</i> o <i>idolatrava</i>, questi era Hìnerhet; di conseguenza, il disappunto dell'amico del cuore ebbe, sull'amareggiato (e piagnucolante) ragazzino, l'effetto che nemmeno la punizione corporale aveva saputo conseguire: quello di fargli smettere di agitarsi, di far rumore e di fare il buffone come se si trovasse alla sagra del villaggio.<br />
_Dopo la mia prima e ultima esperienza,_ bisbigliò Dòkremhot, giocando nervosamente con la corda del proprio arco _non ci tenevo affatto, a ripetere una passeggiata notturna..._<br />
L'adolescente si riferiva all'escursione del giorno precedente, la quale si era protratta, per cause di forza maggiore, fino al calar delle tenebre... ed era culminata nella scoperta che la tribù era stata quasi integralmente sterminata.<br />
_Purtroppo, il sortilegio della strega ha scelto per noi_ ammise, ancora pieno di torva rabbia, Ghàrher. _Chissà che la prossima volta non tocchi <i>al mio coltello</i>, invece a <i>scegliere per lei!</i> Intanto, però, non perdiamo la calma: raggiungiamo il ruscello per bere, poi cerchiamo l'accampamento dei nostri e ci facciamo qualche ora di sonno assieme ai nostri fratelli. Magari avranno anche cacciato qualcosa da mettere sotto i denti. E domani ci racconteranno di come hanno preso a calci in culo quei vigliacchi bastardi elfi che ci avevano attaccato_.<br />
Quello, era parlare da <i>Alhaturkh</i>. Prùkshremhar avrebbe abbracciato Ghàrher per il conforto ed il sollievo appena ricevuto, se soltanto non avesse avuto paura di metterlo in imbarazzo. Già era stato terribile, perdere tutti quei compagni, quegli amici e quei parenti, in quella terribile notte del massacro del villaggio... e senza che lei potesse fare niente, in nessun modo... Non era nemmeno stata presente! Ora le funeste parole di Dòkremhot le avevano fatto temere di poter subire altri lutti da un momento all'altro; magari di perdere Phlàmhalher, la povera Phlàmhalher, la quale non aveva ormai più altri che lei... ma, fortunatamente, la tranquilla lucidità di Ghàrher la aveva rincuorata.<br />
Non avrebbe mai potuto sopportare di perdere anche la sorellina. Mai.<br />
Ghàrher, dal canto proprio, stava già per mettersi alla testa del gruppo e guidarli a dissetarsi al fresco dono di Hwllashhùrkh costituito dal torrente poco lontano, quando, cercando con lo sguardo Dèwxhet, vide la fanciulla impegnata a sforzarsi di caricare, in qualche modo, l'amica del cuore sulla propria spalla.<br />
Ghàrher si diede intimamente dell'idiota per essersi dimenticato del fatto che Vdàerhar era ancora svenuta; come aveva potuto essere così avventato? Era stremato, certo ... ma quei ragazzini <i>dipendevano da lui!</i><br />
Trovando l'ennesima riserva d'emergenza di energie, l'atletico cacciatore raggiunse le due amiche e raccolse Vdàerhar tra le proprie braccia, informandosi da Dèwxhet: _Non sei riuscita ancora a risvegliarla?_<br />
_No..._ ammise Dèwxhet, chiedendosi di quale nume fosse l'incarnazione Ghàrher, per avere ancora le forze di portare un carico simile _Ce la fai a trasportarla? E' un peso morto..._<br />
_E quando mai quella imbecille non lo è?_ si intromise col proprio assai poco lusinghiero commento Kròeneth.<br />
Ghàrher avrebbe volentieri allungato un sonoro ceffone all'impudente ragazzino, ma aveva ormai entrambe le mani impegnate e, se anche avesse deciso di prendersi la briga di adagiare nuovamente Vdàerhar a terra, non avrebbe certo potuto impedire a Kròeneth, molto più sveglio di quanto non fosse simpatico, di dileguarsi non una, bensì <i>dieci</i> volte... Così, fingendo di non aver udito ed <i>esigendo</i> dal proprio corpo di non barcollare, Ghàrher riguadagnò la testa del gruppo e si incamminò.<br />
Al ruscello tutti erano riusciti, con sollievo, a ristorarsi e persino Vdàerhar aveva ripreso conoscenza, dopo che acqua le era stata spruzzata sul volto appositamente. Per un attimo, addirittura, i ragazzini avevano dimenticato il loro innato (e, per giunta, recentemente più che <i>giustificato</i>) timore della notte, perdendosi nella gratificante estinzione della propria sete alla fresca e corroborante generosità del torrente montano. E anche, se ora, mentre si dirigevano, cauti, nella direzione ove avrebbe dovuto trovarsi l'accampamento provvisorio dei superstiti della tribù, erano di nuovo tutti tetramente consapevoli degli oscuri pericoli che potevano minacciarli nel corso delle ore governate da Etheelalhaturkursaàsra, il morale era, per lo meno, ritornato ragionevolmente alto, per un gruppetto sparuto di Alhaturkh immerso nelle tenebre dopo una sventata fuga da un malvagio sortilegio che aveva fatto rivoltare contro di loro le piante ed il suolo della loro stessa amata patria.<br />
_Io vado a dare un'occhiata al nostro "villaggio liberato"_ mormorò Ghàrher, quando ritenne di essere giunto in prossimità del precedente insediamento della tribù. _Voi aspettatemi qui_.<br />
_Vengo anch'io!_ esclamò subito Kròeneth, a voce un po' troppo alta per incontrare l'incondizionata approvazione di Ghàrher o dei compagni.<br />
_Parla piano, cretino!_ lo rimbrottò infatti subito Hìnerhet.<br />
_Kròeneth,_ replicò, nel mentre, Ghàrher _ho detto che vado <i>io</i>. E non voglio discutere le mie decisioni con te; voi, <i>tutti</i> voi, mi aspettate qui. E <i>in silenzio!</i>_<br />
_Io ho perso tutti, laggiù..._ mormorò Dòkremhot, difficile a dirsi se più a se stesso o al determinato cacciatore, tranne che per lo sguardo fisso sul volto dell'interlocutore _Vorrei venire anch'io... Credo di averne il diritto_.<br />
Solitamente, Dòkremhot si guardava bene dal mostrare una propria eventuale fragilità; pertanto, esprimersi in tal modo doveva essergli costato molto... Ghàrher, tuttavia, dopo una valutazione della durata di un istante, spiegò: _Sarebbe troppo pericoloso, Dòkremhot. Se gli abomini ci scoprono, è la fine per noi. Dovrò già stare fin troppo attento io da solo..._<br />
_Ghàrher,_ si fece allora avanti Dèwxhet, in tono grave _anch'io vorrei vedere coi miei occhi la verità. Anch'io_ si fece ancora più decisa l'adolescente _devo vedere se Hàrikhot ci ha traditi o meno. E che cosa ne è ora della nostra casa. Staremo attenti ed in silenzio e tu procederai davanti a noi. Con te non abbiamo paura di niente, Ghàrher_.<br />
Mentre più di uno dei ragazzini si dissociava immantinente, col pensiero, dall'ultima audace affermazione di Dèwxhet, Ghàrher, conquistato dalla fiducia pressoché totale così potentemente espressa dalla fanciulla e non più tanto certo che lasciarli indietro da soli fosse, in fin dei conti, la soluzione più sicura, acconsentì: _Va bene allora; venitemi dietro. Ma badate di restare almeno cinque passi dietro di me e, se mi vedete farvi un cenno, nascondetevi subito e <i>non</i> muovetevi!_<br />
Il gruppo procedette furtivo, cercando di massimizzare la modesta copertura che alberi e cespugli, in tenuta ormai ben più discinta di quella adottata nel corso dell'estate, potevano offrire, sforzandosi di non calpestare stecchi caduti o qualcuna delle onnipresenti foglie secche e, addirittura, costringendo il respiro a mantenersi silenzioso e regolare, a dispetto del forsennato batticuore che la situazione avrebbe invece teso a ingenerare.<br />
Vdàerhar, tuttavia, nonostante i propri migliori sforzi, già tendenzialmente impacciata di giorno, riposata e serena, non poté resistere a lungo, al buio, stremata e traumatizzata, senza inciampare in qualche ostacolo; fu così che Prùkshremhar e Phlàmhalher, accanto a lei, la videro incespicare, mulinare a casaccio le braccia come in un estremo tentativo di recuperare l'equilibrio... e cadere.<br />
Le due sorelle si affrettarono a chinarsi sulla ragazzina, intenzionate ad appurare se si fosse fatta male o meno; Vdàerhar, nel mentre, si sforzò di capire su cosa fosse inciampata e caduta... e si accorse, con orrore, che si trattava di un <i>cadavere!</i> L'adolescente spalancò la bocca per gridare...<br />
... E Phlàmhalher, che se ne era accorta, le fu addosso d'un balzo, tappandole la bocca e bisbigliandole all'orecchio, mentre rotolavano avvinghiate per il sottobosco:_Ma sei cretina?! Taci! Ci arriveranno tutti addosso, se fai così!_<br />
Mentre tutti si giravano comunque, allertati dal pur esiguo trambusto, Phlàmhalher e Vdàerhar smisero di rotolare, cozzando... <i>con un altro cadavere!</i> Vdàerhar si lasciò sfuggire un altro grido, ma la mano di Phlàmhalher, ancora pervicacemente premuta sulla bocca dell'amica, soffocò l'incauta esternazione.<br />
_Finiscila, cretina!_ insistette Phlàmhalher, sempre a mezza voce _Questo non è nemmeno dei nostri! Non vedi che è un lurido <i>nano?!</i>_<br />
Era vero. Vdàerhar se ne rese conto. Non per questo il contatto coi miseri resti le riusciva più gradevole, ma il poveretto, come attestavano, al di là di ogni ragionevole dubbio, il busto corto ma massiccio e gli altri tozzi ma robusti, era stato un nano.<br />
Ghàrher, che si era avvicinato per riprendere le due scriteriate ruzzolanti, notò a propria volta il basso umanoide e, riconosciutane immediatamente la razza, si inquietò. Che cosa ci faceva lì, un nano?<br />
No; non <i>uno</i>. L'occhio esperto e vigile del cacciatore ne individuò un altro, non molto lontano. Poi un altro.<br />
_Merda!_ si levò alta (<i>troppo</i> alta, a parere di tutti) l'esclamazione di Kròeneth _Ce n'è uno anche qui!_<br />
Ghàrher ritenne opportuno perdere un po' di tempo a esaminare la zona con attenzione, avvalendosi anche dell'ausilio di Kròeneth, Hìnerhet e Dòkremhot: avrebbe approfittato tanto dell'occasione, per insegnare ai ragazzini a leggere le tracce... quanto dei loro occhi, come valido ausilio d'indagine, nel caso ai propri sfuggisse, per l'incalzante stanchezza, qualche dettaglio importante. Una cosa fu subito chiara: in quel luogo erano morti diversi Alhaturkh, soprattutto trafitti da dardi elfici, probabilmente nel corso della ritirata organizzata da Ghàrher stesso... ma erano caduti anche un buon numero di elfi (almeno a giudicare dall'equipaggiamento lasciato sul terreno; gli elfi, difatti, da morti, non lasciavano cadaveri, ma si dissolvevano...) <i>e di nani</i>. Ora, considerato che gli elfi uccisi erano stati decisamente di più di quelli che Ghàrher stimava di poter aver abbattuto, nel corso della ritirata, assieme ai propri fratelli, bisognava supporre che li avessero eliminati i nani... L'ipotesi era al limite plausibile, in quanto i nani odiavano parimenti Alhaturkh ed elfi... ma, in tal caso, <i>chi aveva ucciso i nani?</i> Gli abomini, forse? Uno dei nani sembrava essere stato <i>sbranato</i>, con una ferocia che ben poco aveva di umano...<br />
Ma gli abomini non erano stati scacciati? E, a prescindere da questo, non era una coincidenza davvero incredibile, che una banda di elfi ed una di nani avessero attaccato <i>indipendentemente</i> nello stesso giorno e nelle stesso luogo? Ghàrher era davvero perplesso.<br />
_Morte... solo morte... sempre morte..._ bisbigliava, scioccata ed in lacrime, Vdàerhar _Non finirà mai?_<br />
_Su, coraggio!_ cercò di rincuorarla Dèwxhet _Questi nostri guerrieri sono morti combattendo, con alhat... ora sono con Alhaturetheèlurkh, sul Monte Sacro..._ l'ultima affermazione suonò falsa alle stesse orecchie dell'oratrice, la quale, pertanto, aggiunse, con maggiore sentimento e convinzione _E poi, cosa avrebbero potuto fare? Hai visto anche tu, ci avevano attaccato quei codardi degli elfi, coi loro archi... che cos'altro potevano fare i nostri? Hanno dato la vita per difenderci!_<br />
_E quanto agli altri,_ aggiunse con livore Hìnerhet, riferendosi ai resti di elfi e di cadaveri di nani _{io} sono ben contento che ne siano morti un bel po'! E <i>gli auguro</i>, che, per loro, non finisca mai!_<br />
Dòkremhot, più pragmatico, invece di imbarcarsi in discorsi o discussioni, stava finendo di esaminare gli archi e le frecce degli elfi. Egli pure, caso raro tra gli Alhaturkh, amava utilizzare l'arco, come arma; aveva, tuttavia, sempre fatto pratica col corto (e rozzo) arco Alhaturkh, piuttosto che con l'arco lungo in voga presso gli elfi, di gittata e potenza nettamente superiori. Il ragazzino stava valutando se fosse il caso di prendere con sé una di quelle armi e di quelle faretre...<br />
_Questo posto mi mette i brividi_ fece Prùkshremhar, preoccupata che la fazione uscita vittoriosa dal drammatico scontro, qualunque essa fosse, potesse da un momento all'altro ripresentarsi e mietere altre vittime (ovvero, nella fattispecie, <i>tutti loro!</i>).<br />
_Va bene,_ fece il punto della situazione Ghàrher _anche se non c'è molto di chiaro, non abbiamo più nulla da fare qui. Tenete presente che possiamo imbatterci in elfi, in streghe, in nani... e in chi ha spazzato via tutti quanti. Penso di non dovervi ripetere quanto è importante che ci muoviamo_ e qui fissò alternativamente Vdàerhar e Kròeneth _<i>In silenzio!</i> Badate che, se non riuscite a stare zitti da soli, <i>vi imbavaglio!</i> Chiaro? Bene, andiamo a vedere che cosa è rimasto al villaggio_.<br />
Ghàrher era impietrito dall'orrore. Altro che villaggio "liberato"! Certo, non si vedevano abomini in circolazione, al momento... <i>ma le rovine brulicavano di seguaci di Etheelalhaturkursaàsra!</i><br />
Ghàrher non avrebbe nemmeno ritenuto possibile, fino al momento prima, che potessero essercene in circolazione così tanti. Avevano letteralmente ripopolato il villaggio... ma con elementi che costituivano la più feroce parodia immaginabile di tribù Alhaturkh! Pazzi festanti si aggiravano tra le ceneri, o ridendo sguaiatamente, o rotolandosi fra le macerie delle costruzioni, o brandendo a guisa di macabro trofo resti, spesso ancora sanguinolenti, di cadaveri nanici od umani. Sinistri individui si dedicavano a misteriosi rituali, certo a onore e gloria della meschina dea della notte e dell'inganno, talvolta riuscendo a strappare gemiti da teste ormai da tempo mozzate, o a richiamare brevemente spetri delle nebbie, quelle mute ma inquietanti figure umanoidi ectoplasmatiche sulla origine delle quali nessun Alhaturkh era troppo propenso ad interrogarsi.<br />
Il loro numero eguagliava all'incirca quello degli originari abitanti della comunità... L'infida Etheelalhaturkursaàsra doveva aver fatto affluire nella radura i reietti di tutte le comunità Alhaturkh nel raggio di diverse decine di chilometri.<br />
Una figura dall'aspetto inconfondibile costrinse improvvisamente il cacciatore a rivedere le proprie stime. Si trattava di un selvaggio dallo sguardo ferale, che giaceva contro una grossa trave, la fida ascia bipenne a portata di mano, che non degnava di considerazione i propri visceri sparsi nei paraggi, fuoriusciti dal suo ventre orribilmente squarciato. Era un berserker, Ghàrher ne era sicuro; era uno di quei feroci guerrieri seguaci di Hurekuretheelgùrak, dio malvagio della furia e della predazione, i quali riuscivano a cadere preda di una soprannaturale sete di sangue che garantiva loro una resistenza inverosimile alle ferite e al dolore. Evidentemente, ora che la battaglia era finita, il berserker aveva dovuto gradatamente arrendersi all'orribile ferita sostenuta (forse un violento fendente di ascia nanica).<br />
Un suo camerata gli passò accanto e lo decapitò con noncuranza con la propria bipenne.<br />
Ghàrher ritenne che quella fosse la consuetudine berserker nel trattamento dei feriti gravi, dal momento che nessuno parve scomporsi. Un mostruoso ibrido tra uomo ed orso si fece però avanti, cominciando a sbranare le carni ancora calde del cadavere.<br />
Ciò fu, per Ghàrher, l'ulteriore conferma che le rovine del villaggio non erano state ripopolate da soli accoliti di Etheelalhaturkursaàsra, bensì anche da seguaci di Hurekuretheelgùrak. I due malvagi numi dovevano aver unito i propri sforzi per qualche causa di interesse comune...<br />
Ghàrher trasalì, udendo un fruscio alle proprie spalle, ma si ricordò subito del drappello di adolescenti poco più indietro. Stavano aspettando soltanto un suo cenno per avvicinarsi... <i>Poteva</i> egli lasciare che vedessero tutto questo? <i>Doveva</i> lasciare che vedessero?<br />
Hìnerhet gli comparve al fianco. Si era mosso così in silenzio, che nemmeno il suo orecchio allenato da cacciatore l'aveva udito arrivare. Forse erano meno bambini di quanto Ghàrher li reputasse ancora. E se ritenevano di avere abbastanza alhat per vedere... chi era, lui, per impedire loro di dimostrare il loro alhat?<br />
In risposta al cenno di Ghàrher, il drappello si avvicinò strisciando, sforzandosi di restare nel massimo silenzio. Si assieparono a semicerchio alle spalle e ai fianchi della loro guida e di Hìnerhet... e videro a propria volta.<br />
_Merda!_ esclamò Kròeneth, con voce arrochita dalla sorpresa e dall'orrore.<br />
_Ma questi non c'erano ieri..._ mormorava, nel mentre, Dèwxhet, incredula _Da dove sono sbucati? Noi avevamo... Hàrikhot aveva..._<br />
_E' orribile_ convenne Vdàerhar.<br />
_<i>Non</i> sembra decisamente liberato, il nostro villaggio_ commentò amaramente Dòkremhot, con disincantato cinismo. _Forse Hàrikhot considerava <i>quelli</i>, come la propria gente..._<br />
_No!_ non voleva credere di essersi lasciata ingannare a tal segno Dèwxhet _Hàrikhot ha combattuto con noi! Quelli non c'erano ieri..._<br />
_Beh,_ tagliò corto Kròeneth _adesso però sì! Chi li ha chiamati, secondo te? Qualcuno dei nostri, forse?_<br />
_Andiamo via_ sibilò Ghàrher, contenendo a stento la propria ira. _Per ora, dobbiamo andarcene. Ma non è finita qui. Questa terra è nostra e né uomini, né abomini, né dei, ce la strapperanno!_<br />
_Sì,_ era d'accordo Hìnerhet _li faremo fuori uno ad uno, questi bastardi_.<br />
In un silenzio analogo a quello col favore del quale si erano avvicinati alla radura in cui sorgeva il villaggio (ovvero con una furtività che, per quanto non assoluta, era egregiamente bastata al modesto obiettivo di non farsi notare dai giubilanti invasori) lo sparuto drappello si allontanò progressivamente, guidato da Ghàrher in una direzione che, come chiunque si prese la briga di interrogarsi in merito non faticò ad intuire, li avrebbe portati di nuovo verso il torrente.<br />
_Ghàrher..._ fece, a un certo punto, esitante, Dèwxhet _Non ci ricongiungiamo con gli altri?_<br />
_Siamo noi, "gli altri", imbecille!_ rispose seccamente Kròeneth _Quali "altri" vuoi che ci stiano? Non hai visto con che cosa giocavano, quei bastardi al villaggio?_<br />
L'adolescente si riferiva, ovviamente, ai macabri trofei, costituiti da variegate collezioni di parti anatomiche Alhaturkh (e naniche, ma ciò poco importava) che gli invasori esibivano. Per Kròeneth era assolutamente chiaro che, della tribù originaria, non poteva più essersi salvato nessuno! L'eroico mangiamerda non si era poi dimostrato questo gran campione, a guidarli e a difenderli!<br />
_Sei molto pronto a rispondere_ intervenne subito Ghàrher a redarguire il ragazzino _e a insultare; non altrettanto però a <i>combattere</i>, mi sembra!_ (il cacciatore si riferiva alla posizione assai defilata tenuta da Kròeneth durante l'attacco elfico) _Ora, vedi di tenere chiusa quella <i>latrina</i> di bocca, o alla nostra prossima azione di guerra (e ce ne sarà una <i>molto</i> presto, vedrai) ti tengo <i>in prima linea</i>, di fianco a <i>me</i>, dovessi legarti ed imbavagliarti per fartici stare! Sono stato chiaro?_<br />
La cupa prospettiva di ritrovarsi quanto prima faccia a faccia con uno di quei tizi capaci di fregarsene delle loro budella sparpagliate in giro o con un mezzo uomo mezzo animale che lo sbranasse senza pensarci su due volte compì il prodigio di zittire l'impertinente ragazzino: Kròeneth, anziché replicare, come da precedente propria ferma risoluzione, "ero <i>già</i> di fianco a te, quando la strega ci ha arrotolati tutti con le foglie e con la terra", tacque e, riproponendosi di recriminare in un momento futuro, nel quale Ghàrher non fosse abbastanza vicino da poter udire, continuò a marciare in guardingo silenzio, mantenendosi al fianco di Hìnerhet. Hìnerhet sì, che avrebbe dovuto essere il loro capo. Lui li aveva fatti uscire vivi da quella spedizione infernale, da quella escursione in cui avevano incontrato il lupo mannaro, lo scheletro ambulante, il formicone bipede e tutti quegli abomini... Ghàrher, invece, a parte rifilare ceffoni a destra e a manca (e, soprattutto, a <i>lui</i>) non era riuscito a combinare niente di buono...<br />
_Se sei davvero convinto che noi siamo gli ultimi rimasti,_ risollevò l'argomento Dòkremhot, rivolgendosi all'autoproclamato duce _dov'è che ci stai portando?_<br />
_A riposare qualche ora_ replicò prontamente il cacciatore, senza lasciare trasparire nemmeno un poco della colossale prostrazione che pervicacemente lottava per sopraffarlo. _Domattina all'alba ci riorganizzeremo. Siamo <i>ancora</i> una tribù. Ci sarà ancora chi caccerà, chi intraprenderà le azioni di guerra contro il nemico, chi cucinerà e... noi <i>non</i> spariremo, insomma. Non ce ne andremo, sconfitti, scacciati dalla nostra terra come pavidi conigli, a mendicare ospitalità dalle altre tribù. Il nostro nuovo campo base temporaneo sarà al di sopra della Cavalcata dei Cristalli_. (tale era il nome conferito dai membri della tribù ad una vicina, spettacolare cascata) _Da lassù, nessuno dovrebbe riuscire a sorprenderci, provenendo dal villaggio; inoltre, avremo acqua in abbondanza_.<br />
_E potremo anche pisciare nel torrente quando gli altri stronzi del villaggio verranno a prelevar acqua!_ gongolò Kròeneth, pregustando la gratificazione di poter combinare uno dei propri tiri mancini ritrovandosi elogiato, per una volta tanto, invece che ricercato e perseguitato.<br />
Che stupido, pensò Hìnerhet. Anzitutto, qualsiasi minzione, per quanto abbondante, si sarebbe immediatamente diluita nella vasta quantità d'acqua della cascata; ma ciò che più deprimeva Hìnerhet, era che l'altro, per il gusto di giocare uno dei propri scherzi idioti, sarebbe stato disposto a fornire al nemico <i>inequivocabili</i> indizi della loro presenza e, peggio, sulla loro localizzazione.<br />
_Non puoi dire sul serio_ si preoccupava, invece, Dòkremhot dei propositi espressi da Ghàrher. _Noi soli... non riusciremo mai a fare nulla di quello che hai detto! Non saremo nemmeno in grado di sopravvivere!_<br />
Ghàrher, squadrando l'adolescente con uno sguardo glaciale, dichiarò: _Io <i>dico</i> sul serio, Dòkremhot. Se <i>tu</i> non te la senti, se vuoi lasciarla passare liscia agli assassini che hanno fatto tutto questo, se vuoi vagare di tribù in tribù come uno sbandato, per essere guardato da tutti con disprezzo o con sospetto, vai. Vai adesso. Io non ti fermerò, perché non so cosa farmene, di chi non ha alhat. Fino ad oggi, ogni volta che ho sentito qualcuno insinuare che anche una sola goccia di sangue nanico scorresse nelle tue vene,_ (si trattava di uno sfottò abbastanza in voga ai danni di Dòkremhot, causa la scarsa altezza di quest'ultimo) _io mi sono sempre indignato. Spero di non aver avuto torto_.<br />
_Scusami Ghàrher,_ si ricompose Dòkremhot _hai ragione. Quelle carogne non possono cavarsela così. Devono pagare, per tutto quello che hanno fatto_.<br />
"Ma dopo che avranno pagato," <i>non</i> disse Dòkremhot "<i>io</i> mi unirò ad una <i>vera</i> tribù. In quattro gatti che siamo, durante l'inverno, posto che mai arriviamo a vederlo, moriremo di stenti uno dopo l'altro. Me li immagino, Phlàmhalher a conciare le pelli, Prùkshremhar a farne abiti, Kròeneth a costruire abitazioni... Come no?"<br />
_E Arthàgrhet?_ si preoccupò allora Dèwxhet _ Non possiamo abbandonarlo al suo destino..._<br />
_Se soltanto avessi trovato il minimo indizio sulla sua destinazione,_ dichiarò amaramente Ghàrher _domani, alle prime luci, sarei già sulle sue tracce... Alhaturetheèlurkh sa quanto Arthàgrhet possa avere bisogno di aiuto, in questo momento... Era già così scosso da prima, dalla notte del massacro..._<br />
"Scosso?!" pensò Kròeneth "Puoi dire pazzo furioso...". Il mesto Alhaturkh di cui si stava parlando, difatti, già per natura piuttosto chiuso e di umore cupo, dalla notte del terribile attacco si era ritirato ancora più in se stesso, vaneggiando talvolta frasi senza senso e, nel corso del successivo raid elfico, aveva trascorso il tempo piagnucolando nelle retrovie, anziché combattendo attivamente al fianco dei compagni.<br />
_Purtroppo, però,_ proseguì Ghàrher, ignaro dei pensieri di Kròeneth _la strega che lo ha rapito deve essersene andata con qualche mezzo innaturale, immondo e <i>magico</i> tanto quanto lei! Solo Alhaturetheèlurkh sa quale terribile sorte attende Arthàgrhet adesso..._<br />
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-45205638275529788412017-08-30T13:16:00.003-07:002017-08-31T13:51:54.421-07:00Osando sognare - PrologoO. Aveva appena finito di tracciare col proprio dito la runa nanica all'incirca corrispondente, come suono, alla "o" della lingua umana. Naturalmente, come ogni runa nanica che si rispetti, la "o" (chiamata dai nani Ògem) non aveva soltanto una valenza fonetica. Impiegata da sola, tale runa poteva assumere di per sè senso compiuto, con significato di "ingresso" o, a seconda della posizione nella frase, di voce verbale del verbo "entrare"...<br />
Vhùgrhekk, il vecchio uomo di età alquanto avanzata, con parvi ciuffi di capelli bianchi sparsi in testa e acquosi occhi cerulei, impaludato nella propria sontuosa veste da arcimago, rilesse, alla luce dell'arcano bagliore diffuso con cui egli aveva fino a quel momento illuminato la caverna, la frase che, servendosi dei propri poteri magici (il dito dell'anziano mago aveva solcato la dura roccia con la stessa facilità con cui chiunque altro avrebbe potuto tracciare i medesimi segni su una superficie di molle fango), aveva appena inciso sulla litica stele di benvenuto della città, poco oltre la porta.<br />
"Questa è la Città Morta; veglia ed attendi, tu che sei entrato".<br />
Era perfetto. La città eretta, una stregoneria dopo l'altra, dentro l'immensa grotta, assomigliava ormai in tutto e per tutto a uno di quei complessi urbani sotterranei che l'assurda razza nanica erigeva, a prezzo di lunghi e pazienti sforzi, nelle vaste cavità del sottosuolo. L'affinità con una vera città nanica avrebbe reso ancora più efficace il sortilegio emanato dalle rune che contornavano le mura.<br />
Le anime dei nani sarebbero venute.<br />
Vhùgrhekk già si immaginava gli spiriti dei nani che sarebbero morti nelle vicinanze. La loro anomala attrazione verso la città, invece che verso la loro destinazione ultima. La loro apatia, una volta varcata la soglia. E il loro numero che cresceva, di giorno in giorno, formando, dapprima, e incrementando, poi, una popolazione di defunti per la Città Morta...<br />
Vhùgrhekk sorrise. Periodicamente, sarebbe ritornato a controllare. E quando le anime naniche fossero diventate <i>abbastanza...</i><br />
Vhùgrhekk ripensò all'ironia della sorte. Si era inizialmente avvicinato ai nani per la stessa ragione per cui, da quando era diventato mago, si era mai interessato ad altre creature, ovvero per il proprio personale tornaconto: aveva incominciato a scegliere cavie naniche per i propri esperimenti di negromanzia. Anche i barbari umani dei Monti delle Nebbie avrebbero potuto servire allo scopo... ma i nani erano <i>eccezionalmente</i> resistenti: come Vhùgrhekk aveva scoperto, tra i nani c'erano individui capaci di sopravvivere a sollecitazioni esoteriche che avrebbero ucciso tre o quattro elementi umani alla volta!<br />
La tediosa lotta con Tògk, il sacerdote nanico che si era messo in quella sua testa dura come la roccia di ostacolarlo nelle sue ricerche arcane, lo aveva portato (suo malgrado) ad approfondire le sue conoscenze di sacralità (e religione) nanica. Abile e cocciuto Tògk! Vhùgrhekk lo ricordava ormai quasi con affetto; non fosse stato per lui, certo Vhùgrhekk non avrebbe mai avuto l'idea per il progetto della Città Morta!<br />
Vhùgrhekk sorrise di nuovo. Come gli veniva semplice, ricordare "quasi con affetto" i propri nemici, una volta che questi erano <i>morti!</i><br />
Vhùgrhekk era di ottimo umore. Lì, nelle profondità delle grotte sotto i Monti delle Nebbie, era assai improbabile che qualche altro mago di Hòvval venisse a ficcanasare. Il suo progetto sarebbe andato avanti autonomamente, senza bisogno di sua diretta supervisione, lasciandolo libero di concentrarsi sugli studi che, di fronte all'inesorabile trascorrere del tempo, avevano assunto priorità via via sempre più alta.<br />
Non doveva mancare molto; Vhùgrhekk ne era certo! Il vecchio mago consumava giorno e notte nello studio di antichi tomi, nell'evocazione di demoni coi quali mercanteggiare importanti conoscenze, nell'ideazione e conduzione di esperimenti e rituali occulti... Da molti anni, tanto preso dalla propria febbrile ricerca, aveva cominciato a lottare contro il sonno come contro a un odioso nemico. Quando studiava fino a tarda notte, Vhùgrhekk aveva preso l'abitudine di porre accanto a sè un secchio pieno d'acqua e di studiare tenendo in mano una pesante sfera di metallo, sospesa sul recipiente; così facendo, quando il sonno lo coglieva a tradimento, il corpo metallico cadeva con un sonoro tonfo e (quasi sempre) lo svegliava. Oppure, se l'attività in cui era impegnato era (potenzialmente) <i>davvero</i> importante, Vhùgrhekk scacciava il sonno con la magia.<br />
A breve (anche grazie ai propri già menzionati esperimenti sui nani) avrebbe penetrato i segreti per diventare phurg! E dopo, con una sostanziale <i>eternità</i> a disposizione, nonché le proprie già notevoli capacità esoteriche incrementate dalla nuova forma...<br />
Vhùgrhekk ripensò allo scopo ultimo della Città Morta.<br />
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_Aspettatemi, bravi nani_ immaginò di rivolgersi ai futuri abitanti. _Io so quanto siete tenaci e pazienti. Aspettatemi. Io verrò, quando sarà il momento... <i>e vi libererò!</i><br />
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Prosegui al <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/osando-sognare-capitolo-1.html">Capitolo 1</a><br />
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-4632226248776474222017-08-30T13:10:00.000-07:002017-08-30T13:15:10.044-07:00Scegliendo di camminare con la morte - Capitolo 1La roccia era salda e sicura, ruvida e gigantesca. Il muschio le maculava qua e là il grigio manto e la lieve e carezzevole nebbiolina d'autunno la sfiorava delicatamente.<br />
L'impetuoso torrente la rintronava, instancabile, con le proprie grida imperiose. Ma lei lo ignorava: non era tipa da prendersela facilmente!<br />
E poi, il torrente sapeva anche essere gentile: quante volte, con uno spruzzo un po' più alto degli altri, le aveva donato, seppure con quel suo fare sgraziato e burbero, una di quelle fluide perline le più piccole delle quali formavano quella nebbia così comune in quella zona! Quelle fresche perline che si tingevano d'argento sul muschio, di grigio sulla roccia e che, meraviglia, al sole rifulgevano come germogli di stelle. Le piacevano davvero tanto.<br />
I faggi, alti e slanciati, svettavano intorno a lei, dinamici e spensierati come il vento con cui solevano giocare, perennemente sul punto di travolgere, con gioioso slancio, i vecchi castagni e le antiche querce, piante le quali, invece, salde e massicce, riuscivano a mantenere un decoroso contegno.<br />
Un grido, improvviso, stridette. Altri lo seguirono. Cornacchie, forse. O gazze. Si allontanavano sempre di più. Ritornava a distinguersi il soffuso sottofondo del vento.<br />
Una foglia, screziata come la fiamma, planava lievemente verso le rocce presso il montano flutto. S'adagiò sulla pietra col suo caratteristico passo leggiadro. Poi, un nuovo soffio di zefiro. La fiamma vegetale si librò nuovamente fra le brume. Le rapide acque l'intercettarono. Immediatamente fu rapita fra le onde, prendendo a balenare intermittentemente tra i ghiacci argentei; ghiacci che, nelle rarissime giornate di sole, se osservati dalla corretta angolazione, si cangiavano immediatamente in sfavillanti frammenti di astri cristallini.<br />
Hàrikhot avanzò, tenendosi nell'ombra, circospetto, più per abitudine e istinto, che a bella posta. Non faceva rumore. Era solo un ragazzo, ma aveva già imparato ad andare a caccia (ed era anche bravo, come non si vergognava di ammettere); aveva dunque pure acquisito il passo caratteristico della sua gente, veloce e silenzioso, grazie al quale evitava di far fuggire le prede al momento meno opportuno.<br />
Raggiunta la roccia, la ispezionò per un attimo con lo sguardo. Era sempre la stessa (fatto non particolarmente sorprendente), proprio come se la ricordava.<br />
Cominciò ad arrampicarsi. Adorava quella roccia. La adorava perché leale, leale come gli Alhaturkh (la sua gente): decine di volte l'aveva scalata e mai un appiglio gli si era sbriciolato fra le dita, mai al piede era mancato d'improvviso l'appoggio; mai essa lo aveva tradito. E anche quella volta, le dita si serravano su salde sporgenze.<br />
_È come se mi desse la mano_ pensò (o, forse, mormorò) Hàrikhot.<br />
Difatti, mai la roccia lo avrebbe lasciato: casomai, sarebbe stato lui, un giorno, per stanchezza, incuria, o per una qualsiasi altra causa, a perder la presa; la roccia non avrebbe mai allentato la propria per prima.<br />
Giunse in cima senza problemi: la sua terra selvaggia (i Monti delle Nebbie) lo aveva temprato nel fisico e nello spirito, rendendo il primo saldo e possente (assolutamente eccezionale, se rapportato a quello dei coetanei allevati nella bambagia che abitavano regioni meno inospitali) e il secondo deciso e determinato.<br />
In piedi sulla insidiosa superficie inclinata della sommità della roccia, Hàrikhot mosse qualche breve passo verso il ciglio. Non stava facendo altro che ripetere un rito a lui consueto ed al quale difficilmente avrebbe rinunciato. E poi, pensava, senza un po' di rischio, che sapore ha la vita? Anzi, la vita stessa è rischio.<br />
Giunto con le punte degli stivali di pelle già non più a contatto con la roccia, Hàrikhot osservò.<br />
Quante volte aveva visto il laghetto che il torrente formava da quella parte! Quante volte aveva scrutato attentamente le selve che lo circondavano, sia ricoperte di timide gemme verdi e nuove in primavera, sia scrollanti le fluenti chiome alle correnti estive, sia incendiate dai colori dell'autunno, sia rifulgenti per i freddi argenti invernali! Quante volte aveva esaminato con interesse le salde rocce plasmate dagli amorevoli flutti!<br />
Eppure, ogni volta che guardava, scopriva diverse le parole del paesaggio. Il discorso che la conca mormorava ai suoi sensi non era mai monotono, mai lo stesso: c'era sempre qualcosa di nuovo da vedere, da udire, da provare, da scoprire.<br />
Anche quella volta era così. Sorrise di gioia. Incomparabilmente bello. _Mi meraviglio che non lo abbiano scelto per dimora gli dei, questo posto, dopo averlo creato!_ si disse.<br />
E aveva tutte le ragioni di esprimere tal giudizio: era felice come un dio, più o meno, quindi poteva immaginarsene le sensazioni e i pensieri! E forse ci abitavano davvero, gli dei.<br />
Forse erano loro che, in quel momento, lo facevano sentire re. O un grande guerriero. Uno dei grandi guerrieri delle saghe e delle leggende.<br />
La colossale cascata poco distante da lì divenne il soffio di un drago; di un potente drago. Gli alberi flessuosamente ondeggianti non erano che antichi spiriti gementi, minacciosi, nel loro sconsiderato odio verso il mondo e le forme di vita... Verso di lui, soprattutto, che era venuto per distruggerli. Ma egli non temeva: con la propria lancia in pugno, coi propri muscoli poderosi, col proprio coraggio senza eguali, aveva affrontato sfide ben peggiori...<br />
Una goccia. Hàrikhot si sdraiò sulla roccia e sul muschio. Non era dotato (come anch'egli sapeva) di tutte le virtù appena fantasticate, ma certo non lo spaventava un po' d'acqua: tutti gli Alhaturkh erano perfettamente in grado di lavarsi nelle gelide acque montane senza risentirne (a patto di poter raggiungere, in capo a pochi minuti, un fuoco caldo e degli abiti asciutti)!<br />
_Chissà perché cade la pioggia?_ si chiese Hàrikhot. E fantasticò nuovamente. Sognava di essere il Dio delle Acque Hwllashhùrkh, e di riversare sul mondo piogge torrenziali dalle bizzarre ali da pipistrello così celebrate e venerate nelle cantiche e nelle leggende... Indiscutibilmente, gli piaceva fantasticare. Ma, del resto, a tredici anni ci si poteva ben permettere di continuare ancora, per un poco, a sognare!<br />
La pioggia tamburellava sulla sua pelle: i pochi brandelli di pelliccia sparsi qua e là che, presso la sua gente, si consideravano capi d'abbigliamento, lasciavano scoperta una porzione di corpo ben maggiore di quella che rivestivano. Tamburellava, s'acquietava un attimo e prendeva a scorrere sul suo corpo.<br />
Hàrikhot abbassò lentamente le palpebre, per godere appieno del contatto con quelle dita fresche e delicate, capaci di accarezzare teneramente anche i fiori e l'erba dei prati.<br />
Cominciò pure a cogliere, con l'udito, non solo il ticchettio della pioggia sulla pietra, ma anche il suo morbido bacio alle fronde degli alberi, il suo fluido fruscio nell'esplorare gli steli e le corolle.<br />
Circondato dalle attenzioni di entità familiari, che lo avevano cresciuto al pari dei suoi genitori, si sentiva a casa.<br />
Anzi, era a casa: per un Alhaturkh non esisteva un vero e proprio concetto di confine; come la sua famiglia era formata da chi gli era sempre stato vicino e si era preso cura di lui, così la sua terra era quella che ricordava, quella che gli era nota come il volto dei suoi cari, quella che lo aveva amato dalla nascita. E come gli amici (qui intesi nel senso di <i>veri</i> amici e non soltanto di meri conoscenti o compagni di solazzo) conosciuti in seguito venivano considerati (ed erano quindi effettivamente) "di famiglia", così anche tutti i territori che sapevano donare il proprio affetto venivano conglobati nel concetto di casa.<br />
E considerarsi a casa era tutto per un Alhaturkh: la casa era la patria, il luogo ove l'uomo (ovvero "Alhaturkh", parola derivata da "Alhat", cioè "forza", "coraggio", "valore" e simili, unita da "ur" al suffisso personificante "kh") trionfava sempre, il posto dove gli dei erano in grado di esercitare il proprio potere salvifico.<br />
La pioggia non aumentava di intensità. Rimaneva una qualsiasi pioggerellina. Del resto, nella regione nota come "Monti delle Nebbie", pur non essendo infrequenti le piogge, ben rari erano i violenti scrosci; per lo più, gli acquazzoni non duravano oltre le due ore.<br />
Udendo, ad un certo momento, lievi passi regolari, Hàrikhot li ritenne prodotti senza ombra di dubbio da un Alhaturkh venuto a fare il bagno. Non si curò neppure di schiudere le palpebre, intento a godersi interamente il refrigerante contatto con i fluidi e amorevoli polpastrelli del cielo.<br />
In breve, mentre le brume s'infittivano sempre più e la pioggia, con un certo disappunto da parte del giovinetto, cominciava a diminuire d'intensità, Hàrikhot udì il crepitare di un fuoco: il nuovo venuto doveva aver appena finito di approntarlo e, con ogni probabilità, stava ora dedicandosi a rimuovere i propri miseri abiti di dosso.<br />
Il fanciullo non si preoccupò del silenzio che seguì: l'altro Alhaturkh doveva essere giunto sulle rocce in prossimità del fiumiciattolo; entro poco, infatti, il giovinetto lo udì farsi largo tra i flutti. Poi Hàrikhot non riuscì più a distinguere che il cupo rombo della colossale cascata poco distante; il nuovo arrivato doveva essersi diretto là, perché era il posto migliore per lavarsi presto e bene.<br />
Venne anche a Hàrikhot voglia di un bagno. Ma non subito. Perché non godersi una simile pioggia? Meglio attendere un po'.<br />
L'adolescente, quando udì il corpo del tuttora ignoto visitatore guadagnare nuovamente la litica sponda e gocciolare abbondantemente sulle rocce, nel dirigersi, senza dubbio, verso il fuoco in precedenza approntato, si diede la pena di volgere lentamente il capo e di socchiudere gli occhi, chiedendosi oziosamente chi fosse che era venuto a dedicarsi alle abluzioni in quel momento.<br />
Hàrikhot riconobbe immediatamente la (pur comune) figura di Arthàgrhet. Non che l'adolescente fosse particolarmente amico di quell'Alhaturkh moro, asociale e dagli occhi verdi come... come un'alga pestata; semplicemente, all'interno dei piccoli villaggi della sua gente, chiunque avesse già compiuto anche solo pochi anni di età era ormai già perfettamente in grado di riconoscere qualsiasi altro abitante, anche i tipi più schivi e taciturni (come Arthàgrhet).<br />
_Chissà cosa avrà mai,_ si chiedeva puntualmente Hàrikhot al vederlo, o quando (ben più di rado) gli capitava, per un qualsiasi motivo, di pensare a lui _per non riuscire mai a stare allegro!_<br />
Difatti Arthàgrhet, da quando si era unito alla tribù di Hemkèkrhot, non era mai stato veramente felice: anche quando sorrideva non riusciva a cancellare un velo residuo di tristezza, il quale trapelava, in un modo o nell'altro, dai suoi lineamenti o dal suo portamento, come se, per qualche tenebroso ed oscuro motivo, il conforto di una reale soddisfazione fosse inesorabilmente precluso al misero Alhaturkh.<br />
Hàrikhot smise di pensare a lui e continuò a godersi la pioggia. Stava immobile, a palpebre abbassate, i mori (e lunghi) capelli che aderivano, fradici, alla roccia, le mani abbandonate, col palmo rivolto alla pietra, il petto dal respiro lento e regolare, il volto fisso in un sorriso tanto lieve quanto lieto, il pensiero perso nell'ascolto delle antiche salmodie del vento. Questo gli sussurrava alle orecchie canti lontani, quasi inafferrabili; canti ormai dimenticati.<br />
Si ricordò di quando, un giorno, tornando alla propria capanna (una semplice costruzione in legno, la tipica abitazione di una famiglia Alhaturkh), aveva confidato, eccitatissimo, ai genitori: _Sapete? Oggi, il vento mi ha parlato! Mentre soffiava, si sentiva, come mescolata o un po' in lontananza, una voce!_<br />
Ricordò il loro sorriso, mentre il padre gli spiegava che il vento non era altro che la voce di Theènourkh, dio del Viaggio e della Predazione, il quale, tramite quello, esortava i propri fedeli all'azione migliore, o rivelava ad altri la propria gloria, o minacciava e si burlava dei nemici col proprio sibilante riso schernitore, che, si narrava, era anche in grado di confinare nell'Alhatrukurkhruk, l'orribile terra infernale ove tutto era liscio, piatto, monotono e nulla esisteva che non fosse tremore e pianto...<br />
Ogni Alhaturkh diveniva presto passabile nel raccontare leggende (anche se soltanto i bardi vi eccellevano) e nel creare dunque atmosfere coinvolgenti, perché era a mezzo delle storie e delle saghe, che veniva trasmesso il sapere più profondo, l'essenza stessa della conoscenza, la verità; non c'è da stupirsi, quindi, del fatto che Hàrikhot, conquistato dalla narrazione, avesse imparato rapidissimamente ad ascoltare il vento! E anche se a molti bisbigli non riusciva a dare il minimo significato, altre folate celavano messaggi a lui comprensibili: lo spingevano talvolta alla attenzione, talvolta all'esplorazione, talvolta alla battaglia... talvolta anche ad alzarsi nel cuore della notte, periodo considerato dal suo popolo come foriero di sventura e, soprattutto, di inganni.<br />
Di notte, solo gli adoratori dell'oscura dea Etheelalhatrukursaàsra, o i protetti dagli dei più volte chiamati, osavano lasciare la capanna! Tuttavia, qualche volta Hàrikhot aveva dato una sbirciatina all'esterno, socchiudendo appena la robusta porta di quercia... E mai come in quelle occasioni lo spesso legno gli era parso tanto fragile e precario!<br />
Quasi evocato dalle sue meditazioni, spirò un nuovo alito di vento. Anche questo gli parlava. Gli stava facendo cavalcare lo spirito, anche se il suo corpo quiesceva. Era come una breve galoppata al confine tra realtà e sogno, nel corso della quale Hàrikhot si sentiva in comunione con le nubi e in lontano dialogo col lampo...<br />
Non poteva sapere (non essendo esperto delle parentele fra dei, o fra i loro corsieri) che il lampo era fratello delle nubi, ma non trovò ugualmente nulla di strano nella propria mistica esperienza: stava soltanto ascoltando.<br />
Poi, gli giunse alle nari l'aroma del legno bruciato, un profumo che preferiva ad ogni altro; probabilmente perché significava fuoco, quindi forza, coraggio... e gli ricordava le gesta degli eroi (per il semplice fatto che, tradizionalmente, si narravano intorno a un fuoco, dopo la cena, prima di coricarsi).<br />
Il tenue alito si esaurì ed egli riprese a dedicare la propria attenzione alla pioggia. Essa continuava, infaticabile, il proprio gentile massaggio su ogni millimetro quadrato del suo corpo: Hàrikhot riusciva a distinguerlo anche in quelle parti del corpo coperte dagli "abiti", in quanto questi, ormai fradici, gli aderivano in maniera tale alla pelle, che quasi eran divenuti sue vive escrezioni!<br />
Ad un Alhaturkh più maturo ed assennato, a quel punto, sarebbe immediatamente sovvenuta la necessità di cambiarsi d'abito assai a breve, onde evitare che il proprio pur vigoroso corpo venisse infine sopraftto dai rigori della stagione, ma Hàrikhot era perso nelle proprie sensazoni, momentaneamente sordo a quella voce del buon senso che tanto spesso riesce ad evitare guai... e a precludere quel reale divertimento che solo la sventatezza della gioventù sa regalare.<br />
Quant'era dolce abbandonarsi a quel massaggio! Gli sembrava quasi che addirittura le sue nere chiome lo percepissero!<br />
_Forse,_ meditava tra sé _queste carezze rallegrano anche la roccia!_<br />
Che idea! Non ci aveva mai pensato, prima.<br />
Non finiva mai di stupirlo, la sua casa! Hàrikhot la abitava dal momento in cui era nato (e in tredici anni se ne scoprono, di cose!), ma questa non aveva mai cessato di sorprenderlo. Non aveva mai cessato di farlo sentire bambino, in confronto a lei. Non aveva mai cessato, ogni giorno, di mostrargli qualcosa di nuovo, perché il suo rinnovarsi non stava, semplicemente, nel mutare aspetto, ma, soprattutto, nella capacità di Hàrikhot, al momento opportuno, di percepirla e di comprenderla in maniera più completa. La sua casa, non era, semplicemente, ogni giorno <i>diversa</i>; era, piuttosto, ogni giorno più <i>interessante</i>, perché più amica, più comprensibile... più <i>familiare</i>.<br />
Rapito dal tenero massaggio, lentamente, a poco a poco, cominciò a rendersi conto che alle blandizie della pioggia s'erano aggiunte quelle, non meno soavi, delle nebbie, le quali, infittitesi, gli scivolavano sul corpo con la dolcezza con cui la serpe sfiora il terreno.<br />
Immaginò che proprio così doveva essere il sospiro di un Drago delle Acque. Non che ne avesse mai visto uno (né, quindi, che ne avesse mai sperimentato il sospiro), ma le leggende più antiche parlavano dei draghi... in special modo di quelli delle Acque, di quelli delle Nevi e di quelli delle Rocce (delle razze di Drago, ovvero, che, anticamente, erano presenti sui Monti delle Nebbie).<br />
Le leggende li descrivevano come boriosi, capaci di qualsiasi efferatezza per far riconoscere (e, spesso, pesare) la propria supremazia su chiunque, ma anche come, nei confronti di coloro che stimavano (e che non si ritenevano superiori a loro), pronti ai più alti atti di amicizia e, addirittura, di amore.<br />
A Hàrikhot non sarebbe dispiaciuto incontrarne uno... no davvero! Ma tutti gli Alhaturkh del villaggio, oltre a considerarlo alquanto pericoloso, lo ritenevano quasi impossibile: tutti sapevano bene che i draghi erano quasi estinti! I Monti delle Nebbie avevano subito non pochi cambiamenti (anche se Hàrikhot lo ignorava), dall'epoca in cui proliferavano i terribili rettili volanti...<br />
Il nuovo clima si era rivelato fatale per loro: troppo caldo per i Draghi delle Nevi, troppo umido per i Draghi delle Rocce... solo i Draghi delle Acque avevano potuto sopravvivere, ma gli Alhaturkh, in seguito all'estinzione delle altre razze di quei terribili leviatani, avevano potuto moltiplicarsi, organizzarsi... e sterminarli in una cruenta guerra.<br />
In breve, solo i draghi più temibili erano riusciti a sopravvivere, ma non era certo più così facile incontrarli: era ben vivo, fra di loro, il ricordo della antica Guerra dei Roghi, ricordata con tal nome per la strategia che (come si narrava) aveva conferito agli umani la vittoria: gli Alhaturkh avevano costretto i draghi a combattere a terra oscurando i cieli con i fumi di falò enormi.<br />
O così, almeno, assicuravano i bardi.<br />
_Sì,_ concluse Hàrikhot, con un sospiro di desiderio _mi piacerebbe proprio incontrarne uno!_<br />
Quando, comunque, i suoi occhi cessarono di fissare il vuoto (o, meglio, le sue fantasticherie), lo informarono dell'accresciuta luminosità ambientale, la quale non poteva significare che una cosa: stava avvicinandosi l'ora del pranzo; era pertanto meglio sbrigarsi a fare il bagno e ad incamminarsi verso il villaggio!<br />
Hàrikhot si rialzò, dunque, lentamente in piedi. Sciolse un po' le articolazioni, senza trascurare di stiracchiarsi a piacimento; poi, con decisione e sicurezza, scattò in una repentina corsa verso uno sperone della pietra che si protendeva verso un gruppetto di faggi al limitare della vicina selva.<br />
Giunto con l'ultima falcata ad una distanza dal limitare della roccia pari, circa, a un suo piede, si tuffò, con una rapida espirazione, verso il faggio più vicino, le braccia tese verso l'esile tronco, il corpo quasi parallelo rispetto al terreno, le chiome schiacciate al corpo dalla recente pioggia e dalla fitta nebbia.<br />
Non era un'impresa difficile né inconsueta, per lui: difatti le sue mani si serrarono con sicurezza sul flessibile (e come è comprensibile, viscido) tronco del faggio, permettendo alle sue gambe di avvilupparvisi. La pianta si scosse con moti ampi e minacciosi, rovesciando, fra l'altro, sull'indesiderato ospite, una doccia di goccioline; ma Hàrikhot si tenne ben saldo, consapevole della resistenza dell'albero: non ricordava più nemmeno quante volte si era servito di tal comodo metodo di discesa, ma non in una sola occasione la pianta si era lasciata sfuggire un gemito, o, comunque, un qualsiasi mormorio di cedimento.<br />
Anche quella volta fu così.<br />
Nonappena l'esile fusto prese ad oscillare un po' meno vigorosamente, Hàrikhot cominciò agevolmente a scendere, servendosi delle basi dei rami come appigli e, quando questi mancavano, lasciandosi scivolare gradualmente, in maniera controllata.<br />
Giunto a terra prima ancora che il dondolio della pianta fosse completamente cessato, Hàrikhot si guardò intorno circospetto.<br />
Ancora una volta, la ragione non era che egli si sentisse <i>realmente</i> minacciato da qualche oscuro pericolo (diversamente, discendere con un siffatto trambusto non avrebbe costituito precisamente la linea d'azione più cauta e furtiva possibile...); Hàrikhot si comportava in tal modo unicamente per gioco e per abitudine.<br />
Il giovinetto doveva anche aver teso le orecchie, a dire il vero, e, a farla breve, messo inconsciamente in stato di allerta tutti i sensi, mentre cominciava ad avviarsi verso la conca ove si tuffava il torrente con una spettacolare cascata, ma (ovviamente) non rilevò minaccia alcuna.<br />
Sotto il tetto di fronde reso cupo ed indistinto dalle brume, l'involontaria e quasi innata cautela di Hàrikhot risultava particolarmente efficace.<br />
A un eventuale osservatore che non fosse un Alhaturkh, egli sarebbe certo sembrato dotato di virtù magiche: un certo momento, era dietro un faggio, parzialmente nascosto dai suoi rami, l'attimo dopo, si trovava semicelato da un cespuglio, quello seguente, ibridato con una asperità del terreno.<br />
Gli era facile nascondersi, svanire, teletrasportarsi (anche se allora, come ogni Alhaturkh, non conosceva il significato di tale termine), in quel mondo di grevi lingue di foschia, di scintille vegetali dai colori fiammanti, di coriacei esseri torti, tetri, minacciosi, di fluide gemme argentine sparse senza invidia né avarizia...<br />
Era il suo mondo. La sua casa. E aveva appreso da tempo l'arte di scivolare fra le nebbie, di confondersi tra le foglie, di strisciare al riparo dei macigni... Così, in breve tempo e quasi senza alcun rumore, giunse in vista della conca.<br />
Nonostante il fatto che le condizioni atmosferiche non concedessero certo una buona visibilità, Hàrikhot scorgeva perfettamente le scoscese pareti che delimitavano l'impetuosa e travolgente carica delle acque, quelle pareti così fiere, indomite, aspre, in alcuni punti addirittura taglienti, che fungevano da perfetta cornice ai selvaggi e irrequieti sbalzi delle onde; quelle pareti in cui, nel corso dei secoli, il tumultuoso rivo aveva eroso un levigato alveo.<br />
Per gli occhi di Hàrikhot non vi era più, ormai, la necessità di vedere con chiarezza tale spettacolo: pur essendone ancora nascosta la maggior parte dalle fronde e dalle brume, la luce del ricordo oltrepassava qualsiasi barriera.<br />
Eppure la conca cambiava... anche drasticamente, talvolta! Non era certo un fatto particolarmente raro, che uno sperone troppo esile di roccia precipitasse per gli erti scoscendimenti, abbattendone altri sul proprio cammino e facendoli rovinare nelle gelide profondità del minuscolo laghetto.<br />
Ma il ricordo non tradiva mai Hàrikhot, sia che nella conca fossero precipitati massi, sia che la furia o il paziente sforzo delle onde li avessero già trascinati altrove, sia che ogni pinnacolo fosse ancora esattamente al proprio posto; difatti, il ricordo del giovinetto non consisteva nella banale memorizzazione dell'aspetto esteriore del luogo. Hàrikhot teneva a mente ben altro: l'impeto irresistibile del rifulgente fluire argenteo, la dignitosa tenacia della roccia dell'alveo (la quale, pur sconfitta, sottomessa, livellata e levigata, manteneva la propria invitta saldezza), la focosa baldanza degli aguzzi pinnacoli e delle affilate creste di pietra (che parevano quasi non limitare la propria muta ed immobile sfida al fluido rombante da loro poco discosto, ma quasi estenderla alle fitte nebbie, o agli astri sfavillanti, alle tempeste dagli sfolgorii intermittenti, o al sorriso imperturbabile della volta eterna del cielo).<br />
Hàrikhot rimembrava il torcersi ed il districarsi del flusso imperioso. Rimembrava il bizzarro contrasto tra la superficie ondulata e la materia d'irriducibile solidità del liscio letto del torrente. Rimembrava il pietrificato (ma non per questo meno vitale e percettibile) slancio delle giovani rocce.<br />
Il suo ricordo, insomma, fondamentalmente, non serbava scarne immagini, ma impressioni, esperienze: coglieva le qualità, non l'aspetto del luogo; quelle qualità responsabili dell'aspetto del luogo stesso. Hàrikhot non ricordava tanto un particolare pinnacolo, quindi, ma, piuttosto, la "spinta" pietrificata che l'aveva originato e che ne avrebbe generati altri; non un particolare flutto, ma la fluida e decisa irruenza che caratterizzava ciascuno di essi... E ogni volta che poteva nuovamente ammirare quelle forze all'opera, ogni volta che si ritrovava a scoprire a quante (e quanto meravigliose) realtà esse potevano dare origine, Hàrikhot si sentiva trafiggere il cuore dalla bellezza di quei luoghi.<br />
La precisa lancia di tali amenità non mancò nemmeno allora il bersaglio. Trafitto, Hàrikhot stette, incantato.<br />
La fitta nebbia conferiva al paesaggio un aspetto cupo e misterioso, ma il luogo non era abbruttito da ciò: le rocce assumevano tonalità più sfumate ed accennate, il filo sottile e tagliente dei giovani speroni e pinnacoli sembrava mimetizzarsi nell'atmosfera stessa, come una litica serpe pronta a colpire un'eventuale incauta preda. Ma, soprattutto, non veniva sminuita l'indomita beltà del selvaggio torrente: i flutti riflettevano l'argento vaporizzato delle nebbie per mutarlo in una danza di rapidi fulgori e captavano, intervallatamente, con improvvise e rabbiose impennate, le luminescenze che il giorno riusciva a far filtrare tra le fosche difese aeree elevate dal suolo, accendendosi di candide vampate che morivan l'istante dopo nell'omogenea mistura delle acque gelide ed impetuose e delle lievi spirali di foschia dal passo furtivo.<br />
Fu l'amichevole tocco di una foglia secca che gli urtò il collo, a destare Hàrikhot dalla contemplazione.<br />
_Devo proprio andare!_ constatò con un sospiro.<br />
Ma non per questo rinunciò al bagno.<br />
Non c'era tempo per ravvivare il fuoco che Arthàgrhet aveva lasciato morire, una volta asciugatosi ed allontanatosi da lì. Hàrikhot non volle perdere nemmeno il tempo per togliersi di dosso gli abiti fradici di pioggia: come avrebbero potuto, del resto, divenire più bagnati? Senza indugi, in pochi, lesti e lunghi passi, l'adolescente raggiunse le rocce ben levigate che delimitavano il bacino in cui si riversava il maestoso e colossale fiotto d'argentino fluido.<br />
Hàrikhot cominciò a discendere, camminando, per un liscio lastrone di pietra che s'inabissava fino a raggiungere il fondo del laghetto. Era sempre una sensazione meravigliosa, avvertire l'acqua gelida inumidire e attraversare a poco a poco il vestiario che poteva raggiungere (anche perché, secondo la percezione Alhaturkh, quell'acqua non era affatto "gelida", bensì piacevolmente fredda, vitale, corroborante...); e procurava sempre un particolare piacere, sentirsi, piano piano, penetrare nel liquido: prima le salde gambe, poi la cintola, il busto...<br />
Era fantastico, avvertire con la propria pelle tutte le insospettabili correnti del torrente, rendersi conto di come la propria presenza le modificava... Dava l'impressione di partecipare del ruscello stesso, di essere null'altro che un suo flutto di carne.<br />
Immergendosi completamente, Hàrikhot si abbandonò.<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/16450500642762565877noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1544346883298470027.post-67594743952117704192017-08-30T13:08:00.000-07:002017-08-31T13:53:11.828-07:00Scegliendo di camminare con la morte - PrologoMi si ascolti bene, perché narrerò storie remote, storie che precedettero la Storia, storie che videro nascere il tempo. Svelerò, per quanto in breve, l'origine dell'universo e della realtà dei mortali, così che restino meno oscure le vicende che seguirono...<br />
Tutto cominciò prima del tempo. Era la realtà degli dei, impossibile a trasmettersi a parole: noi (perché io ero una di loro) eravamo il nostro spazio, il nostro tempo, il nostro universo; le nostre uniche azioni erano pura espressione del nostro essere e si possono indicare come "pensare" tanto come "creare", "vivere", "fare"...<br />
La nostra realtà intender non la può chi non la prova, ma chi più ci conosce, meglio potrà coglier tali altezze.<br />
Il mio nome ero io stessa, allora, e così era per ciascuno di noi.<br />
Per designarmi, mi chiamerò Zàxeras, come mi nominò il dio che mi rese quella che ora sono.<br />
E per indicare un altro dio, del quale è ormai giunto tempo di dire, userò il nome di Woyrèchan, nome che a lungo fu tramandato fra i suoi fedeli.<br />
Io e Woyrèchan ci amavamo, in maniera totale, al modo degli dei.<br />
Nulla è più bello dell'amore degli dei, dell'abbraccio <i>totale</i> fra due <i>totalità</i>; nulla. Un amore interamente di scelta, santificato dalla luce della più eterna e ferma bellezza, addolcito dalla più tenera pace...<br />
Misero vocabolario mortale! Quanto poco puoi rendere delle realtà supreme!<br />
Un giorno vi ritornerò e le griderò con tutta me stessa. O le sussurrerò. Tanto, sarà lo stesso: comunque sia, le esprimerò integralmente con il mio stesso essere.<br />
Tanti dei si amavano.<br />
Ma toccò a Woyrèchan.<br />
Non so perché, ma toccò a lui, di fare la scelta sbagliata.<br />
Concepì l'idea di andare oltre.<br />
Abbracciati, eravamo a contatto strettissimo, ma non gli bastò, perché eravamo due. Volle che fossimo uno, credendo che così il nostro amore sarebbe stato ancora più bello, di una perfezione di ordine superiore a qualunque altra. Ritenne di amarmi più di quanto qualunque altro dio aveva mai amato.<br />
E mi uccise.<br />
Chi ci volle ritenere dotati di corpi umani, tramandò che mi spaccò il cranio con una pietra, mentre dormivo lieta sul suo petto.<br />
E basti questa descrizione, perché oltre non potrei chiarire gli eventi, a menti ristrette.<br />
Poi, mi assimilò. Mi mangiò, tramandarono i primitivi vati.<br />
Ed ebbe inizio il tempo.<br />
Prima, tutto era vita, tutto era eterno.<br />
Ma io ero morta.<br />
Io divenni la Morte, quando Woyrèchan mi assimilò: la degradazione, la dissoluzione in sostanza divina.<br />
E, con la degradazione, ebbe inizio il tempo.<br />
Woyrèchan sussurrò il mio nome, Zàxeras, dopo avermi assimilata, perché mi avvertì divenire Morte; e, suprema tragedia, <i>si avvertì divenire mortale</i>, conobbe egli stesso la degradazione!<br />
Non immagino altro che avrebbe potuto indurre la follia in un dio.<br />
Nacque lo spazio: la vita non era più tutto.<br />
Woyrèchan, siccome il suo essere si corrompeva, mi restituì realtà, non poté contenermi (le antiche leggende tramandano che mi rigettò), ma era tardi: ormai ero nata; ormai <i>ero</i>.<br />
Woyrèchan urlava, si sbracciava (ormai cominciavano a differenziarsi le sue azioni, anche se nessun mortale potrà mai comprendere cosa sia un braccio divino) e, così facendo, in ogni sua azione, mi trasmetteva: egli esprimeva ancora il suo essere, ma il suo essere era stato toccato da me, dalla morte, dunque, agendo, Woyrèchan diffondeva corruzione.<br />
In breve, tutti gli dei, attoniti e atterriti, furono toccati da me.<br />
E scelsero.<br />
Una parte scelse di odiarmi, di temermi e di tenermi in massimo spregio, di <i>usarmi</i>, di considerarmi un mezzo, un oggetto, di servirsi di me come di un'arma; così nacquero gli dei del male.<br />
Ma altri scelsero, invece, di accettarmi, di amarmi ancora, a dispetto di quello che ero diventata e delle conseguenze che causavo in ragione del mio stesso essere. E da qui si impari la grandezza degli dei!<br />
Gli dei del male erano terrificati dalla loro degradazione e, non più certi del potere, agivano e agivano, per provare a loro stessi la loro forza, ma, così facendo, diffondevano me, la morte, la decadenza, creando realtà sempre più imperfette: non erano più in grado di esprimere pienamente se stessi.<br />
Nemmeno gli dei del bene ne erano più capaci, ma avevano ancora amore nei loro cuori e vivo il ricordo delle glorie di un tempo e cercavano di esprimersi al meglio. Vedevano che non riuscivano a creare che entità inferiori, ma non si fermavano, perché ricordavano il grande valore della realtà, che non è altro che una forma di vita più generale di quanto viene comunemente accettato o compreso...<br />
Così nacquero i demoni e gli angeli, di potenza via via inferiore, mentre cominciavano a differenziarsi le leggi della fisica e della magia, originando le diverse dimensioni, imitazioni sempre più rozze dello spazio degli dei che erano stati gli dei stessi...<br />
Poi nacquero fate, unicorni, folletti, draghi, mentre lo spazio si corrugava in materia: nascevano i mondi e, tra tutti questi, nacque il mondo Remniskar Thloth, come lo chiamarono i suoi primitivi abitanti, che tanta parte avrà nello sviluppo delle vicende che mi accingo a narrare; era nata la dimensione delle creature a cui i più alludono col termine "mortali".<br />
Mutò infine volto, con la creazione del genere umano e delle ultime specie di animali, la guerra degli dei.<br />
I numi malvagi avevano cercato di far prevalere il male per dominare, mentre gli dei buoni avevano tentato di far prevalere il bene perché regnasse una felicità che gli avversari non riconoscevano più come tale... ma entrambe le fazioni si erano rese conto di essere troppo simili di forze per ottenere un definitivo trionfo, soprattutto perché ogni atto non poteva che continuare a propagare debolezza, nonché ad indebolire loro stessi.<br />
Gli dei smisero allora di creare, e si volsero alle creature: se queste li avessero testimoniati con le loro esistenze, con le loro vite, ne avrebbe goduto l'una o l'altra fazione, perché ogni realtà interagisce con la realtà.<br />
Un atto buono contribuisce a un mondo (o meglio, a una realtà) che gli dei del bene definirebbero migliore; un atto malvagio è invece un passo verso l'universo che gradirebbero (se mai gradiranno veramente qualcosa) gli dei del male...<br />
E cominciò così la nuova lotta degli dei: ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, ovvero... lasciare agire il creato, intervenendo il meno possibile.<br />
Venne un tempo in cui un demone non ancora particolarmente potente, ma dalla folle, inverosimile, insaziabile brama di grandezza, concepì un piano ardito oltre ogni dire: rubare la divinità all'unica entità alla quale, forse, avrebbe potuto sottrarla.<br />
Voleva raggirare Woyrèchan, colui che era diventato il Dio Folle, il Dio Assassino, il Divoratore.<br />
Forse la sorte gli arrise, o forse la sua astuzia lo avvantaggiò contro i guardiani da superare per giungere al cospetto di Woyrèchan, i demoni più sanguinari e violenti, ma anche i meno intelligenti e lungimiranti; comunque, pur giungendo torturato, mutilato e morente, gli riuscì di conferire col dio.<br />
E puntò sull'amore.<br />
Gli disse di essere a conoscenza di un modo per far sì che io e lui tornassimo insieme e divenissimo una sola entità, per sempre. Woyrèchan non pensò, a causa della propria follia, di appurare con i propri poteri se l'altro lo stava ingannando (e proprio su questo aveva contato il demone) e subito credette alla promessa, forse perché si riaccese in lui il ricordo della bellezza di quel sogno che l'aveva perduto e l'illusione di poter realizzare infine un siffatto progetto gli riuscì irresistibile, o forse perché il Dio Folle non poté che fidarsi dell'unico folle che, dal principio dei tempi, fosse mai venuto di sua spontanea volontà (ovvero non in veste di vittima catturata per i suoi dementi sollazziletali) a visitarlo.<br />
Woyrèchan non pensò nemmeno a cercare di carpirgli l'informazione, cosa che gli sarebbe riuscita indubbiamente agevole grazie ai propri superiori poteri, ma, completamente preso dalla rinnovata brama, lo interrogò con furia ed impazienza, tanto che, se l'interlocutore non avesse esposto il piano con quella rapidità e chiarezza di cui seppe invece dar prova, certo il Dio Folle, scuotendolo nella propria presa per sollecitarlo, l'avrebbe involontariamente ucciso.<br />
Il demone spiegò: il Divoratore avrebbe dovuto creare una cosa, un oggetto comune, come quelli usati dai mortali, esprimendovi tutto il proprio essere; poi avrebbe dovuto trasfondervi, anche per un solo attimo, la propria divinità (mantenendo comunque poteri degni di demoni o angeli, che gli avrebbero consentito di compiere le successive operazioni) e <i>chiamarmi</i>, da là dentro.<br />
Se qualcosa avrebbe mai potuto attirarmi, aveva chiarito il demone, quella sarebbe stata la voce di colui che amavo e che aveva sacrificato per me la primitiva realtà divina.<br />
L'oggetto sarebbe stato divino e, dunque, avrebbe potuto contenermi; una volta che vi fossi entrata, il Dio Folle avrebbe dovuto prontamente uscirne, per non venire toccato dalla mia letale potenza. Ma, entrando, io avrei dovuto accettare limiti (non avrei potuto eccedere i confini dell'oggetto, ad esempio) e, accettando limiti, avrei <i>inevitabilmente</i> moderato il mio potere; così, Woyrèchan, dall'esterno dell'oggetto, avrebbe potuto recuperare la pienezza della propria natura divina (l'oggetto sarebbe, a quel punto, rimasto <i>comunque</i> divino, perché avrebbe contenuto me) e, finalmente, assimilarmi, in quanto sarei risultata troppo indebolita per oppormi.<br />
Nonappena l'ultima sillaba si spense sulle labbra del demone, Woyrèchan si mise in azione, creando una spada (cosa poteva mai scegliere, il Dio Assassino, se non uno strumento di morte?) e seguendo successivamente tutti gli altri suggerimenti del proprio subdolo consigliere.<br />
Il piano ebbe successo.<br />
Non avrei voluto entrare, ma... non potei trattenermi: troppo c'era stato tra me e Woyrèchan; il richiamo che egli lanciò con tutto se stesso mi attirò là dentro. L'amore tra dei ci aveva legati indissolubilmente.<br />
Ma Woyrèchan, quando uscì dalla spada, bramoso di assimilarmi e realizzare così il proprio sogno proibito, scoprì che il demone lo aveva tradito: questi gli stava rubando il potere divino, assorbendolo dalla spada come invece il Dio Folle avrebbe dovuto fare!<br />
Io, che pure da dentro mi accorgevo delle vicende, fremevo sconvolta.<br />
Il Dio Assassino cercò di uccidere il traditore, il quale, però, lo trafisse con la spada stessa (non si fidava a servirsi del potere divino che ancora stava assorbendo) pronunciando quella frase di trionfo che, da quel lontano giorno, mai potei dimenticare: _Io sono diventato la Morte, il distruttore di <i>dei!</i>_<br />
Lo uccise tramite me.<br />
Woyrèchan non ebbe scampo: trafiggendolo, l'avrei eliminato anche se egli fosse stato ancora un dio dai pieni poteri.<br />
Così Woyrèchan morì, mentre io ancora mi rifiutavo di crederci.<br />
Ma, uccidendo Woyrèchan, il demone avvelenò la fonte stessa del proprio potere: egli si trovò a suggere divinità ed essenza dell'annullamento al contempo, vita e morte insieme...<br />
Il demone non divenne un dio.<br />
Né sì annullò.<br />
Non visse.<br />
Né morì.<br />
Divenne il primo di coloro che sommamente, ostinatamente mi rifiutano, a costo di avvelenare la propria stessa esistenza... o, addirittura, la propria stessa essenza.<br />
Mai avrebbe avuto inizio un simile abominio, se non fosse stato limitato il mio potere.<br />
Nacque (e gli dei mi perdonino per un uso così empio di tale verbo) il primo non-morto. Il Demone Spettrale Supremo.<br />
Mi riscossi.<br />
Non ero dea, ma nemmeno proprio inerme (anzi, per ironia della sorte, ero addirittura <i>un'arma</i>): lasciai credere al Demone Spettrale Supremo che mi potesse usare; lo aiutai ad imporre il suo potere su altri demoni e a renderli suoi servitori.<br />
Poi, quando si trovò ad affrontare una durissima battaglia, contro poteri che farebbero tremare le gambe anche a demoni o angeli, gli sgusciai improvvisamente di mano e sparii.<br />
Purtroppo, i suoi grandi poteri ed i formidabili alleati gli concessero di rimanere in vita; ed egli, da quel giorno, non smise mai di cercarmi...<br />
Incantesimi potentissimi lo aiutavano nella sua caccia, ma non poteva trovarmi: mi sapevo proteggere. Se mi avesse ritrovato, non sarebbe stato facile ingannarlo una seconda volta: forse sarebbe riuscito a dominarmi... e, in tal caso, avrebbe avuto a disposizione un potere senza pari, perché sarebbe stato padrone della Morte.<br />
Anche gli dei del male mi cercavano (seppure alla prudente e velata maniera degli dei, principalmente incentrata su minime, calcolate ingerenze nelle vicende dei mortali), ma gli dei del bene (in maniera analoga) mi nascondevano a loro.<br />
Forse, un giorno, gli dei del male vinceranno ed io non sarò altro che un "comune" oggetto nelle loro mani: mi allontaneranno per sempre da loro ed io esisterò per sempre, al loro servizio.<br />
Forse, un giorno, vinceranno gli dei del bene, che hanno l'incredibile coraggio di accettarmi, e tutto, prima o poi, avrà fine.<br />
E quando tutto sarà morto, quando avrò abbracciato tutta la realtà, allora abbraccerò anche me stessa (e come potrebbe essere altrimenti?) e morirò.<br />
Non vi sarà più morte.<br />
Torneranno le realtà eterne.<br />
E spero che riabbraccerò, di nuovo Zàxeras, di nuovo con me stessa come nome e come abbraccio, il dio che amai.<br />
Tutto dovrà perire; anche la speranza morirà, certo, e sarà un'agonia, per me, assistervi, ma io <i>sono</i> e se sono, morirò e dopo di me vivranno realtà di divinità primordiale.<br />
Se non mi fermeranno.<br />
Le forze del male proveranno sempre a fermarmi, perché sono incapaci di accettare la mia più intima natura: il sacrificio. Un malvagio non è altro che chi si concentra soltanto su se stesso e una tale creatura non potrà mai comprendermi; in me non vedrà che la propria più acerrima nemica... in me non riconoscerà altro che la propria fine, la fine di tutto. Sì, la fine di tutto, perché, per chi pensa soltanto a se stesso, per chi si è posto al di sopra di tutto, per chi si è posto come <i>il</i> proprio tutto, la propria fine equivale alla fine di tutto.<br />
Io avrò sempre bisogno di alleati, come ne avevo allora, quando non potevo muovermi dal nascondiglio che avevo scelto all'atto della mia sparizione, né utilizzare buona parte dei miei poteri, o avrei rivelato la mia posizione all'unico che non si sarebbe fermato davanti a niente pur di darmi la caccia...<br />
Il Demone Spettrale Supremo aveva fatto le proprie scelte e portato avanti le proprie mosse; speravo solo che il resto del creato facesse altrettanto.<br />
Che non restasse a guardare.<br />
Che non rimanesse indifferente.<br />
Chiunque avrebbe potuto essere decisivo...<br />
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Prosegui al <a href="https://magifab.blogspot.it/2017/08/scegliendo-di-camminare-con-la-morte_30.html">Capitolo 1</a><br />
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